Il termometro dell’epidemia (release 1.0)

Il termometro di oggi (ultimo dato disponibile, ore 18.00 del 4 dicembre) è sceso di 3.6 gradi, passando da 166.6 a 163.0 gradi pseudo-Kelvin.

Questo risultato si deve al calo di tutte e tre le componenti alla base dell’indice (nuovi contagi, ingressi ospedalieri, decessi). La diminuzione più consistente continua ad essere registrata dai nuovi contagi (nell’ultima settimana si sono registrati +154 mila nuovi casi rispetto ai 192 mila della settimana precedente).

La riduzione settimanale della temperatura è pari a -30.3 gradi.

Va ricordato, come sempre, che l’andamento della temperatura non riflette quello dei contagi attuali, ma quello dei contagi avvenuti 2-3 settimane fa.

Per maggiori dettagli si rimanda alla Nota tecnica.




Cultura e stili di vita centrati sul presente, sindrome del nostro tempo

Uno dei più grandi giuristi del nostro tempo Ernst Wolfgang Boeckenfoerde, in uno scritto ripreso in Diritto e secolarizzazione (ed. it. Laterza 2010), si chiedeva «in quale misura i popoli riuniti in uno Stato possono vivere soltanto della garanzia della libertà del singolo, senza un vincolo unificatore preesistente a questa libertà?». I singoli in virtù del processo di secolarizzazione, che in sostanza estrometteva Dio dalla politica, «dovettero cercare una nuova comunanza e omogeneità, se non volevano che lo Stato cadesse in preda alla disgregazione interna, che porta poi con sé un cosiddetto totale controllo esterno». Nel XIX secolo «una nuova forza unificatrice subentrò a quella antica: l’idea di Nazione. L’unità della Nazione prese il posto dell’unità religiosa e fondò una nuova omogeneità, sia pure orientata in senso più esteriore e politico». Sennonché la Nazione – e lo Stato nazionale – ha perso da tempo la sua «efficacia formativa» e non solo in molti Paesi europei.

Le parole di Boeckenfoerde fanno venire in mente uno degli scritti più ispirati di Rosario Romeo, il principe della storiografia italiana della seconda metà del Novecento, Nazione (1979) pubblicato nell’ “Enciclopedia del Novecento” (e ripreso poi nella raccolta Italia, mille anni ( Ed. Le Monnier). Nella nostra epoca, sosteneva l’Autore, «sono così diffuse e presenti nella cultura di tutto il mondo le tentazioni e i rischi di una concezione e di uno stile di vita tutto risolto nel presente e non più in grado di conferire all’esistenza degli uomini quel senso e significato che viene dalle grandi concezioni storiche e religiose». La causa veniva riportata alla crisi dello Stato nazionale che ha coinciso con un drastico abbassamento della vita culturale. «Quale può essere, si chiedeva Romeo, il livello della vita collettiva in un Paese che ha di fatto rinunciato a decidere in modo autonomo dei propri destini, limitando la propria realtà essenzialmente alla buona amministrazione e alla corretta gestione dell’economia, e rinviando invece ad altre potenze, di altro rango e statura internazionale, le decisioni relative dai grandi problemi della sicurezza e della pace nel contesto mondiale?». La grande potenza diventava, così, condizione necessaria (ma non sufficiente) di responsabilità, di elevazione culturale, di etica pubblica, di senso profondo della dignità del cittadino. Non a caso nel corso universitario tenuto su Richelieu, lo storico legava il ruolo internazionale acquisito dalla Francia grazie al cardinale, all’egemonia che la lingua francese esercitò per due secoli sul vecchio continente, alla grande letteratura, al teatro, all’arte, alle scienze che trovarono a Parigi stabile dimora.

A rileggere le pagine di Boeckenfoerde e di Romeo sembra di trovarsi in un altro pianeta. In particolare la critica mossa dal secondo alle teoriche federaliste (che attribuivano allo stato nazionale la responsabilità di tutte le guerre e dei tutti i crimini), le riserve (già di Benedetto Croce) sul Tribunale di Norimberga, la denuncia della divisione della Germania, l’assenza di retorica occidentalista nel racconto della seconda guerra mondiale sono polpette avvelenate per la mensa del “politicamente corretto”. Quest’ultimo non comprende solo il buonismo universalista ma il ripudio stesso della storia, vista illuministicamente, come un catalogo di violenze insensate, di sopraffazioni, di negazione dei diritti più elementari alla libertà, alla dignità, al rispetto. La cancel culture è il lievito spirituale di quella contraffazione del liberalismo classico che è il moderno libertarismo di ispirazione nordamericana. Quest’ultimo riprende e assolutizza tematiche della grande scuola austriaca degli Hayek e dei Mises, fa a pezzi, nella galleria della “società aperta”, le statue di Immanuel Kant, di John Stuart Mill, di Alexander Hamilton di Max Weber, di Benedetto Croce. La sua filosofia politica è molto semplice: dove c’è stato, c’è nazione, dove c’è nazione, c’è fascismo.

