Stop and go?

Chi è abbastanza vecchio da avere memoria degli anni ’70, o è abbastanza curioso da averli studiati, ricorderà di sicuro la politica dello stop and go, o “politica del semaforo”, con cui, in quel periodo, molti paesi occidentali cercavano di domare l’inflazione, senza però frenare troppo l’economia. La conseguenza era una crescita a singhiozzo, in cui a brevi periodi di espansione seguivano altrettanto brevi periodi di rallentamento, per tenere l’inflazione sotto controllo.

Qualcosa di simile, forse, si sta preparando ora sul versante della gestione dell’epidemia, con il Covid in un ruolo simile a quello che fu dell’inflazione. Se davvero, come appare sempre più verosimile, il 3 dicembre il governo consentirà una serie di riaperture, in modo che la corsa ai regali di Natale dia un po’ di ossigeno all’economia, e se nel periodo delle feste dovessero esserci di nuovo limitazioni, più o meno volontarie, magari seguite da un nuovo allentamento delle regole a gennaio, allora sì, dovremmo concludere che il governo ha deciso per lo stop and go.

Il che significherebbe: non riusciamo a stroncare l’epidemia, ma nemmeno vogliamo che ci arrivi in faccia la terza ondata, quindi navighiamo a vista. Teniamo aperto finché gli ospedali respirano, tiriamo il freno appena ci accorgiamo che gli ospedali potrebbero riempirsi di nuovo di pazienti Covid.

E’ razionale questa strategia?

Probabilmente sì, se l’obiettivo è solo di non far saltare il sistema sanitario e dare un po’ di ossigeno all’economia. E, naturalmente, se i sensori del governo sono meno arrugginiti di quelli usati fin qui, rivelatisi incapaci di avvisare in tempo dell’arrivo della seconda ondata.

Se però l’obiettivo fosse quello di minimizzare sia i morti sia i punti di Pil perduti, non sono sicuro che mesi e mesi di andamento a fisarmonica, con le Regioni impegnate in una danza senza fine fra i quattro colori di cui possono fregiarsi (verde-giallo-arancio-rosso), sarebbero la via più efficace. E questo per due motivi, uno relativo alla salute, l’altro relativo all’economia.

Sul versante della salute, non si può non osservare che mantenere le terapie intensive costantemente un po’ sotto il livello di guardia (diciamo al 20% della capacità anziché al 30%), obiettivo comprensibilissimo dal punto di vista dell’equilibrio del sistema sanitario, comporta circa 300 morti al giorno, dunque oltre 100 mila all’anno: più o meno 100 volte il numero annuo di morti sul lavoro, che già ci appare inaccettabilmente elevato.

Sul versante dell’economia i conti sono più ardui, perché mancano due informazioni cruciali: quanti saranno i mesi di vera apertura all’anno, e quanta mobilità in meno (spostamenti e consumi) comporterà lo stato di paura permanente indotto da un regime di stop and go, specie se nulla cambia nella medicina di base (una quota importante delle nostre paure è dovuta alla credenza, del tutto fondata, che in caso di infezione difficilmente riceveremo cure domiciliari). Secondo un recente studio del Fondo Monetario Internazionale, il rischio che la paura congeli la mobilità, e la mancanza di mobilità spenga l’economia, è molto forte. Se la paura non scende sotto un certo livello, è inutile illudersi che l’economia riparta.

Immagino che qualcuno, arrivati a questo punto, obietterà: e il vaccino? Non sarà il vaccino la nostra salvezza? Perché pensare a un lungo periodo di stop and go quando il vaccino è alle porte?

Personalmente nutro un misto di ammirazione e di invidia per chi è dotato di tanto ottimismo. Può darsi che, a differenza del vaccino influenzale, il vaccino contro il Covid arrivi presto, ed entro l’estate prossima sia disponibile per tutti. Può darsi che la maggior parte della popolazione si vaccini con entusiasmo, e non dia alcun credito alle cautele del prof. Crisanti, secondo cui assumere un vaccino non testato è rischioso (“senza dati a disposizione, io non farei il primo vaccino che dovesse arrivare a gennaio”).

