La lotta ai cambiamenti climatici tra responsabilità individuale e influenze economiche

I cambiamenti climatici sono un fatto ormai assodato, così come la causa principale: le attività umane [1, 2]. Di conseguenza, per trovare delle soluzioni efficaci alla crisi climatica è necessario determinare quali settori contribuiscano in misura maggiore al suo peggioramento [3].

Il dito è stato puntato contro molti soggetti: le multinazionali del petrolio, le industrie [4], le persone più ricche [5], ma soprattutto tutti noi con le nostre scelte di vita [6]. Per esempio, secondo la simulazione proposta dalla Global Footprint Network [7] già vivere in una piccola casa a schiera porta a un impatto ambientale eccessivo. Se poi si includono i rifiuti, i trasporti e altre scelte legate allo stile di vita, come l’alimentazione, i risultati sono sconfortanti: se tutti vivessero come un italiano sarebbero necessari più di quattro pianeti Terra, per il tenore di vita statunitense non ne basterebbero otto [8].

Secondo Emily Atkin, giornalista della rivista online New Republic e curatrice della newsletter Heated sui cambiamenti climatici [9], non saremmo solo responsabili dei nostri stili di vita scorretti, ma anche di alimentare la richiesta di servizi forniti dalle industrie inquinanti [6]. Secondo la sua prospettiva, la colpa dei cambiamenti climatici sembrerebbe ricadere tutta sulle spalle di noi consumatori; di conseguenza saremmo noi gli unici responsabili dei cambiamenti necessari a combattere la crisi climatica.

Perché consumiamo. Come mai il nostro ruolo nella società è quello di consumatori? Quando abbiamo effettuato questa scelta?

Il consumismo è un fenomeno abbastanza recente: prima del XX secolo, nei contesti in cui i beni primari non erano necessariamente disponibili con continuità lo stile di vita più adottato era frugale e parsimonioso. Secondo la professoressa Kerryn Higgs dell’Università della Tasmania, nella maggior parte dei paesi Occidentali quella condizione di incertezza venne superata poco dopo la fine della Prima Guerra Mondiale [10, 11]. Come conseguenza del miglioramento dello stile di vita fu necessaria una scelta sociale da parte degli economisti e degli industriali: mirare a un’economia stazionaria in grado di fornire a tutti il necessario e, con il miglioramento delle tecniche produttive, di ridurre gli orari lavorativi, oppure scegliere un modello alternativo basato sulla continua crescita economica.

Secondo lo storico Benjamin Hunnicutt, la crisi economica del 1921-1922 negli Stati Uniti portò molti economisti e industriali a temere l’instaurarsi di una situazione permanente di sovraproduzione. Nel 1927 il presidente della United Fruit Company, l’odierna Chiquita, scrisse che il maggior problema economico del suo tempo era la mancanza di potere di consumo rispetto alle possibilità produttive. La risposta a quel problema venne suggerita l’anno successivo dall’economista Edward L. Bernays, che nel suo libro “Propaganda” [12] scrisse:

la produzione di massa è economicamente vantaggiosa solo … se può continuare a vendere i suoi prodotti nella stessa quantità o in quantità crescenti. … Oggi l’offerta deve cercare attivamente di creare una domanda corrispondente … [e] non può permettersi di attendere che il pubblico chieda i suoi prodotti; deve mantenere un’influenza costante, attraverso la pubblicità e la propaganda … per assicurarsi la presenza di una domanda continua, l’unica che può rendere redditizie le sue costose industrie.

Il suggerimento di Bernays venne presto adottato dalle industrie che, con le parole dell’economista Edward Cowdrick, misero in atto strategie che ormai conosciamo bene per educare i lavoratori nella nuova “abilità del consumo”. L’articolo “A Brief History of Consumer Culture” di Kerryn Higgs riporta altre citazioni analoghe, tra cui l’obiettivo di creare a tavolino “nuovi desideri che, non appena soddisfatti, preparino costantemente la strada a desideri ancora più nuovi” [10].

