Indice DQP: per la pseudo-immunità di gregge (70% di vaccinati) dobbiamo aspettare metà agosto 2021

Le autorità politiche e sanitarie, in particolare il ministro Roberto Speranza e la sottosegretaria Sandra Zampa, hanno ripetutamente dichiarato che la campagna di vaccinazione serve a raggiungere la cosiddetta immunità di gregge:

5 dicembre: “Il nostro obiettivo è l’immunità di gregge grazie al vaccino” (Roberto Speranza).

17 dicembre: “Immunità di gregge a settembre-ottobre prossimi (Sandra Zampa).

28 dicembre: “Oggi il ministro Speranza ha precisato che entro marzo raggiungeremo la quota di 13 milioni di italiani vaccinati contro Covid-19, e quindi in estate potremo già essere molto avanti nel perseguimento dell’obiettivo immunità di gregge data dal 70%” (Sandra Zampa).

9 gennaio 2021: “Per arrivare all’immunità di gregge dobbiamo vaccinare l’80% di 60 milioni di italiani” (Sandra Zampa).

13 marzo 2021: “È stata considerata una progressione della capacità vaccinale dalle 170 mila somministrazioni medie giornaliere (registrate dal 1 al 10 marzo) fino ad almeno 500 mila entro il mese di aprile” (Piano vaccinale del Commissario straordinario per l’emergenza Covid-19). In base al nuovo Piano vaccinale si dovrebbe arrivare a raggiungere il 70% di copertura vaccinale a fine agosto.

Per “immunità di gregge” si intende una situazione nella quale ci sono abbastanza persone vaccinate (e non in grado di trasmettere il virus) da portare la velocità di trasmissione del virus (Rt) al di sotto di 1, con conseguente progressiva estinzione dell’epidemia. Per calcolare la percentuale di vaccinati necessaria (Vc) per avviare il processo di estinzione dell’epidemia occorre conoscere il valore di R0 (velocità di trasmissione in condizioni di normalità) e il valore di E (efficienza media dei vaccini, intesa come capacità di bloccare la trasmissione):

Vc = (1-1/R0)/E

Poiché R0 ed E dipendono dal tipo di varianti presenti in un determinato paese in un dato momento, nonché dalle caratteristiche dei vaccini, nessuno è attualmente in grado di indicare la soglia per l’immunità di gregge. Se E è troppo basso, il valore di Vc supera 1, il che significa che nemmeno vaccinando tutti si ottiene l’immunità di gregge.

Ecco perché la soglia del 70% da noi utilizzata NON è quella che garantisce l’immunità di gregge (e che è sconosciuta), ma è semplicemente la quota realisticamente raggiungibile in un paese come l’Italia, in cui non si possono vaccinare i più giovani (perché manca il vaccino), e una parte degli adulti non intende vaccinarsi.

Ma quante settimane occorreranno per vaccinare un numero di italiani sufficiente a raggiungere una copertura del 70%?

A rispondere a questa domanda provvede l’indice DQP (acronimo di: Di Questo Passo), che stima il numero di settimane che sarebbero ancora necessarie se – in futuro – le vaccinazioni dovessero procedere “di questo passo”.

A metà della venticinquesima settimana del 2021 (mercoledì mattina, 23 giugno) il valore di DQP è pari a 7 settimane, il che corrisponde al raggiungimento della pseudo-immunità di gregge verso metà agosto del 2021.

Anche questa settimana, il valore del DQP è rimasto sostanzialmente stabile.

Negli ultimi sette giorni, sono state somministrate poco meno di 3.8 milioni di dosi, circa 542 mila somministrazioni giornaliere (si è scesi sotto quota 500 mila soltanto nella giornata di domenica 20 giugno), in linea con gli obiettivi del piano vaccinale.

Nel caso in cui si decidesse di utilizzare soltanto vaccini che prevedono una seconda somministrazione, occorrerebbero 3 settimane in più. “Di questo passo” la pseudo-immunità di gregge verrebbe raggiunta in 10 settimane, non prima di fine agosto del 2021.


Nota tecnica

Le stime fornite ogni settimana si riferiscono ai 7 giorni precedenti e si basano sui dati ufficiali disponibili la mattina del giorno in cui viene calcolato il DQP (quindi possono subire degli aggiornamenti).

Va precisato che la nostra stima è basata sulle ipotesi più ottimistiche che si possono formulare, e quindi va interpretata come il numero minimo di settimane necessarie.

