The effects of physical distancing and lockdown to restrain SARS-CoV-2 outbreak in the Italian Municipality of Cogne

ABSTRACT

The outbreak of SARS-CoV-2 started in Wuhan, China, and is now a pandemic. An understanding of the prevalence and contagiousness of the disease, and of whether the strategies used to contain it to date have been successful, is important for understanding future containment strategies. One strategy for controlling the spread of SARS-CoV-2 is to adopt strong social distancing policies. The Municipality of Cogne (I), adopted strict lockdown rules from March 4, 2020 up to May 18, 2020. This first wave of the pandemic impressed by the extremely low impact of the SARS-CoV-2 on the locals, compared to the number accused on all the Italian territory. Starting from October 2020 up to the end of December, when the second wave hit Italy and Cogne territory, heavier effects were observed. In order to cast light on the effectiveness of the adopted strategy 74,5% of the local population underwent to a blood screening to detect IgM and IgG antibodies and after six months all the people tested positive were again investigated to establish the longitudinal changes in antibodies level. Moreover, within the context of this survey a rare and interesting case of secondary infection has been identified and here presented.

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Riaprire le scuole?

Da qualche tempo si riparla di aprire le scuole, o perlomeno le scuole materne ed elementari. Il tema della riapertura delle attività culturali sta particolarmente caro alla sinistra, come quello della riapertura delle attività commerciali alla destra. E’ dunque probabile che, nelle prossime settimane, assisteremo a esperimenti di riapertura su entrambi i fronti.

Ma che cosa ci dicono i dati dell’epidemia?

I dati dell’epidemia parlano purtroppo piuttosto chiaro. Fra le società avanzate, l’Italia continua a primeggiare sia in termini di nuovi casi sia in termini di decessi. Quel che è più grave, però, è il trend: in Italia, come in molti altri paesi avanzati, dopo un periodo di rallentamento dell’epidemia (gennaio-febbraio), è partita una nuova ondata: la terza, dopo quelle di marzo-aprile e ottobre-novembre dell’anno scorso.

Perché, ancora una volta, siamo stati colti di sorpresa? Perché non riusciamo a contenere la circolazione del virus? Perché gli ospedali e le terapie intensive sono di nuovo al collasso?

La spiegazione prevalente, su cui convergono mass media, autorità sanitarie e politici di ogni schieramento, punta il dito sui ritardi della campagna vaccinale. Questa spiegazione trova (apparente) sostegno nel fatto che nei tre paesi che sono più avanti nella campagna vaccinale, e cioè Israele, Regno Unito, Stati Uniti l’epidemia è in ritirata. Ma è una spiegazione fasulla, per almeno due motivi. Primo, perché la inversione delle loro curve epidemiche è avvenuta a gennaio, ben prima del decollo delle campagne vaccinali. Secondo, perché ci sono almeno quattro paesi importanti (Portogallo, Irlanda, Canada, Sud Africa) in cui la campagna vaccinale arranca almeno quanto in Italia ma l’epidemia è in ritirata spettacolare fin da gennaio. In tutti e sette i paesi che abbiamo ricordato l’epidemia è stata riportata sotto controllo nel giro di poche settimane.

C’è anche una spiegazione di riserva, però. Secondo molti la colpa delle difficoltà dell’Italia e di altri paesi starebbe nella diffusione delle varianti, e in particolare di quella cosiddetta inglese. La loro crescente trasmissibilità e letalità sarebbe all’origine della terza ondata, e spiegherebbe l’aumento dei casi e dei morti che stiamo osservando in Italia. Ma, di nuovo, è una spiegazione incompatibile con i dati. La variante inglese si è diffusa innanzitutto nel Regno Unito e in Irlanda, e ciò nonostante entrambi i paesi sono riusciti a far retrocedere rapidamente l’epidemia. Quanto alla variante sudafricana, non ha impedito al Sud Africa di invertire la curva fin dal 12 gennaio, senza alcun aiuto da parte delle vaccinazioni, che sono tuttora abbondantemente sotto l’1% (noi siamo vicini al 15%). Del resto un’analisi statistica più generale, che correla diffusione delle varianti e andamento dell’epidemia, rivela che le differenze nella capacità dei vari paesi di contrastare l’epidemia non dipendono in modo apprezzabile né dalla diffusione delle varianti, né dallo stato di avanzamento della campagna vaccinale.

