Il termometro dell’epidemia (release 1.0)

Dopo circa un mese di calo la temperatura dell’epidemia è tornata leggermente a salire. Il termometro di oggi (ultimo dato disponibile, ore 18.00 del 15 dicembre) segna 131.3 gradi pseudo-Kelvin ed è in aumento di 1.9 gradi.

Questo peggioramento si deve alla dinamica dei decessi, tornati a salire dopo una settimana di calo. Diminuiscono leggermente gli ingressi ospedalieri stimati, mentre i nuovi contagi, per la prima volta dopo circa un mese di trend positivo (in calo), sono rimasti sostanzialmente stabili.

La riduzione settimanale della temperatura è pari a -19.0 gradi.

Va ricordato, come sempre, che l’andamento della temperatura non riflette quello dei contagi attuali, ma quello dei contagi avvenuti 2-3 settimane fa.

Per maggiori dettagli si rimanda alla Nota tecnica.




Il termometro dell’epidemia (release 1.0)

Oggi (ultimo dato disponibile, ore 18.00 del 14 dicembre) la temperatura dell’epidemia è scesa di 1.9 gradi, passando da 131.6 a 129.7 gradi pseudo-Kelvin.

Questo risultato si deve al miglioramento di tutte e tre le componenti alla base dell’indice. A calare sono soprattutto i nuovi contagi (nell’ultima settimana si sono registrati +113 mila nuovi casi rispetto ai 141 mila della settimana precedente) e gli ingressi ospedalieri stimati. Più lieve è stata la diminuzione dei decessi (+4.4 mila decessi nell’ultima settimana rispetto ai 5.0 mila di quella precedente)

La riduzione settimanale della temperatura è pari a -25.0 gradi.

Va ricordato, come sempre, che l’andamento della temperatura non riflette quello dei contagi attuali, ma quello dei contagi avvenuti 2-3 settimane fa.

Per maggiori dettagli si rimanda alla Nota tecnica.




Covid, siamo i peggiori in Europa. Intervista a Luca Ricolfi

Cosa dicono i dati del vostro osservatorio della Fondazione Hume: l’epidemia sta scemando?
“Scemando” è una parola forte, che allude a una prossima fine. No, non sta scemando, sta solo rallentando un po’. Voglio essere più preciso, nei limiti dei dati forniti dalla Protezione Civile. Fatto 1 il numero medio di contagi a luglio, adesso siamo più o meno a 25 volte tanti. Certo, un po’ meglio che 2 settimane fa, quando eravamo a quota 29. Ma i progressi restano molto modesti e, soprattutto, lentissimi.
Questo vuol dire che il rischio di incontrare una persona contagiosa è circa 25 volte quello di luglio.

La seconda ondata era inevitabile?
No, era evitabilissima, come dimostra inequivocabilmente il fatto che più di un terzo (10 su 27) delle società avanzate l’ha evitata (vedi grafico). E fra le società che l’hanno evitata, 4 sono in Europa.

Ma allora non siamo i più bravi in Europa?
No, in questo momento (bimestre ottobre-novembre) siamo i peggiori dopo il Belgio (vedi grafico).
La favola del “modello italiano” è, a mio parere, la più grandiosa bufala della pandemia, un falso colpevolmente accreditato dalla maggior parte dei media, giornali-radio-tv.

Ma come ha potuto reggere, se era una bufala?
Ci soni due fattori, uno politico e l’altro tecnico. Il fattore politico è che la maggior parte della stampa e della tv pubblica ha un occhio di riguardo per il Governo. In Italia la stampa è libera, anzi liberissima, ma questo significa anche liberissima di ignorare i fatti, di seguire le convenienze, di non fare vere inchieste, di non tallonare il potere.
Il fattore tecnico è che non è facile leggere i dati, se almeno non ci si sforza un po’. Confrontare i paesi in base ai numeri assoluti (anziché per abitante) è un’ingenuità imperdonabile. Ma anche usare i dati giornalieri dei nuovi casi, enormemente influenzati dalla politica dei tamponi e dalla capacità diagnostica di ogni paese, vuol dire rinunciare a capire quel che succede davvero.

Che dati dovremmo usare, allora?
I decessi per abitante e il quoziente di positività (al netto delle persone ritestate) sono gli indicatori meno inaffidabili nei confronti internazionali.