Più esattamente l’interpretazione dell’indice è la seguente:

DQP = numero di settimane necessario per raggiungere almeno il 70% degli italiani con almeno 1 vaccinazione completa procedendo “Di Questo Passo”.

A partire dalla prima settimana completa dell’anno (da lunedì 4 a domenica 10 gennaio) la Fondazione Hume calcola settimanalmente il valore dell’indice DQP (acronimo per: Di Questo Passo).

L’indice si propone di fornire, ogni settimana, un’idea vivida della velocità con cui procede la vaccinazione, indicando l’anno e il mese in cui si potrà raggiungere l’immunità di gregge procedendo “Di Questo Passo”.

Il calcolo dell’indice si basa su 3 parametri:

  1. quante vaccinazioni sono state effettuate nell’ultima settimana considerata;
  2. quante vaccinazioni erano già state effettuate dall’inizio della campagna (1° gennaio 2021) fino alla settimana anteriore a quella su cui si effettua il calcolo;
  3. che tipo di vaccini verranno presumibilmente usati (a 2 dosi o a dose singola).

Nella versione attuale l’indice si basa su due ipotesi ottimistiche, e precisamente:

  • l’obiettivo è solo di vaccinare il 70% della popolazione (anziché l’80 o il 90%, come potrebbe risultare necessario);
  • ci si accontenta di vaccinare ogni italiano in modo completo una sola volta, trascurando il fatto che, ove la campagna di vaccinazione dovesse prolungarsi per oltre un anno, bisognerebbe procedere a un numero crescente di rivaccinazioni.



Il successo del “sistema misto” di Singapore

Continua la nostra riflessione sui paesi orientali che meglio hanno affrontato la pandemia. Fino ad ora abbiamo visto come Corea del Sud e Taiwan hanno dimostrato come un protocollo efficiente possa contenere, o quantomeno limitare, i danni derivanti dal Coronavirus. Tuttavia, non bisogna dimenticarsi di Singapore, una città-Stato di quasi 6 milioni di abitanti in cui la cultura cinese, indiana e occidentale convivono in armonia e dove finora si è avuto un numero di contagiati di poco superiore a 62.000 e un numero di morti ancor più esiguo: appena 34, il che equivale a un tasso di 6 morti per milione di abitanti, uno dei più bassi al mondo.

Inoltre, va considerato che la maggior parte dei contagi e dei decessi si è verificata all’inizio dell’epidemia, giacché da diversi mesi Singapore ha arrestato l’avanzata del virus: da metà settembre in poi i nuovi casi giornalieri si sono mantenuti stabilmente quasi sempre sotto la decina per cui dobbiamo chiederci come sia potuto accadere.

Anzitutto, dobbiamo notare che il fattore tempo è stato fondamentale nella scelta delle strategie da adottare per la gestione dell’epidemia. Nella cosiddetta “Svizzera d’oriente” si è deciso di rispondere anticipatamente e con aggressività al problema, forse memori delle recenti epidemie e forti dell’esperienza maturata dal National Centre for Infectious Diseases. Così come è accaduto a Taiwan, infatti, anche il governo di Singapore ha disposto dei controlli pressoché immediati per chiunque arrivasse dalla Cina e in particolare da Wuhan, benché queste restrizioni siano costate molto in termini di introiti economici, in quanto la Cina continentale è per Singapore il principale partner commerciale e una grande fonte di turismo.

Già a inizio gennaio 2020 il ministro della salute aveva predisposto il controllo della temperatura per tutti i viaggiatori in entrata, per poi, di lì a poco, annullare completamente i voli con la Cina, quando il resto del mondo stava ancora cercando di capire cosa stesse accadendo. Inoltre, era stato attivato un articolato sistema di tracciamento e l’obbligo di quarantena per due settimane per tutte le persone che erano state a contatto con i contagiati e per chiunque provenisse da un paese estero con dei casi di coronavirus.

All’inizio il sistema ha funzionato, ma verso metà marzo c’è stata un’improvvisa impennata dei contagi, principalmente nei dormitori riservati ai lavoratori stranieri, molto affollati, in cui le misure di sicurezza non venivano rispettate. Così il 7 aprile 2020, il governo ha deciso di istituire un lockdown generalizzato di 8 settimane, oltre alla quarantena obbligatoria per oltre 20.000 migranti che risiedevano nei dormitori divenuti i principali focolai di trasmissione del virus.