Per il filosofo del diritto, Carlo Lottieri, autore dell’agile manuale Liberali e non. Percorsi di storia del pensiero politico ( Ed. La Scuola 2013) John Stuart Mill – l’autore di On Liberty – si colloca al di fuori del liberalismo non avendo compreso come «le potenzialità negative della ricchezza e delle idee» fossero «una minaccia alla libertà solo indirettamente, quando si alleano con la politica», ovvero con lo Stato moderno, che si è abbattuto sul povero genere umano facendo più vittime delle dieci piaghe d’Egitto. Non lo sfiora neppure l’idea del rapporto libertà individuale/statualità: la fine dell’ordine medievale, con la sua «logica policentrica» è per lui l’inizio del grande arretramento del diritto che nasce dal basso, dal rapporto di persone concrete che stipulano accordi circoscritti e l’ascesa del Leviatano che tutto spiana al suo passaggio. Se ne deduce che il passato – con le sue glorie, con i suoi monumenti civili, con le sue culture impensabili senza i grandi conflitti di civiltà – va rimosso come un incubo che ancora grava sulle nostre vite. Che senso ha idealizzare la regina Vittoria, imperatrice delle Indie, erigere monumenti ai grandi zar modernizzatori, a Giuseppe Mazzini, reo di ritenere che senza la dimensione collettiva e nazionale gli Italiani saranno sempre i paria tra le nazioni, ai grandi re che fecero la Francia – soffocando come riteneva Proudhon l’anima delle singole regioni?

Che si possa fondare una “scuola di pensiero” su queste idee, su questa visione del mondo, si può comprendere. Dovremmo però essere consapevoli che esse creano una frattura insanabile nella cultura liberale. Il liberalismo classico (non quello di Lottieri) nasce dalla profonda meditazione sulla storia, da una critica del razionalismo fondata non su un astratto giusnaturalismo – i diritti individuali assoluti che lo Stato moderno mette in forse – ma sullo scetticismo classico, anch’esso, inteso come senso della relatività delle opinioni, che si traduce in bargaining, in compromesso tra i valori politici in conflitto affidato all’arte politica.

Pubblicato su Il Dubbio del 28 novembre 2020




Il termometro dell’epidemia (release 1.0)

Il termometro di oggi (ultimo dato disponibile, ore 18.00 del 3 dicembre) è sceso di 2.9 gradi, passando da 169.5 a 166.6 gradi pseudo-Kelvin.

Calano ancora i nuovi contagi (nell’ultima settimana si sono registrati +154 mila nuovi casi rispetto ai 201 mila della settimana precedente) e si riducono in modo più lieve i ricoveri ospedalieri (il dato è però provvisorio perché i dati della Campania e della Provincia Autonoma di Bolzano sono in via di definizione). Tornano però a salire in modo significativo i decessi: con 993 decessi giornalieri è stato superato il picco toccato il 27 marzo (969).

La riduzione settimanale della temperatura è pari a -32.2 gradi.

Va ricordato, come sempre, che l’andamento della temperatura non riflette quello dei contagi attuali, ma quello dei contagi avvenuti 2-3 settimane fa.

Per maggiori dettagli si rimanda alla Nota tecnica.




Il termometro dell’epidemia (release 1.0)

Il termometro di oggi (ultimo dato disponibile, ore 18.00 del 2 dicembre) segna 169.5 gradi pseudo-Kelvin ed è sceso di 3.9 gradi.

Il miglioramento della temperatura si deve essenzialmente all’andamento dei nuovi contagi, in calo ormai da due settimane (nell’ultima settimana si sono registrati +160 mila nuovi casi rispetto ai 208 mila della settimana precedente, il rapporto nuovi contagi/casi testati è pari 21.7, in diminuzione rispetto a ieri). Sono rimasti sostanzialmente invariati gli ingressi ospedalieri ed i decessi.

La riduzione settimanale della temperatura è pari a -32.8 gradi.

Va ricordato, come sempre, che l’andamento della temperatura non riflette quello dei contagi attuali, ma quello dei contagi avvenuti 2-3 settimane fa.