Di conseguenza, la scelta di essere consumisti è stata fatta per noi da economisti e industriali circa un secolo fa. E non è nemmeno difficile riconoscere alcune delle tecniche di indottrinamento al “nuovo vangelo economico del consumo”. Una tra tutte, e nemmeno la più eclatante, è la difficoltà artificiale nel riparare gli oggetti di uso comune. Già da tempo sappiamo che aggiustare alcuni dispositivi, invece di sostituirli, ha un impatto ambientale minore [13, 14]. Però le case produttrici dei dispositivi, non solo smartphone ma anche lavatrici, forni e altri elettrodomestici, non sempre agevolano la riparazione dei loro prodotti, nel tentativo di incentivare gli utenti a sostituirli. La battaglia di alcune associazioni di consumatori a favore del cosiddetto “diritto di riparare” ha portato il Parlamento Europeo ad assumere una posizione ufficiale a sostegno di questa iniziativa [15, 16].

Una nuova economia per combattere i cambiamenti climatici. Per combattere i cambiamenti climatici dobbiamo quindi rinunciare alla nostra identità di consumatori, che però è stata decisa a tavolino dagli industriali del XX secolo e ci è stata inculcata mediante un indottrinamento che ha plasmato la nostra società per almeno cent’anni. L’impegno personale nella lotta ai cambiamenti climatici è fondamentale, ma attribuire a noi persone comuni la totale responsabilità di questo stile di vita e allo stesso tempo chiederci di ribellarci al condizionamento delle industrie ci attribuisce un potere esagerato, scagionando al contempo alcuni soggetti il cui contributo contro i cambiamenti climatici è decisivo [4].

Inoltre la pandemia del COVID-19 ci ha rivelato in modo chiaro come la nostra società, basata su un modello di crescita economica incondizionata (anche se ormai avviata verso la stagnazione), sia dipendente dal nostro ruolo di consumatori. Infatti, durante i mesi in cui non è stato possibile consumare con libertà abbiamo visto conseguenze economiche e sociali devastanti. Ormai il nostro ruolo di consumatori non è necessario solo per la crescita di industrie e servizi, ma per il benessere stesso dei nostri concittadini e della nostra nazione.

Di conseguenza, non è realistico suggerire semplicemente che la risposta ai problemi ambientali consista nel rifiuto dell’economia consumistica che ci è stata imposta. Essa infatti è un sintomo di un problema diverso, quello del modello di crescita incondizionata introdotto in Occidente e oggi tipico delle economie emergenti. Se vogliamo davvero affrontare i cambiamenti climatici dobbiamo abbandonare questo modello a favore di altri più sostenibili, come quelli stazionari [17] o circolari [18]. Però un simile ripensamento sistemico dell’economia e del suo ruolo sociale non è di unica responsabilità di noi consumatori, ma coinvolge anche i titolari di interessi economici e politici. Quindi ben vengano le azioni individuali, però contestualizzate in un cambiamento più ampio, se non in una vera e propria rivoluzione, dei concetti all’apparenza fondamentali, ma in realtà artificiali e superabili, di crescita economica e benessere.

Riferimenti bibliografici

[1] Facts about the Climate Emergency, UN environment programme.

[2] Climate Change Is Complex. We’ve  Got Answers to Your Questions, Justin Gillis.

[3] Who is really to blame for climate change?, Jocelyn Timperley, 19-06-2020.

[4] Climate change: focusing on how individuals can help is very convenient for corporations, Morten Fibieger Byskov, Università di Warwick, 10-01-2019.

[5] Wiedmann, T., Lenzen, M., Keyßer, L.T. et al. Scientists’ warning on affluence. Nat Commun 11, 3107 (2020).

[6] Climate Change Is the Symptom. Consumer Culture Is the Disease. Emily Atkin, 12-06-2019.

[7] https://www.footprintcalculator.org/

[8] https://data.footprintnetwork.org/#/?

[9] https://heated.world/

[10] A Brief History of Consumer Culture, Kerryn Higgs, 11-01-2021.

[11] Collision Course, Kerryn Higgs, 2014.

[12] Propaganda, Edward L. Bernays, 1928, disponibile in inglese alla pagina.