Va notata la tempestività con cui il governo di Singapore ha reagito, dimostrando di avere perfettamente capito, diversamente dai governi occidentali, quella che Ricolfi chiama «l’aritmetica dell’epidemia» (La notte delle ninfee, Milano 2021, p. 17). Queste misure, infatti, sono state adottate quando in tutto il paese c’erano stati appena 5 morti e i contagi giornalieri erano un centinaio (per avere un termine di paragone, in Italia il semi-lockdown è stato dichiarato quando c’erano già stati oltre 7000 morti e si viaggiava sui 1500 contagi al giorno). Tuttavia, il dato allarmante non era il valore assoluto, ma il fatto che a metà marzo in pochi giorni si era passati da pochi casi sporadici a oltre una ventina al giorno e quindi, verso fine mese, da 20 a 100 nel giro di una settimana, il che significava che la crescita stava diventando esponenziale.

Nei giorni seguenti, infatti, i casi rilevati hanno continuato a crescere, fino ai 1426 del 20 aprile, ma poi, dopo solo due settimane, la tendenza si è invertita. A partire dal 2 giugno 2020, con il calo del numero dei contagi, si è giunti alla riapertura dei negozi e dei locali, mantenendo però severe norme di distanziamento sociale e l’obbligo di indossare la mascherina.

Inoltre, Singapore ha provveduto a creare un efficiente tracciamento dei contatti che si fonda su un sistema misto e decentralizzato, differente da quello offerto da Apple-Google con il modello Api, utilizzato invece in Corea del Sud. Durante la passata epidemia di Sars il governo di Singapore era stato infatti criticato aspramente per aver adottato misure fortemente lesive della privacy, come, ad esempio, l’obbligo delle persone poste in quarantena di misurare la temperatura due volte al giorno e di essere costantemente connesse ad una webcam. Per questo stavolta il governo ha scelto di seguire una strategia differente.

A testimonianza dell’efficienza delle misure di contenimento attuate dal governo possiamo considerare il modello utilizzato nei campus universitari. Per evitare che il contagio si diffondesse gli studenti sono stati confinati in diverse aree, gli è stato vietato di affollare i luoghi di aggregazione e sono stati obbligati a scaricare un’applicazione di tracciamento che attestasse la loro negatività. Dallo scorso dicembre, inoltre, agli alunni di età superiore ai sette anni è stato chiesto di indossare un dispositivo; un token grande come una moneta chiamato TraceTogether. Questa decisione è stata presa in quanto i bambini non sempre hanno uno smartphone di loro proprietà e i token, oltre ad essere gratuiti (il costo è a carico del governo), si possono indossare come una collana. Questo progetto si inserisce in una visione ben più ampia che ha permesso, utilizzando metodi analoghi, il riavvio di fiere e conferenze pubbliche grazie a una maggiore tracciabilità.

Le autorità tengono a precisare che il token non è obbligatorio, benché sia fortemente consigliato, e che per via dell’assenza di un chip di geolocalizzazione l’App TraceTogether non è da considerarsi come un dispositivo di tracciamento munito di tag elettronico e volto a individuare la posizione e gli spostamenti dei cittadini. Si tratta invece di uno strumento utile a seguire a ritroso le tracce del contagio, in cui però l’uploading dei dati è consentito solo con il consenso e la partecipazione dell’interessato. Le informazioni raccolte vengono archiviate sui dispositivi per 25 giorni e poi cancellate e vengono condivise con il ministero della salute solo in caso di positività al Coronavirus, allo scopo di consentire agli operatori di ricostruire la catena dei contagi. Chi viene contattato dal ministero in quanto potenzialmente contagiato è obbligato a collaborare e a fornire qualsiasi informazione possa essere utile. Questa formula sta riscuotendo i favori della critica perché, a differenza delle App coreane, questi dispositivi comportano meno rischi per la privacy e ottengono ugualmente ottimi risultati.

Il rovescio della medaglia è che la minore invasività del sistema di tracciamento implica la necessità di fare un maggior numero di tamponi rispetto alla Corea, ma comunque non in quantità eccessive. Attualmente, infatti, Singapore è 17° al mondo per numero di tamponi in rapporto alla popolazione col 217%, il che significa che in media ogni abitante è stato testato un po’ più di due volte. È circa il doppio dell’Italia (38a con il 114%) e degli altri principali paesi occidentali (che viaggino più o meno sulla stessa media dell’Italia), ma sempre molto meno del 1095% della Danimarca, che guida la classifica, avendo controllato i propri abitanti oltre 10 volte a testa, ottenendo però un risultato (435 morti per milione) certamente migliore di gran parte degli altri paesi occidentali, ma comunque lontanissimo da quello di Singapore. Ciò dimostra che fare molti tamponi certo aiuta, ma ancora più importante è farli bene.