Cosa avremmo potuto copiare e imparare dalle esperienze degli altri paesi?
Prima di tutto dobbiamo renderci conto che non c’è un unico modo di vincere il Covid. Ci sono paesi che hanno usato soprattutto i tamponi di massa, altri il lockdown precoce, altri mascherine e tracciamento. Altri ancora il senso civico, a quanto pare: quasi tutti i paesi europei senza seconda ondata sono della galassia del Nord, dall’Islanda alla Norvegia, dalla Finlandia alla Danimarca, paradisi del welfare e della cultura civica.
Fra i paesi a noi più vicini, e con noi più comparabili, il caso di maggiore (relativo) successo è la Germania, dove la seconda ondata è molto più modesta che da noi. Lì la chiave è stata la forza del sistema sanitario, ma ancora più cruciale è stata la politica dei tamponi.

Che relazione c’è tra numero di tamponi e decessi?
Incredibilmente stretta. Ho appena finito di stimare l’elasticità dei decessi per abitante e dei tamponi per abitante nella prima fase dell’epidemia. Ebbene, il valore è circa -2. Il che, in concreto, significa: se raddoppi il numero dei tamponi la mortalità si riduce del quadruplo. Ancora più in concreto: se i tamponi passano da 100 a 200 i morti passano da 100 a 25.

La Svezia non ha fatto nessun lockdown e ha meno morti di noi. Ma numero abitanti e territorio diversi da quelli italiano. Sono fattori che incidono sulle curve?
In parte sì. Le mie analisi statistiche mostrano che il numero dei morti per abitante è molto sensibile alla distribuzione geografica della popolazione: a parità di altre condizioni si muore di più nelle aree urbane, e di meno in quelle agricole, specie se remote.
Non è facile dire se, nel caso della Svezia, il sorprendente contenimento della mortalità (a dispetto del mancato lockdown) sia dovuto anche alla geografia interna del paese, o sia da imputare soprattutto ad altri fattori, come la qualità del sistema sanitario, la politica dei tamponi, la bassa socialità, l’elevato senso civico.
Ci sto lavorando, ma finché non ho dei risultati robusti preferisco non azzardare alcuna ipotesi.

Il governo si accinge ad allentare con il nuovo dpcm alcune misure, salvo poi stringere sugli spostamenti tra le regioni a ridosso del natale. Che strategia intravede?
La solita: tergiversare sfogliando la margherita del “riapriamo?”, ”chiudiamo?”, con il solo scopo di massimizzare il consenso. O meglio: minimizzare lo scontento. Di strategia ne vedo una sola: pregare Domine Iddio che il vaccino funzioni, arrivi in quantità adeguata, sia accettato dalla maggioranza degli italiani.
E’ questo il pericolo più grande: l’attesa messianica del vaccino avrà l’effetto di convincere i politici che, ancora una volta, possono non mettere mano alle 10 cose – dai tamponi alla riorganizzazione della medicina di base (vedi petizione sul sito della Fondazione Hume) – che non hanno saputo fare nel semestre di tregua maggio-ottobre.

La scuola è stata la prima a chiudere a marzo e tra gli ultimi settori a riaprire, salvo poi richiudere. Ora che si riparte con le lezioni in presenza il 7 di gennaio, ci saranno condizioni diverse? 
Penso che un po’ di scaglionamento degli orari, e un po’ di limiti all’affollamento sui mezzi pubblici, finiremo per vederli, prima o poi. Sui test rapidi prevedo solita confusione e disorganizzazione. Sui dispositivi di sanificazione dell’aria, fondamentali negli ambienti chiusi, temo che non vedremo quasi nulla. O meglio: vedremo i soliti studenti con la coperta di lana portata da casa, per poter aprire la finestra d’inverno.

Un recente sondaggio di Swg dice che gli italiani preferirebbero non allentare le misure restrittive e che anche sacrificare il Natale non sarebbe poi grave.
Mah, i sondaggi vanno interpretati, una domanda non basta a capire quel che davvero vuole la gente. Tendo a pensare che a bramare la riapertura siano più gli esercenti che i cittadini, e che i cittadini stiano soppesando i pro e i contro: il rischio che a gennaio tutto ricominci frena gli entusiasmi per riapertura e feste natalizie. La gente ha paura della terza ondata.
Sfortunatamente governo e media sono riusciti a far passare il messaggio che tutto dipende da noi comuni cittadini. E a nascondere il fatto che, invece, molto dipende da loro, ossia dalle scelte (e dalle omissioni) della politica.