Spiace doverlo ammettere, ma è inevitabile concludere che quel che ci differenza dai paesi che stanno efficacemente contrastando l’epidemia non è né il ritardo della campagna vaccinale né la diffusione delle varianti, ma sono le nostre politiche e i nostri comportamenti.

In che senso?

In due sensi. Primo, non abbiamo fatto e continuiamo a non fare le molte cose che potrebbero servire a contrastare il virus senza lockdown, dalla messa in sicurezza di scuole e traporti pubblici alle politiche di sorveglianza attiva. Secondo, il nostro lockdown – reso inevitabile dall’inerzia del governo Conte – non è un vero lockdown. Se, usando i dati di mobilità resi pubblici da Google, proviamo a misurare il grado di confinamento effettivamente messo in atto nei vari paesi, scopriamo che nei mesi critici di gennaio e febbraio siamo rimasti a casa circa la metà del tempo dell’Irlanda. Non solo, ma se facciamo una graduatoria dei paesi in base al grado di rispetto del lockdown troviamo ai primi posti precisamente i paesi che più hanno avuto successo nel contrastare l’epidemia: Irlanda, Portogallo, Regno Unito, Sudafrica, Canada, Israele. In questa graduatoria l’Italia è solo 21-esima (su 36 paesi). Detto altrimenti, l’andamento dell’epidemia nelle società avanzate è strettamente connesso al rispetto delle misure di confinamento, specie nei mesi critici di dicembre-gennaio-febbraio (figura 1).

Né le cose vanno in modo sostanzialmente diverso se, anziché guardare ai comportamenti della popolazione, ci rivolgiamo ai provvedimenti adottati dalle autorità politico-sanitarie. Una comparazione sistematica fra paesi mostra che la misura più efficace nel contenere l’epidemia è stata la chiusura più o meno totale delle scuole, seguita dalla limitazione degli spostamenti sui trasporti pubblici: la capacità di contenimento dell’epidemia migliora man mano che le chiusure delle scuole diventano più sistematiche e generalizzate (figura 2).

Questo, purtroppo, dicono i dati se li si analizza senza pregiudizi (cosa sempre più difficile, stante la spinta bipartisan alle riaperture). Dobbiamo concludere che il lockdown è l’unica strada?

No, il lockdown non solo non è l’unica strada, ma è la strada sbagliata. Il lockdown è semplicemente l’arma dei governi inerti, che a un certo punto se lo ritrovano come unica arma disponibile perché – prima – non hanno fatto nulla o quasi nulla di quel che avrebbero dovuto fare. E’ quel che è successo a noi in autunno (ai tempi della seconda ondata), ed è risuccesso quest’anno, quando – non avendo di nuovo fatto nulla – ci siamo esposti alla terza.

E ora?

Ora è tardi, perché nel governo la linea del lockdown breve ma durissimo, invano caldeggiata da Walter Ricciardi (consulente di Speranza) fin da ottobre scorso, è stata definitivamente sconfitta, a favore di una linea del tipo “apriamo appena possibile”, che tradotto in pratica significa: apriamo appena c’è abbastanza posto negli ospedali e nelle terapie intensive per accogliere i nuovi malati. E’ possibile che questa linea, che già ci è costata almeno 40 mila morti non necessari da dicembre a febbraio, ce ne costi ancora “solo” alcune migliaia in più nei prossimi mesi, perché un miracolo farà improvvisamente decollare la campagna vaccinale, abbassando drasticamente il numero di morti quotidiano, e perché nessuna nuova variante riuscirà ad eludere i vaccini.

Ma è anche possibile che le cose non vadano così, e che una campagna vaccinale zoppicante combinata con un’altra estate incauta ci espongano, a settembre-ottobre, all’arrivo di una quarta ondata, ancora una volta amplificata dal ritorno a scuola. Possiamo, almeno questa volta, sperare che si faccia finalmente qualcosa, e che lo si faccia in tempo?

Ad alcune misure si sta già per fortuna pensando, ad esempio a tamponi e test periodici a studenti e professori. Poco si sta facendo, invece, sulle due misure chiave: garantire il distanziamento sui mezzi pubblici e mettere in sicurezza le aule. Eppure, se si vuole davvero riaprire definitivamente le scuole, sarebbero due mosse cruciali. Perché le misure di sicurezza dentro le scuole non sono sufficienti se il contagio avviene fuori, nel tragitto casa-scuola e ritorno. E, quanto alle misure interne, quella cruciale è garantire la qualità dell’aria, o mediante filtri che la depurano, o mediante impianti di ricambio con l’esterno (il costo sarebbe inferiore a quello sostenuto per i banchi a rotelle).