[13] Computers and the environment, BBC Bitesize.

[14] https://repair.eu/

[15] Parliament wants to grant EU consumers a right to repair, comunicato stampa del Parlamento Europeo, 25-11-2020.

[16] Towards a more sustainable single market for business and consumers, minute della sessione plenaria del Parlamento Europeo del 25-11-2020.

[17] Achieving a steady state: an interview with ecological economics pioneer Herman Daly, 09-09-2013.

[18] Economia circolare: definizione, importanza e vantaggi, 07-01-2021.




Indice DQP: per l’immunità di gregge dobbiamo aspettare dicembre 2023

Le autorità politiche e sanitarie, in particolare il ministro Roberto Speranza e la sottosegretaria Sandra Zampa, hanno ripetutamente dichiarato che la campagna di vaccinazione serve a raggiungere la cosiddetta immunità di gregge:

5 dicembre: “Il nostro obiettivo è l’immunità di gregge grazie al vaccino” (Roberto Speranza).

17 dicembre: “Immunità di gregge a settembre-ottobre prossimi (Sandra Zampa).

28 dicembre: “Oggi il ministro Speranza ha precisato che entro marzo raggiungeremo la quota di 13 milioni di italiani vaccinati contro Covid-19, e quindi in estate potremo già essere molto avanti nel perseguimento dell’obiettivo immunità di gregge data dal 70%” (Sandra Zampa).

9 gennaio 2021: “Per arrivare all’immunità di gregge dobbiamo vaccinare l’80% di 60 milioni di italiani” (Sandra Zampa).

Per “immunità di gregge” si intende una situazione nella quale ci sono abbastanza persone vaccinate (e non in grado di trasmettere il virus) da portare la velocità di trasmissione del virus (Rt) al di sotto di 1, con conseguente progressiva estinzione dell’epidemia.

Ma quante settimane occorreranno per vaccinare un numero di italiani sufficiente a raggiungere l’immunità di gregge?

A rispondere a questa domanda provvede l’indice DQP (acronimo di: Di Questo Passo), che stima il numero di settimane che sarebbero ancora necessarie se – in futuro– le vaccinazioni dovessero procedere “di questo passo”.

All’inizio dell’ottava settimana del 2021 (lunedì mattina, 22 febbraio) il valore di DQP è pari a 148 settimane, il che corrisponde al raggiungimento dell’immunità di gregge non prima del mese di dicembre del 2023.

Il valore del DQP è migliorato rispetto a quello della settimana scorsa (immunità di gregge a maggio 2024).

Per raggiungere gli obiettivi enunciati dalle autorità sanitarie (immunità di gregge entro settembre-ottobre 2021), il numero di vaccinazioni settimanale dovrebbe essere circa il quadruplo di quello attuale (2 milioni la settimana, anziché 500 mila).


Nota tecnica

Le stime fornite ogni lunedì si riferiscono alla settimana appena terminata e si basano sui dati ufficiali disponibili il lunedì mattina (quindi possono subire degli aggiornamenti).

Va precisato che la nostra stima è basata sulle ipotesi più ottimistiche che si possono formulare, e quindi va interpretata come il numero minimo di settimane necessarie.

Più esattamente l’interpretazione dell’indice è la seguente:

DQP = numero di settimane necessario per raggiungere almeno il 70% degli italiani con almeno 1 vaccinazione.

A partire dalla prima settimana completa dell’anno (da lunedì 4 a domenica 10 gennaio) la Fondazione Hume calcola settimanalmente il valore dell’indice DQP (acronimo per: Di Questo Passo).

L’indice si propone di fornire, ogni lunedì, un’idea vivida della velocità con cui procede la vaccinazione, indicando l’anno e il mese in cui si potrà raggiungere l’immunità di gregge procedendo “di questo passo”.