Inoltre, ultimamente il ministero della salute ha avviato una sperimentazione chiamata BreFence Go Covid-19 Breath Test System. Si tratta di un test rapido non invasivo, alternativo ai tamponi e all’analisi sierologica: bastano solo sessanta secondi di attesa dopo aver fatto un bel respiro. Il sistema è stato messo a punto dalla Breathonix, una startup dell’Università Nazionale di Singapore, e può ricordare gli alcool test a cui sono sottoposti i guidatori in stato di ebbrezza, ma in realtà questo tipo di tecnologia deriva da quella in uso per la rilevazione di markers tumorali.

Il paziente deve soffiare in una valvola monouso e uno spettrometro rileva la composizione molecolare del suo respiro per scovare indizi di malattie in corso, tra cui indizi riconducibili al Covid. Un software di machine learning confronta il risultato ottenuto con il profilo del respiro ipotetico in caso di malattia. La procedura richiede un minuto e i risultati vengono mostrati in tempo reale. Il test è poco invasivo e può essere fatto anche da personale non medico. I tre trial clinici finora condotti su 180 pazienti hanno dimostrato che il sistema ha una sensibilità ai marker del Covid del 93% e una specificità del 95%: il margine di falsi negativi e falsi positivi è quindi molto basso. Il ministro della salute di Singapore sta collaborando con la Breathonix al fine di avviare una sperimentazione sul campo. I test rapidi verranno usati sulle persone che entrano in città dalla Malesia: la sperimentazione è necessaria in quanto nella vicina Malesia sono state individuate delle nuove varianti di Coronavirus trasmesse all’uomo dai cani. Comunque, anche per il futuro si avrà certamente bisogno di nuove tecnologie e di test rapidi non invasivi, economicamente sostenibili e applicabili su larga scala.

Il successo della strategia attuata dal governo di Singapore si può imputare a vari fattori. Anzitutto, come Taiwan, il riconoscimento della pericolosità del Covid-19 già in una fase embrionale. Inoltre, anche a Singapore, come a Taiwan e in Corea, si erano dovuti scontrare con le epidemie di Aviaria e di Sars, pertanto erano preparati e avevano i mezzi per intervenire, sia sul controllo dei casi di importazione, sia per il tracciamento e la quarantena degli infetti mediante l’utilizzo di tamponi gratuiti per tutta la popolazione. A ciò si aggiungono poi le severe sanzioni per chiunque disobbedisca alle disposizioni governative, tra cui la revoca del visto e l’espulsione per chi non è cittadino singaporiano.

Inoltre, di certo aiuta il fatto che Singapore presenti un territorio circoscritto che rende più semplice il controllo dei movimenti in entrata e in uscita dal paese e inoltre abbia una gestione singola e centralizzata che evita dissidi tra governi e autonomie come avviene invece in Europa o negli Stati Uniti. Ma anche l’aspetto culturale conta molto: Singapore nutre da sempre grande fiducia nella scienza, che è presente in ogni decisione politica e i medici posso ordinare tamponi per i pazienti sospetti basandosi esclusivamente sulle proprie valutazioni.

Infine, il governo di Singapore ha avviato una grande campagna comunicativa. È stato lanciato persino un video rap per invogliare i cittadini a vaccinarsi contro il Covid. I protagonisti del filmato sono alcuni interpreti di una sitcom molto famosa negli anni Novanta: Phua Chu Kang Pte Ltd. Il comico Gurmit Singh per l’occasione veste i panni di Phua Chu Kang, un eccentrico appaltatore che canta: “Insieme possiamo vincere. È ora di vaccinarci tutti insieme”. Con questo video il governo di Singapore vuole dissipare i dubbi e le preoccupazioni degli anziani e di tutti coloro che hanno dei problemi di salute in merito ai possibili rischi dei vaccini.