Speriamo tutti che, quest’autunno, l’epidemia sia sostanzialmente sotto controllo. Ma sarebbe imperdonabile che la prossima stagione fredda, per sua natura favorevole al virus, dovesse trovarci ancora una volta spiazzati, traditi dalla nostra attitudine ad auto-illuderci.

Pubblicato su Il Messaggero del 27 marzo 2021




Il tempo delle varianti, o il re-framing dell’emergenza infinita

“Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo interessante testo del prof. Miconi, anche se alcune analisi appaiono in contrasto con quelle della Fondazione Hume”

Voce del verbo “variare”

Per discutere del mio tema – come i media operano il framing e re-framing della cronaca – inizierò dalle basi. Variante, sostantivo femminile derivato dal participio presente del verbo “variare”, è un termine di per sé neutro: indica, vuole la Treccani, una “modificazione rispetto a un esemplare o tipo che si considera fondamentale”; e “ciascuna delle diverse forme, dei diversi aspetti con cui una cosa si può presentare rimanendo sostanzialmente identica”[1]. Nella biologia dei virus, la variazione è un fatto altrettanto ordinario: la loro diffusione è scritta da una serie continua di errori di replicazione, che possono cambiarne la morfologia. Perfino l’Istituto Superiore di Sanità – perché tutto è lì, sotto i nostri occhi – ci fa sapere che “i virus, in particolare quelli a RNA come i coronavirus, evolvono costantemente attraverso mutazioni del loro genoma”[2]. Quanto al virus di oggi, la cautela è necessaria: perché la situazione non deve sfuggire di mano, e su questo siamo tutti d’accordo. Dall’altro lato, il buonsenso scientifico ci ricorda però una cosa: che di norma, tra le varianti di un virus, quella che si diffonde più velocemente è quella meno aggressiva, che produce danni minori all’organismo. E questo per una evidenza della teoria dell’evoluzione, spiegata da quel magnifico divulgatore che è Richard Dawkins: lo scopo del virus, per così dire, è quello di usare gli organismi cellulari per riprodursi, e quindi le forme che uccidono l’animale ospite finiscono per circolare di meno[3] [presumo che sia la ragione della scarsa diffusione di Ebola, che colpisce come il serpente dei tre passi]. Tra una necessaria vigilanza e un sano ottimismo, nel regno di mezzo del buonsenso possiamo concludere che al momento non c’è ragione di preoccuparsi più di tanto [al momento: se le cose cambieranno, vedremo]. E allora, perché parlare così tanto di varianti?

Per chi si occupa di ricerca sui media, come me, questo è un caso di scuola di propaganda su grande scala: improvvisamente, da un giorno all’altro, tutti gli organi di informazione iniziano a parlare di varianti – anche se il virus è sempre stato soggetto a mutazioni, e lo era quindi anche l’anno scorso. In più, la martellante campagna di opinione parla di allarme relativo alle varianti, anche se al momento – ripeto: al momento – non si vedono troppe ragioni per farlo. E d’incanto, con la soluzione più banale che ci sia – parlare solo e sempre di varianti, associandole in modo esplicito o surrettizio alla morte – manipolazione è fatta: il problema sono le varianti, di per sé; e nessun punto di vista alternativo è ammissibile. Per l’ennesima volta, grazie alla consonanza più che sospetta delle diverse fonti, la spirale del silenzio si è chiusa[4]. Tutto questo, per essere chiari, non implica alcuna valutazione sullo stato dell’epidemia, che non sono in grado di giudicare, né sulla pericolosità delle varianti, su cui non so nulla. Quello che sto discutendo, viceversa, è il clima di terrore sostenuto dai media, che a forza di allarmi – ogni variante è quella più letale; le due settimane a venire sono sempre quelle peggiori – finiscono per generare un rigetto inevitabile, e rendere la vita difficile a chi ha qualcosa di serio da divulgare. La sconcertante campagna di stampa sugli effetti del vaccino Astra Zeneca ne è la conferma più ovvia, e, quello che più conta, ha prodotto danni incalcolabili per la campagna di immunizzazione.