Ma temo che lo scenario più verosimile sia un altro. E cioè che il vaccino diventi per qualche mese l’argomento preferito dei talk show, e insieme uno specchietto per le allodole che permette ai politici, ancora una volta, di eludere le domande importanti e di non fare le molte cose che spetta loro di fare. A partire dai dieci punti della petizione che, in 35 mila, abbiamo firmato una decina di giorni fa, e cui né il premier Conte, né il ministro Speranza (ai quali era indirizzata), hanno sentito il dovere di dare una risposta.

Pubblicato su Il Messaggero del 21 novembre 2020




Il termometro dell’epidemia (release 1.0)

La temperatura dell’epidemia è in discesa per il secondo giorno consecutivo (ultimo dato disponibile, ore 18.00 del 20 novembre). Il termometro di oggi segna 220.5 gradi pseudo-Kelvin ed è in calo di -1.5 gradi. Solo nei prossimi giorni sarà possibile capire se queste diminuzioni siano indicative di un’inversione di tendenza.

Questo miglioramento è dovuto in misura preponderante al calo dei nuovi contagi e in parte alla diminuzione degli ingressi ospedalieri stimati. Sono invece tornati ad aumentare i decessi (+4.4 mila nell’ultima settimana rispetto ai 3.5 mila della settimana precedente).

L’aumento settimanale della temperatura è pari a +2.8 gradi, un valore ben più lieve di quello registrato nei giorni scorsi.

Va ricordato, come sempre, che l’andamento della temperatura non riflette quello dei contagi attuali, ma quello dei contagi avvenuti 2-3 settimane fa.

Per maggiori dettagli si rimanda alla Nota tecnica.




Il termometro dell’epidemia (release 1.0)

Oggi (ultimo dato disponibile, ore 18.00 del 19 novembre) la temperatura dell’epidemia ha ripreso a scendere, portandosi a 222.0 gradi pseudo-Kelvin (-1.1 gradi).

Questo lieve miglioramento si deve essenzialmente al calo dei nuovi contagi (+242 mila nell’ultima settimana). Sono invece rimasti sostanzialmente stabili i decessi e gli ingressi ospedalieri stimati.

L’aumento settimanale della temperatura è pari a +8.5 gradi, un valore ben più lieve di quello registrato nei giorni scorsi.

Va ricordato, come sempre, che l’andamento della temperatura non riflette quello dei contagi attuali, ma quello dei contagi avvenuti 2-3 settimane fa.

Per maggiori dettagli si rimanda alla Nota tecnica.




Il termometro dell’epidemia (release 1.0)

Oggi (ultimo dato disponibile, ore 18.00 del 18 novembre) la temperatura dell’epidemia è tornata a salire, passando da 221.0 a 223.1 gradi pseudo-Kelvin (+2.1 gradi).

L’aumento della temperatura è dovuto in parte alla crescita dei nuovi contagi (+243 mila nell’ultima settimana; il tasso di positività è pari al 14.6%, in diminuzione rispetto a ieri) e in parte al cattivo andamento dei decessi (+4.264 negli ultimi sette giorni). Continuano a rimanere sostanzialmente stabili gli ingressi ospedalieri stimati.

L’aumento settimanale della temperatura è pari a +13.1 gradi.

Va ricordato, come sempre, che l’andamento della temperatura non riflette quello dei contagi attuali, ma quello dei contagi avvenuti 2-3 settimane fa.

Per maggiori dettagli si rimanda alla Nota tecnica.




Il termometro dell’epidemia (release 1.0)

Oggi (ultimo dato disponibile, ore 18.00 del 17 novembre) la temperatura dell’epidemia è finalmente tornata a diminuire anche se di soli 0.3 gradi. Il termometro di oggi segna 221.0 gradi pseudo-Kelvin.

Questa battuta d’arresto si deve essenzialmente all’andamento dei contagi, tornati a scendere dopo due giorni di aumento. Continuano però a crescere i decessi (+4.134 negli ultimi sette giorni). Sono invece rimasti sostanzialmente stazionari gli ingressi ospedalieri stimati.

L’aumento settimanale della temperatura è pari a +15.7 gradi.

Va ricordato, come sempre, che l’andamento della temperatura non riflette quello dei contagi attuali, ma quello dei contagi avvenuti 2-3 settimane fa.

Per maggiori dettagli si rimanda alla Nota tecnica.