Il calcolo dell’indice si basa su 4 parametri:

  1. una stima del numero di italiani vaccinati necessario per garantire l’immunità di gregge;
  2. quante vaccinazioni sono state effettuate nell’ultima settimana (da lunedì a domenica);
  3. quante vaccinazioni erano state effettuate dall’inizio della campagna (1° gennaio 2021) fino alla settimana anteriore a quella su cui si effettua il calcolo;
  4. che tipo di vaccini verranno presumibilmente usati (a 2 dosi o a dose singola).

Nella versione attuale l’indice si basa sulle ipotesi più ottimistiche possibili sul funzionamento del vaccino e sull’andamento della campagna vaccinale. Più precisamente:

  • i vaccini somministrati non solo proteggono i vaccinati dall’insorgenza della malattia, ma impediscono la trasmissione dell’infezione ad altri (immunità sterile);
  • l’obiettivo è vaccinare il 70% della popolazione (anziché l’80 o il 90%, come potrebbe risultare necessario);
  • sul mercato vengono introdotti vaccini per tutte le fasce d’età, compresi gli under 16 (i vaccini attuali sono testati solo su specifiche fasce d’età);
  • ci si accontenta di vaccinare ogni italiano una sola volta, trascurando il fatto che, ove la campagna di vaccinazione dovesse prolungarsi per oltre un anno, bisognerebbe procedere a un numero crescente di rivaccinazioni.



Il termometro dell’epidemia (release 1.0)

Negli ultimi tre giorni, la temperatura dell’epidemia è salita di 3.6 gradi, passando da 78.8 (giovedì 18 febbraio) a 82.4 gradi pseudo-Kelvin (ultimo dato disponibile, ore 18.00 del 21 febbraio).

Questo peggioramento si deve essenzialmente all’andamento dei nuovi casi, in crescita per il terzo giorno consecutivo (nell’ultima settimana si sono registrati 79 mila nuovi casi rispetto ai 77 mila della settimana precedente). Rispetto a sabato, sono rimasti sostanzialmente stabili i decessi e gli ingressi ospedalieri stimati.

La riduzione settimanale della temperatura è di appena 0.3 gradi.

Va ricordato, come sempre, che l’andamento della temperatura non riflette quello dei contagi attuali, ma quello dei contagi avvenuti 2-3 settimane fa.

La temperatura dell’epidemia è stata calcolata considerando i soli casi identificati mediante test molecolare.

Per maggiori dettagli si rimanda alla Nota tecnica.




Un governo Draghi dal gusto agrodolcissimo. Intervista a Luca Ricolfi

Professor Ricolfi, il neo premier Draghi in questi due giorni ha scoperto le carte e nel suo discorso ha tratteggiato il programma di governo. Qual è il suo sentimento prevalente dopo il passaggio a Senato e Camera? Nota qualche affinità con l’ultimo governo guidato da un tecnico ovvero quello di Mario Monti?
Il mio sentimento verso il nuovo governo? Agro-dolce, direi. Anzi, agro e dolcissimo. Dolcissimo perché, rispetto a quel che abbiamo avuto nell’ultimo anno e mezzo, il governo Draghi è un progresso enorme. Con il Conte bis abbiamo avuto il peggior governo dell’Italia repubblicana, un governo che ha sulla coscienza decine di migliaia di morti, e che non ha mai chiesto scusa per i propri errori. Un governo che, al solo scopo di tutelare gli equilibri fra Pd e Cinque Stelle, ha rimandato tutte le scelte cruciali e non è stato in grado di scrivere un Recovery Plan decente. Con Draghi, se Dio vuole, abbiamo invece tre garanzie fondamentali: l’Europa non ci boccerà il Recovery Plan; i mercati finanziari saranno meno aggressivi nel concederci credito; le scelte più demagogiche hanno buone probabilità di essere stoppate.