L’altro ramo della domanda riguarda il perché proprio ad un certo momento, visto che le mutazioni del virus esistevano anche prima – salvo che chi le evocava veniva bollato come negazionista, proprio perché alludeva logicamente ad una plausibile riduzione della letalità, e non sia mai [già, ve lo ricordavate?]. E dunque, è un caso che proprio ora si sia sprigionato il racconto delle varianti, quando le persone hanno smesso di essere spaventate dal virus, e hanno capito come conviverci, con prudenza ma appunto con l’intenzione di vivere? Che tutta la stampa, all’unisono, inizi a raccontare la stessa versione, come se – ma ovviamente è un esempio paradossale, non prendetelo alla lettera – qualcuno dall’alto istruisse i direttori delle testate su cosa fare? Che tanti personaggi si prestino ad alimentare questo clima, da medici che parlano di emergenze smentite dal loro stesso ospedale, a scienziati che vagheggiano di numeri inesistenti?

Lo dice la scienza?

Ora, le previsioni sugli effetti delle varianti le conosciamo a memoria, perché la stampa ha lanciato la solita gara al rialzo tra esperti più o meno improvvisati: Massimo Galli, Giorgio Gilestro, Nino Cartabellotta, Walter Ricciardi, Ilaria Capua, Giorgio Parisi, Andrea Crisanti, perfino uno studente di economia di nome Lorenzo Ruffino [nessuno dei quali, guarda caso, specializzato in epidemiologia]. Al di là delle sfumature, il messaggio era univoco: a marzo la variante farà danni maggiori del virus madre, ucciderà anche i giovani, e in due settimane – le solite, eterne due settimane a venire – avremo 50.000 contagi e 1500 morti al giorno. Parrebbe, insomma, che gli esperti siano selezionati in funzione della loro adesione alla dottrina del lockdown, più che delle loro competenze.  La prova, fin troppo facile, è che nessuno spazio è concesso a epidemiologi di profilo internazionale, che da tempo denunciano le chiusure come una follia: Sunetra Gupta e Lisa White di Oxford; John Ioannidis e Jay Battacharia di Stanford; Didier Raoult di Aix-Marseille; Martin Kulldorff di Harvard [come potete notare, tutti atenei di poco conto, a cui è normale non dare risalto]. Al punto che la Dichiarazione di Great Barrington – il manifesto contro il lockdown dell’ottobre scorso, firmato da 13700 scienziati – non è stata mai citata, come risulta dalla ricerca che stiamo svolgendo con l’Osservatorio di Pavia, dai telegiornali italiani. Voglio ripeterlo: in cinque mesi, tra tutti i telegiornali mainstream – che non parlano altro che di Covid – nessuno ha mai citato, nemmeno una volta, la posizione in materia di alcuni dei più accreditati epidemiologi del pianeta. E anche nei nostri quotidiani, di Covid-19 può parlare chiunque assecondi l’allarme, che siano igienisti, fisici, romanzieri, matematici, veterinari, gastroenterologi, statistici, e perfino studenti di economia; ma gli epidemiologi di Oxford e di Harvard no, loro non hanno titolo per intervenire. I nostri esperti, invece, più sbagliano e più sono chiamati a pontificare in TV: a condizione, va da sé, che continuino a sbagliare per eccesso e che nel dubbio diano la colpa ai cittadini, e mai ad un sistema sanitario incapace sia di curare i malati che di vaccinare gli anziani. Un’interminabile danza macabra, una litania medievale imbevuta di moralismo e morbosità, ben descritta da Andrea Venanzoni come una “religione pandemista”, professata da sacerdoti autoritari che si sono impossessati “manu militari” dei mezzi di informazione[5] – che su questo, aggiungo io, hanno una responsabilità colossale.

La terza ondata è stata meno forte del previsto, ha commentato infine Andrea Crisanti[6] – sembrava quasi con una punta di delusione, laddove di solito se la ride, mentre si parla di privare i cittadini dei propri diritti. Di certo, dal lato dei media studies osserviamo come il tentativo di framing della variante come nuova epidemia abbia funzionato a sua volta meno del previsto: un po’ per l’evidenza delle cose; un po’ per la stanchezza generale; e un po’ per le solite esagerazioni dei nostri giornalisti, capaci di rendersi ridicoli anche nel momento del tragico. Infatti, dopo le minacce brasiliane ed inglesi, è arrivata quella sudafricana; poi quella newyorkese isolata nelle Marche[7]; quella nigeriana rintracciata in Valle d’Aosta; e infine, al culmine del crescendo sabbatico, le “quattro varianti sconosciute” a Palermo[8], la “super-variante italiana” a Novara[9], e la “doppia variante” proveniente dall’India[10] [dove milletrecento milioni di persone, per inciso, hanno convissuto con il Covid con danni risibili]. E ora, vista a rischio l’operazione varianti, i media stanno cercando di operare l’ennesimo re-framing per giustificare delle restrizioni che nessun parametro noto sembra giustificare: fateci caso, ma siamo tornati letteralmente al clima dell’anno scorso, con le fotografie delle persone intubate, le puerili interviste in corsia ai negazionisti pentiti [palesemente inventate, lo so], e tutto il campionario di indecenze a cui i nostri media ci hanno abituato.

