Manifesto
Il fine ultimo della nostra Fondazione è rendere inattuale questo giudizio di Pasolini:
Il coraggio intellettuale della verità e l’attività politica sono due cose incompatibili in Italia.
(Scritti corsari, 1975)
Pasolini era tutto tranne che un freddo osservatore della realtà. Pasolini guardava il mondo con un grande pathos, con un misto di pietas e di passione civile, di rimpianto e di speranza. E tuttavia in Pasolini il pathos non è mai disgiunto da una sincera, disinteressata, quasi ossessiva ricerca della verità. Una ricerca mai gregaria o settaria, una ricerca che non indulge mai al bisogno di riconoscimento, di appartenenza, o di legittimazione della propria parte politica. Una ricerca libera, disincantata, spietata, e dunque solitaria.
E oggi?
Oggi la figura di Pasolini è divenuta del tutto inattuale perché la passione e l’amore per la verità hanno preso due strade diverse. Se guardiamo alla politica, al giornalismo, e alle stesse scienze sociali è difficile non vedere che spesso, troppo spesso, l’impegno politico e il rispetto per la verità non vanno più d’accordo fra loro. Le passioni più accese si accompagnano ora con la più totale ignoranza dei fatti, ora con la più spudorata partigianeria: a quanto pare non esistono più fatti ma, come diceva Nietzsche, solo interpretazioni (tendenziose) dei fatti. La ricerca sincera della verità, d’altro canto, si scontra con la scarsità di filtri capaci di separare le fonti attendibili da quelle tendenziose, le informazioni genuine dalle pseudo-conoscenze e dalle pseudo-notizie: una sorta di omologante “internettizzazione” dell’informazione, che affligge innanzitutto i mass media ma non risparmia certo le scienze sociali, sempre più malate di irrilevanza e faziosità.
I politici mentono spudoratamente, i mass media più seri si limitano a non distorcere troppo le loro menzogne, mentre mancano del tutto media che si occupino credibilmente di giudicare della verità delle affermazioni degli uni e degli altri. Né si può dire che al compito provvedano le scienze sociali, di cui giustamente Raymond Boudon ha di recente denunciato la vocazione ideologica, la subalternità alle mode, la debolezza analitica.
E’ così che si produce la scissione fra passione e verità. Più cerca di “scaldare” i cuori, più la politica finisce per disprezzare le menti. E più la politica perde ogni rispetto per la verità, più la maggioranza dei cittadini perde ogni rispetto per la politica. Il risultato è che la passione politica tende a trasformarsi in cieca partigianeria, mentre la voglia di verità tende a mutarsi in amaro scetticismo. A una minoranza di cittadini certi che la propria parte politica sia l’incarnazione del bene (o che la parte avversa sia l’incarnazione del male), si contrappone una maggioranza ormai rassegnata a non sapere, a non scegliere, o a scegliere il meno peggio.
Ecco perché il problema di Pasolini, riconciliare passione e verità, è oggi più attuale che mai. La vera passione ha bisogno di verità, e il bisogno di verità è esso stesso la più fondamentale delle passioni.
Ma che cosa c’entra Hume con tutto ciò?
Il nostro richiamo a Hume è un modo per sottolineare l’importanza di un approccio analitico ed empirico ai fatti della vita sociale, e la conseguente rigorosa separazione fra fatti e valori, fra proposizioni descrittive e proposizioni prescrittive, secondo la celebre formulazione che verrà poi ricordata come “principio di Hume”:
In ogni sistema di morale con cui ho avuto finora a che fare, ho sempre notato che l’autore procede per un po’ nel modo ordinario di ragionare, e stabilisce l’esistenza di un bene, oppure fa delle osservazioni circa le faccende umane; quando all’improvviso mi sorprendo a scoprire che, invece di trovare le proposizioni rette di consueto dai verbi è e non è non incontra che proposizioni connesse con dovrebbe e non dovrebbe. Questo mutamento è impercettibile ma è della massima importanza. Poiché questi dovrebbe e non dovrebbe esprimono una relazione o affermazione nuova è necessario che […] si adduca una ragione […] del modo in cui questa nuova relazione può essere dedotta da altre, che sono totalmente diverse da essa” (Treatise of human nature, 1739-40 [corsivi aggiunti]).
Nelle sue attività la nostra Fondazione cercherà di immettere nella politica italiana soprattutto elementi di conoscenza non partigiani, e come tali disponibili per entrambi gli schieramenti politici nonché per chiunque abbia interesse alla comprensione della nostra società.
Stante la natura della sua mission impossible, la Fondazione in quanto tale non ha uno speciale rapporto con nessuna delle parti che competono sulla scena politica. Non sta con la destra contro la sinistra, né con la sinistra contro la destra. Non sta con i laici contro i cattolici, né con i cattolici contro i laici. L’unica opzione, codificata nel nostro statuto, è quella di immettere maggiori elementi di liberalismo nel circuito della politica e dell’informazione, nella cultura del nostro paese, attraverso analisi fattuali della realtà, secondo principi di rigore e di “imparzialità”. Ma non di neutralità: la Fondazione non è neutrale di fronte a tutto ciò che limita le libertà individuali intese, kantianamente, come diritto di ciascuno a perseguire il proprio ideale di vita a condizione di non impedire ad altri di fare altrettanto. La Fondazione pone al centro della propria indagine l’Individuo, la Persona, non le ideologie e le astrazioni collettive (come le classi, i ceti, le corporazioni), ispirata da una cultura liberale, non classista e non comunitaristica.
Ciò significa, in particolare, favorire il pensiero libero in tutte le sue manifestazioni, contribuire alla promozione del merito e delle pari opportunità, rimuovere le barriere che ostacolano il ricambio delle élite (con speciale attenzione ai giovani e alle donne).
Siamo pienamente consapevoli che quello della Fondazione David Hume è solo un sasso gettato nello stagno. Ma confidiamo che analoghi sassi possano essere gettati da altri, e che il movimento complessivo che ne potrà risultare possa prima o poi restituirci un’Italia meno stagnante. Un’Italia in cui il merito conti davvero, sicché anche chi non ha padri (ricchi) e padrini (potenti) possa avere una chance. Un’Italia in cui giornalisti e studiosi facciano il loro mestiere, senza dogmatismi e senza eccessive partigianerie. Un’Italia in cui si possa fare politica senza rinunciare alla verità, e cercare la verità senza doversi allontanare dalla politica.
Un’Italia, insomma, in cui forse a Pasolini non sarebbe dispiaciuto vivere.
[Piero Ostellino e Luca Ricolfi, 2011]