Per maggiori dettagli si rimanda alla Nota tecnica.




Vaccini, la scienza non è corifeo del Potere

Due cose mi hanno infastidito della polemica nata attorno alle parole di Andrea Crisanti: 1. il conformismo al limite del pensiero unico del potere politico e della stampa; 2. la pretesa immaturità del popolo italiano.

Crisanti, che non è un negazionista, un no vax e tantomeno uno scienziato sprovveduto, ha fatto una dichiarazione corretta: prima di esprimermi su questi vaccini voglio vedere i dati. È quanto ha dichiarato anche un altro scienziato, tutt’altro che mediocre, Alberto Mantovani: per Crisanti «massimo rispetto scientifico». E pure lui invita alla «cautela» sui vaccini anti Covid,  «perché non si sono visti i dati, saranno sottoposti a un’autorizzazione d’emergenza e bisogna vedere cosa succederà». Per l’immunologo dell’Humanitas nelle parole di Crisanti «vanno colti elementi costruttivi come la necessità e il rispetto dei dati».

Non diverso il parere di Silvio Garattini, Presidente dell’Istituto Mario Negri di Milano: “Sono dello stesso parere di Crisanti, purtroppo mancano le pubblicazioni per poter dare un giudizio”.

E ancora: “Le industrie stanno facendo dei comunicati che non sono molto positivi perché danno l’impressione alla gente che ci sia una specie di gara e questo non può generare fiducia. Bisogna che pubblichino i dati e poi potremo dire la nostra, sono relativamente ottimista, sono favorevole a farmi vaccinare ma voglio vedere i dati naturalmente, senza vedere i dati è impossibile dare un giudizio”.

E anche Massimo Galli, che non è affatto uno sciocco, un superficiale o uno sprovveduto, si è espresso in maniera analoga a quella di Crisanti: “Vaccino anti-covid? La posizione di Crisanti, che ha tutta la mia stima, è stata molto travisata. Era seccato di continuare a vedere annunci sul vaccino attraverso i media e non dati concreti. Siamo tutti un po’ indispettiti dalla politica degli annunci. Continuiamo a vedere annunci e continuiamo a non vedere dati. E continuiamo anche a vedere una gara a chi ha il vaccino migliore. Se questa fosse una gara nei fatti e nei numeri e non solo negli annunci, sarebbe una bellissima cosa”.

Del resto pure all’estero si chiede trasparenza sui dati. Peter Doshi, sul prestigioso British Medical Journal, scrive, per esempio, a proposito dei vaccini anti Covid: “Solo la piena trasparenza e il controllo rigoroso dei dati consentiranno un processo decisionale informato. I dati devono essere resi pubblici”.

Da ultimo Guido Rasi, fino a pochi giorni fa direttore dell’EMA, l’agenzia europea del farmaco, ha dichiarato: “Sui vaccini finora dalle aziende farmaceutiche numeri da bar sport”. E ancora: “Nonostante i comunicati stampa, le ditte non hanno ancora sottomesso i dati alle autorità regolatorie. Fra le informazioni che mancano: si bloccano i sintomi o anche il contagio? È essenziale saperlo per capire a chi dare le prime dosi”.

Lo scienziato non ha il compito di aiutare la politica, o di rabbonire le masse, ma quello di sviluppare la critica e la ricerca della verità scientifica. Altrimenti non è un uomo di scienza ma un imbonitore. Insomma un ciarlatano. La stampa, piuttosto, come pure i suoi illustri e spesso strapagati commentatori, dovrebbe avere, in un Paese democratico, il ruolo di mosca cocchiera della verità, non di puntello di questo o quel governo o di amplificatore di luoghi comuni.

E veniamo al popolo italiano. Conte, Speranza e soci hanno il terrore che gli italiani si spaventino e che il vaccino sia un flop. Tutti noi auspichiamo invece che il vaccino sia sicuro ed efficace e che la campagna vaccinale abbia pieno successo.

Immagino però che prima di iniziare una campagna di vaccinazione di massa quei famosi dati saranno resi noti in tutta la loro completezza e adeguatezza e saranno attentamente vagliati dalle agenzie regolatorie internazionali. A quel punto delle due l’una: o siamo circondati da una massa di idioti belanti e allora il governo ha pur sempre il potere di usare la “forza” imponendo una vaccinazione obbligatoria. Oppure siamo un popolo maturo e le critiche costruttive degli scienziati avranno dato un bel contributo a non rendere sempre più opaca la gestione delle crisi nel nostro Paese.