Chi segue il dibattito internazionale sa che, ormai in tutto il mondo, la stagione dei lockdown è finita; e molti iniziano a considerarlo come il più grande errore politico del Dopoguerra [quello che io, nel mio piccolo, ho sempre pensato]. Dove si è tornati alla vita normale, dalla Russia al Texas, la ritrovata socialità non ha spostato di un millimetro la curva epidemica. Negli Stati Uniti, come notato dallo stesso Kulldorff, è partita la gara a negare di aver mai appoggiato le chiusure. I dati ufficiali Eurostat indicano che la famigerata Svezia – il paese franco, che ha scelto la via delle libertà e delle responsabilità individuali – è tra le nazioni europee con minore mortalità in eccesso nel 2020[11] [e no, non lo troverete nei nostri media, se ve lo state chiedendo]. Solo pochi paesi, tra cui l’Italia, rimangono ancora posseduti dal culto sacrificale del lockdown, malgrado decine di studi ne mettano in discussione l’utilità, e malgrado i terrificanti danni sanitari, psichici, relazionali ed economici che ne derivano – in breve, la distruzione della nostra società e della democrazia liberale.

La libertà è una cosa semplice

Credo da tempo che, in parallelo alla vicenda epidemiologica – che non giudico, essendo incompetente – corra un’altra storia, quella di spietati gruppi di interesse e di potere che la stanno usando per altri motivi[12]; e che in questa seconda storia il controllo della popolazione non sia un mezzo, ma lo scopo in sé. Introducete questo cambio di variabile, e improvvisamente avrete la spiegazione di tante incongruenze altrimenti oscure: il ribasso continuo dei parametri, la secretazione dei dati, il protagonismo sadico dei virologi, la corsa a chiudere contro le stesse indicazioni governative, la modifica continua delle regole – e non da ultima cosa, l’imposizione di un odioso ed illiberale coprifuoco che non ha la minima motivazione scientifica, eppure è lì da cinque mesi, e nessuno parla.

Forse, invece, è tempo di iniziare a parlare, e a voce alta. E mi riferisco qui al mondo sociale nel suo insieme, o se volete alle persone ordinarie, per così dire: perché i grandi nomi la loro occasione l’hanno già persa. Penso, ad esempio, a Giuseppe Tornatore, un premio Oscar che si è prestato ad un cortometraggio di propaganda inquietante, per come prova a normalizzare la mostruosità della nuda vita umana profanata dai sudari di plastica[13]. Ad Antonio Scurati, premio Strega, che sul Corriere della Sera ha raccontato l’epidemia come una punizione divina che ci saremmo meritati per qualche oscura ragione – come colto, più in generale, da Bernard Henry-Lévy[14] – salvo poi riscoprire una vena di ribellione contro il divieto di fumo all’aperto[15] [sul coprifuoco da Gestapo no, invece; quello pare vada bene]. A Piero Angela, un mite signore che con poca mitezza ha invocato l’esercito contro la “movida” dei giovani[16], che non corrono nessun rischio, per poi contestare ogni proposta di contenimento degli anziani come lui[17] – che almeno sarebbe stato il modo meno doloroso di uscire da questo disastro. Penso a Stefano Boeri, un architetto di fama mondiale, che ha contribuito a rendere così bello il nostro stare a Milano, ma non ha avuto la forza di chiamarsi fuori da un’operazione spaventosamente idiota e dispendiosa – santa pazienza – come la progettazione dei padiglioni di Arcuri, sotto il precedente governo.

No, non sto parlando degli intellettuali; non sto parlando degli accademici; non sto parlando dei sociologi; non sto parlando delle donne e degli uomini della cultura di sinistra, in tutti i campi e a tutti i livelli. Per loro è già tardi, e la colpa del loro silenzio non sarà mai perdonata.


[1] Da qui: https://www.treccani.it/vocabolario/ricerca/variante/.

[2] Dalla pagina web https://www.iss.it/varianti-del-virus [corsivo aggiunto].