E il lato agro?
Il lato agro è la composizione del governo, più politico che tecnico, e la genericità/ovvietà degli impegni programmatici. Quando un presidente di consiglio si insedia, per capire le sue intenzioni, io non guardo mai alla lista dei problemi che intende risolvere, o alla giaculatoria dei temi su cui mostra sensibilità: le solite donne, i soliti giovani, il solito ambiente, la solita digitalizzazione, la solita cultura, la solita pubblica amministrazione da modernizzare, la solita giustizia da velocizzare, la solita crescita da rilanciare, la solita immigrazione da governare, i soliti investimenti nel Mezzogiorno, la solita mafia da sconfiggere, la solita evasione fiscale da combattere. Io guardo a una cosa soltanto: i mezzi con cui quei problemi si proverà a risolvere. E su questo la delusione è cocente: Draghi ha detto pochissimo, e le poche cose incisive che, sia pure cripticamente, ha osato dire – rimpatri dei non aventi diritto e tutela dei lavoratori, ma senza salvataggio dei posti di lavoro – di fatto è stato costretto a rimangiarsele nella replica al Senato.

Uno dei campi di battaglia su cui questo governo si gioca la reputazione è ovviamente quello della lotta al virus. La politica sanitaria si poggia su due pilastri: la campagna vaccinale e il contenimento del Covid. Esaminiamoli entrambi. Partiamo dai vaccini. Che discontinuità nota?
Di discontinuità ne vedo solo due, tutto sommato abbastanza marginali. Primo: Draghi ha mandato a monte la buffonata delle “primule” (padiglioni per le vaccinazioni), e chiesto l’aiuto del settore privato e dell’esercito. Secondo: Draghi ha promesso solennemente che il suo governo abbandonerà la folle politica delle restrizioni last minute, come nel disgraziato caso della stagione sciistica (ma anche delle vacanze natalizie).
Quanto ai vaccini, ormai è chiaro a tutti che l’obiettivo dichiarato dal ministro Speranza e dalla sottosegretaria Zampa (vaccinare il 70-80% degli italiani entro settembre) non sarà raggiunto, né poteva esserlo. Chiunque abbia in casa una calcolatrice avrebbe potuto capirlo da solo, ma è comunque un fatto positivo che si smetta di illudere gli italiani.

Basta l’addio alle primule e una logistica più razionale per raggiungere l’immunità di gregge entro l’autunno?
Tutti ce lo auguriamo, ma una valutazione realistica suggerisce una risposta netta: no, non basta. Per raggiungere quell’obiettivo, infatti, devono verificarsi contemporaneamente almeno 5 condizioni:

  1. arrivo di un numero di dosi sufficiente;
  2. capacità logistico-organizzativa del sistema sanitario nazionale di vaccinare almeno l’80% della popolazione (le varianti più trasmissibili elevano la soglia dell’immunità di gregge);
  3. soluzione del problema degli under-18 per cui non esiste ancora un vaccino sicuro ed efficace;
  4. riduzione del numero di no-vax e di ostili alla vaccinazione al di sotto del 20%;
  5. utilizzo di vaccini che non solo bloccano la malattia ma anche la trasmissione,

Le sembra probabile che queste 5 condizioni si realizzino tutte entro pochi mesi?

Per quanto riguarda invece la strategia di contenimento del Covid, e soprattutto delle sue varianti, nel discorso si trova poco o nulla. Come interpreta questo “buco”?
E’ questa la mia principale delusione, ed è la conferma che il governo Draghi è nato solo per gestire il Recovery Plan, non certo per fronteggiare  diversamente la pandemia. Draghi non solo non ha sostituito Speranza, ma nulla ha detto che faccia presagire un sostanziale cambio di linea. Io temo che la ragione sia abbastanza semplice: Draghi sa che, non avendo il governo precedente fatto quasi nulla di quel che avrebbe potuto evitare il lockdown, ora l’unica alternativa rimasta sarebbe un lockdown più severo; ma sa anche che, se lo attuasse, la Lega uscirebbe dal governo; quindi anche lui, come il suo predecessore, giochicchierà con il meccanismo dei semafori finché le terapie intensive piene convinceranno anche Salvini (spero ovviamente di sbagliarmi, e che Draghi cambi rotta subito).