Il Covid e la gestione che ne è stata fatta in Italia hanno avuto un impatto psicologico sulle persone? (ho spezzato la domanda)
Un qualche impatto senz’altro, il difficile è dire di che tipo. Senza dati di qualità è impossibile capire che tipo di impatto: depressione? spinte suicidarie? frustrazione ? rabbia? rassegnazione?
L’unica conseguenza psicologica che si riconosce ad occhio nudo è l’azzeramento di qualsiasi piano proiettato nel futuro: una condizione esistenziale mortificante, e un vero disastro per il tessuto produttivo del Paese, posto che fare impresa significa precisamente fare sconnesse sul futuro.

Lei che Natale farà?
Nulla cambierà. Sono già in lockdown e ci resterò. L’alternativa è fra un Natale a due (Paola ed io) e un natale a tre (con nostro figlio), se il governo ci concederà spostamenti interregionali.
Il lato buono, uno dei pochissimi lati buoni, del lockdown natalizio è la tendenziale scomparsa dei regali di Natale generalizzati (non solo ai bambini), una prassi che negli ultimi decenni aveva assunto dimensioni patologiche.

Dobbiamo prepararci a una terza ondata?
Fino a poco fa temevo l’arrivo di una terza ondata. Ora non la escludo ma ritengo più probabile un altro scenario, basato sullo stop and go. Rinunciamo a quasi-azzerare il virus, e ci disponiamo a chiudere e riaprire a più riprese, a fisarmonica, magari con un algoritmo che ci dice quando e che cosa fare, togliendo i politici dall’imbarazzo di spiegare e motivare quel che ci impongono.
La realtà è che è impossibile fare previsioni, l’evoluzione dell’epidemia dipende poco dal virus (che è quel che è, e ha le sue leggi di propagazione) e molto dalla politica. E la politica non è prevedibile, perché è un mix di tentennamenti e di decisioni scarsamente informate.
La Merkel ha una laurea in fisica e un dottorato in meccanica quantistica. Quando parla della funzione esponenziale, di R0 e di Rt, sa esattamente di che cosa sta parlando, ed ha persino il coraggio di farlo davanti ai suoi cittadini.
Notata la differenza?

Intervista di Alessandra Ricciardi a Luca Ricolfi, ItaliaOggi, 3 dicembre 2020




Il termometro dell’epidemia (release 1.0)

La temperatura dell’epidemia continua a scendere. Il termometro di oggi (ultimo dato disponibile, ore 18.00 dell’11 dicembre) segna 134.5 gradi pseudo-Kelvin ed è in calo di 3.7 gradi.

Questo miglioramento si deve essenzialmente all’andamento dei nuovi contagi, in calo ormai da circa quattro settimane (nell’ultima settimana si sono registrati +116 mila nuovi casi rispetto ai 150 mila della settimana precedente). Sono invece rimasti sostanzialmente stabili gli ingressi ospedalieri e i decessi.

La riduzione settimanale della temperatura è pari a -28.5 gradi.

Va ricordato, come sempre, che l’andamento della temperatura non riflette quello dei contagi attuali, ma quello dei contagi avvenuti 2-3 settimane fa.

Per maggiori dettagli si rimanda alla Nota tecnica




Il termometro dell’epidemia (release 1.0)

Oggi (ultimo dato disponibile, ore 18.00 del 9 dicembre) la temperatura dell’epidemia è scesa di ben 7.1 gradi passando da 150.3 a 143.2 gradi pseudo-Kelvin.

La diminuzione è frutto del miglioramento di tutte e tre le componenti alla base dell’indice (nuovi casi, decessi, ingressi ospedalieri). A calare sono soprattutto i nuovi contagi (nell’ultima settimana si sono registrati +128 mila nuovi casi rispetto ai 160 mila della settimana precedente). Continua ad essere significativa la diminuzione dei decessi (+4.6 mila decessi nell’ultima settimana rispetto ai 5.0 mila di quella precedente).

La riduzione settimanale della temperatura è pari a -26.3 gradi.

Va ricordato, come sempre, che l’andamento della temperatura non riflette quello dei contagi attuali, ma quello dei contagi avvenuti 2-3 settimane fa.