[3] R. Dawkins, Il gene egoista. La parte immortale di ogni essere vivente [1976], Milano, Mondadori, 1992. Il tema è in certo modo implicito, va detto, nel modello dell’evoluzione di Darwin.

[4] E. Noelle-Neumann, La spirale del silenzio. Una teoria dell’opinione pubblica [1980], Roma, Meltemi, 2001.

[5] A. Venanzoni, La religione pandemista: nel nome della “scienza” travolti diritti e garanzie della democrazia liberale, “Atlantico Quotidiano”, 18 marzo 2021.

[6] Covid, Crisanti: terza ondata meno peggio del previsto, lancio Adnkronos, 25 marzo 2021.

[7] L. Luminati, Variante Covid New York: identificati nelle Marche i primi due casi italiani, “Il Resto del Carlino”, 24 marzo 2021.

[8] Coronavirus, scoperte a Palermo quattro varianti sconosciute in Italia, “TGR Sicilia”, 23 marzo 2021.

[9] Covid, che cos’è la super-variante italiana e perché preoccupa, “Qui Finanza”, 17 marzo 2021.

[10] In India una nuova variante Covid, “Corriere della Sera”, 25 marzo 2021.

[11] I dati Eurostat sono qui.  Come si vede, l’eccesso di mortalità in Svezia è inferiore a quello di paesi come Italia, Francia, Germania e Spagna, che hanno scelto la strada suicida dei lockdown. Per un primo commento, naturalmente non della stampa italiana, G. Alander, Sweden saw lower 2020 death spike than much of Europe – data, “Reuters”, 24 marzo 2021.

[12] Su questo, ho scritto un primo modesto contributo già nell’aprile del 2020: Epidemie e controllo sociale, Roma, manifestolibri, 2020.

[13] Penso ovviamente a Homo Sacer. Il potere sovrano e la nuda vita, Torino, Einaudi, 1995. Rileggere oggi le pagine di Agamben sulla nuda vita è, va detto, una epifania dolorosa, tanto illuminante quanto terrificante.

[14] B. Henry-Lévy, Il virus che rende folli, Milano, La nave di Teseo, 2020.

[15] A. Scurati, Un divieto ipocrita, fumerò all’aperto, “Corriere della sera”, 21 gennaio 2021.

[16] Qui il lancio ANSA.

[17] Piero Angela: “se il decreto vieta gli spostamenti agli over 70 come unica categoria, sono contrario”, “Huffington Post”, 2 novembre 2020.




Il termometro dell’epidemia (release 1.0)

La temperatura dell’epidemia è diminuita per il terzo giorno consecutivo. Il termometro di oggi (ultimo dato disponibile, ore 18.00 del 24 marzo) segna 134.4 gradi pseudo-Kelvin ed è in calo di 0.7 gradi rispetto a martedì 23 marzo.

Questo miglioramento si deve all’andamento dei nuovi contagi, in diminuzione per il quinto giorno consecutivo (+135 mila nuovi contagi settimanali rispetto ai 142 mila della settimana precedente) e al calo degli ingressi ospedalieri stimati. Continuano invece ad aumentare lievemente i decessi.

La variazione settimanale della temperatura è pari a -2.3 gradi.

Va ricordato, come sempre, che l’andamento della temperatura non riflette quello dei contagi attuali, ma quello dei contagi avvenuti 2-3 settimane fa.

La temperatura dell’epidemia è stata calcolata considerando i soli casi identificati mediante test molecolare.

Per maggiori dettagli si rimanda alla Nota tecnica.




Il termometro dell’epidemia (release 1.0)

Dopo circa un mese, la temperatura dell’epidemia è tornata finalmente a scendere. Il termometro di oggi (ultimo dato disponibile, ore 18.00 del 21 marzo) segna 136.4 gradi pseudo-Kelvin, in diminuzione di un grado rispetto a giovedì 18 marzo.

Questo miglioramento si deve essenzialmente al calo dei nuovi contagi (+138 mila nuovi contagi settimanali rispetto ai 139 mila della settimana precedente), tornati a scendere dopo circa quattro settimane di aumento.

L’incremento settimanale della temperatura è pari a +4.9 gradi.

Va ricordato, come sempre, che l’andamento della temperatura non riflette quello dei contagi attuali, ma quello dei contagi avvenuti 2-3 settimane fa.

La temperatura dell’epidemia è stata calcolata considerando i soli casi identificati mediante test molecolare.

Per maggiori dettagli si rimanda alla Nota tecnica.