Ci sarà un cambio di passo rispetto al governo Conte? O semplicemente si consolideranno il sistema dei colori e dei lockdown locali?
Penso che nelle prime settimane assisteremo a qualche modesto ritocco al sistema dei colori, mentre più avanti – se l’epidemia continuasse a risultare fuori controllo – potrebbe esserci un tardivo appello alla responsabilità individuale, magari accompagnato da qualche promessa di fare finalmente qualcosa sui versanti cruciali: trasporti, tamponi, tracciamento, sequenziamento, medicina territoriale, controllo delle frontiere.
Certo, il fatto di non aver sostituito Speranza fa supporre che, finché la realtà non lo costringerà a cambiare rotta, manterrà la direzione di marcia del governo precedente, con effetti drammatici sull’economia (il che, alla lunga, potrebbe rivelarsi il peccato originale del governo Draghi).

Sulla politica economica invece abbiamo qualche elemento in più. A partire dalla riscrittura del Recovery. Si sente più tranquillo rispetto al precedente governo?
Infinitamente più tranquillo. Penso che con Draghi non vedremo troppe misure di natura clientelare, ed eviteremo pure qualche “boiata pazzesca”, che con il governo precedente nessuno ci avrebbe risparmiato.

Invece sulla visione di Draghi sui sussidi a imprese e lavoratori e su come far ricrescere l’Italia che opinione ha?
Penso che Draghi creda nella “distruzione creatrice” alla Schumpeter, ma che dovrà pure lui concedere qualcosa all’assistenzialismo, andando in soccorso di imprese decotte e salvando posti di lavoro fittizi, magari mediante l’ingresso dello Stato (o meglio della Cassa depositi e Prestiti) nel capitale di alcune imprese.
Il problema è che Draghi non ci ha detto se, per far ripartire la crescita, punterà su politiche care alla destra (meno tasse sui produttori) o su politiche care alla sinistra (redistribuzione del reddito verso i ceti bassi).

Anche sulla politica migratoria mi sembra ci sia ancora un po’ di confusione. Secondo lei nel governo vincerà la spinta leghista o quella di sinistra?
Secondo me vincerà la spinta della sinistra, ma per una buona ragione: la sinistra una soluzione (paradossale) del problema migratorio ce l’ha, mentre la destra ha già dimostrato di non averla.

In che senso?
La soluzione della sinistra è demandare la soluzione all’Europa. In pratica: in attesa che l’Europa batta un colpo, ci teniamo tutti i migranti che sbarcano, e gli facciamo pure il test anti-Covid. Lamorgese è perfetta per questa politica.
La destra invece non ha una soluzione, anche se finge di averla. Tenere i migranti in mare 1-2 settimane e pietire micro-distribuzioni in Europa, senza essere in grado di rimpatriare i non aventi diritto alla protezione internazionale non è una soluzione. Riduce il flusso, ma non risolve il problema.
L’unica che una soluzione sembra averla è la Meloni. Ma la sua soluzione (il blocco navale) non è gradita all’Europa, e probabilmente viola il diritto internazionale, o perlomeno la interpretazione prevalente di esso.

In generale, quanto Draghi può restare ingabbiato dalle spinte contrapposte di partiti molto distanti fra loro? Stupito dalla composizione tecnico-politica dell’esecutivo, con 2/3 dei ministeri riservati ad esponenti politici?
Sì, sono rimasto un po’ stupito, perché mi aspettavo il contrario (2/3 di tecnici e 1/3 di politici), e soprattutto non mi aspettavo una suddivisione così politica dei posti disponibili: manuale Cencelli per i ministeri affidati ad esponenti dei partiti, donne del Pd completamente escluse. Molto significativo che Carlo Calenda, uno dei pochissimi politici con capacità gestionali (e uno dei più convinti sostenitori del governo Draghi), sia stato escluso dall’esecutivo.
L’impressione è che Draghi abbia già concesso molto ai partiti che lo sostengono, mentre non è chiaro se – quando sarà il momento delle scelte che contano – saprà far valere l’interesse nazionale oppure no. Io temo che ci riuscirà per pochi mesi, e che nel semestre bianco – quando i parlamentari non dovranno più temere lo scioglimento delle camere – diventerà ostaggio dei partiti. Ma mi auguro con tutto il cuore che questo non succeda.

Un ultimo passaggio sulla polemica sulla ridotta quota di donne nella squadra. Prima vera “stecca” di Draghi?
Più che stecca di Draghi, benvenuta rivelazione della vera natura del Pd: un partito che non perde occasione per agitare la questione femminile, i diritti delle donne, la parità di genere, e alla prima occasione di passare dalle parole ai fatti rivela la sua cultura quasi-islamica. Zingaretti che afferma che i ministri maschi del Pd li avrebbe scelti Draghi, è la migliore rappresentazione della natura di quel partito, o quantomeno della qualità del segretario che si è scelto.
Nel suo libro (La notte delle ninfee. Come si malgoverna un’epidemia) fa notare come i paesi guidati da donne (Norvegia, Finlandia, Islanda, Danimarca, Nuova Zelanda, Germania) siano stati più efficienti nel combattere la pandemia. Solo un caso o pensa ci sia un nesso causale?
Anche se nel libro lascio in forse la questione, tendo a pensare che un nesso ci sia. Tendenzialmente, le donne sono più concrete, meno narcisiste, meno inclini all’autoinganno (l’autoinganno ritarda le decisioni impopolari, con effetti catastrofici nel governo di un’epidemia). Ma non è solo questo. Probabilmente il fattore chiave, il fattore che spiega perché le donne governano meglio, è la discriminazione a danno delle donne.

Come sarebbe a dire? La discriminazione ha effetti virtuosi?
No, la discriminazione non è una buona cosa, ma produce un effetto statistico interessante. Se c’è discriminazione, ma non ce n’è abbastanza da impedire l’elezione di un premier donna, allora accade che – per farcela – una donna deve essere più brava, più in gamba, più preparata di quanto sia richiesto a un uomo. E se il paese in cui vive è abbastanza civile da concedersi di eleggere un premier donna, allora quel medesimo premier – tendenzialmente – sarà più in gamba. Perché per essere eletto avrà dovuto superare ostacoli più alti di quelli che, mediamente, deve superare un maschio. E’ questo che è successo nella galassia scandinava, e anche in Germania, con il lungo cancellierato di Angela Merkel.

E in Italia, come siamo messi?
Siamo messi male, perché quasi nessuno vuole davvero vedere e affrontare il problema. Che non è (solo) quello della discriminazione delle donne in generale, ma quello della sua matrice politica. Non so se l’ha notato anche lei, ma nel sistema dei partiti la presenza delle donne nei ruoli di comando è strettamente connessa all’asse sinistra-destra. E’ minima nella sinistra comunista e nei Cinque Stelle, è bassa nel Pd, cresce un po’ nel partito di Renzi, è alta nel centro-destra (soprattutto in Forza Italia), è massima in Fratelli d’Italia, il partito più a destra e l’unico – fra i partiti importanti – ad essere guidato da una donna. In nessun altro paese al mondo, che io sappia, la sinistra è così maschilista, e la destra così (a suo modo) femminista.

Intervista rilasciata all’Huffington Post il 19 febbraio 2020




Il termometro dell’epidemia (release 1.0)

La temperatura dell’epidemia è tornata a diminuire. Oggi (ultimo dato disponibile, ore 18.00 del 18 febbraio) il termometro segna 78.8 gradi pseudo-Kelvin ed è in diminuzione di 1.3 gradi.

Il miglioramento è dovuto al calo dei nuovi contagi (nell’ultima settimana si sono registrati 74 mila nuovi casi rispetto ai 78 mila della settimana precedente) e ad una diminuzione più lieve dei decessi (2.1 mila decessi settimanali rispetto ai 2.4 mila della settimana precedente). Continuano a rimasti stabili gli ingressi ospedalieri stimati.

La riduzione settimanale della temperatura è pari a -6.3 gradi.

Va ricordato, come sempre, che l’andamento della temperatura non riflette quello dei contagi attuali, ma quello dei contagi avvenuti 2-3 settimane fa.

La temperatura dell’epidemia è stata calcolata considerando i soli casi identificati mediante test molecolare.

Per maggiori dettagli si rimanda alla Nota tecnica.