Singapore sta circoscrivendo molto bene i focolai di Covid-19, mentre i paesi occidentali sono sfiniti dalla quarantena e arrancano provando ad uscire dall’emergenza, mentre dovrebbero approfondire lo studio dei modelli asiatici di gestione della pandemia. A differenza dei suoi vicini, tuttavia, Singapore non ha puntato su un solo metodo, bensì su un “sistema misto”, che, molto pragmaticamente, cerca di prendere il meglio da ciascuna strategia, con un approccio caratterizzato da brevi lockdown alternati a momenti di maggiore libertà, insieme a una capillare azione per identificare e isolare i contagi. Una strategia che secondo molti esperti (si veda per esempio l’articolo di potrebbe essere la più funzionale per rendere sopportabile la convivenza con il Coronavirus.

 

Sitografia




Variante delta, qualcosa è cambiato

Premetto che posso sbagliarmi, e che il futuro potrebbe rivelarsi – speriamo – più roseo di come io l’immagino. Però penso che non sia opportuno nascondere, o minimizzare, alcuni dati che stanno emergendo negli ultimi tempi riguardo all’andamento dell’epidemia.

Comincio da quel che sta accadendo nel Regno Unito, ossia nel paese europeo più avanti con la vaccinazione. Ebbene, passata l’euforia da riaperture del mese di aprile, da qualche settimana le autorità sono preoccupate perché tutti i principali indicatori dell’andamento dell’epidemia sono in risalita. Negli ultimi 15 giorni sono cresciuti il numero di morti, gli ingressi in terapia intensiva, le ospedalizzazioni, il numero di nuovi casi, il quoziente di positività, nonché il valore di Rt (quest’ultimo abbondantemente sopra 1 da oltre un mese). In breve: a dispetto della campagna di vaccinazione più avanzata del continente europeo, e nonostante il favore della stagione (sole + vita all’aperto), l’epidemia sta rialzando la testa.

Perché?

Difficile attribuire la responsabilità alle timide riaperture di maggio, o alla indisciplina degli inglesi, non certo superiore a quella degli italiani. Secondo la maggior parte degli osservatori, la causa del riaccendersi del contagio è la cosiddetta variante indiana (ora ribattezzata delta, per non offendere gli indiani: ci mancava pure il “vaccinalmente corretto”…), che nel Regno Unito nel giro di pochissimi mesi è diventata largamente dominante (98%). La sua velocità di trasmissione è circa il 60% maggiore di quella della variante inglese, cha a sua volta era del 50% più veloce di quelle dominanti durante il primo lockdown. Alla diffusione della variante ha certamente contribuito il ritardo con cui il governo inglese ha limitato gli ingressi dall’India, e probabilmente anche la scelta (imitata dalle autorità sanitarie italiane) di allungare il tempo fra una dose e l’altra, allo scopo di ampliare la platea dei vaccinati almeno con una dose, senza valutare adeguatamente che il fatto che la protezione assicurata dalla prima dose è sensibilmente inferiore a quella delle due dosi.

Che la variante indiana c’entri con la ripresa dell’epidemia è confermato da quel che sta succedendo in Portogallo, un paese che aveva gestito benissimo l’epidemia a inizio anno, ma che nel giro di pochi mesi è divenuto il secondo paese europeo (dopo il Regno Unito) per diffusione della variante delta (96%). Ebbene in Portogallo, dopo una discesa spettacolare di tutti gli indicatori fra febbraio a maggio, da una decina di giorni la tendenza si è invertita, e quasi tutti sono di nuovo in aumento.

E in Italia?

Da qualche tempo le autorità sanitarie provano a rassicurarci ripetendo che, qui da noi, la variante indiana è marginale (sotto l’1%), e non desta quindi particolari preoccupazioni. Peccato che i dati usati siano un po’ vecchiotti, e che giusto in questi giorni un’analisi del database Gisaid condotta dal Financial Times riveli che la penetrazione della variante indiana nel nostro paese è del 26%, in base all’ultimo aggiornamento dei dati. In concreto questo significa che la sua velocità di diffusione è altissima (meno di due settimane fa la variante delta era ferma al 2.8%), e che nel giro di un mese o due potremmo trovarci in una situazione simile a quella di Regno Unito e Portogallo, con una curva epidemica che tende a risalire nonostante la campagna vaccinale e il caldo. Il che significa: nuovo aumento dei casi, degli ospedalizzati, dei morti, eccetera.

A quanto pare anche una campagna di vaccinazione molto avanzata come quella del Regno Unito non basta a frenare l’avanzata della variante indiana. Ciò peraltro non deve stupire, per (almeno) tre motivi. Primo, anche nel Regno Unito, e a maggior ragione in Italia, una frazione considerevole della popolazione non è vaccinata, o è vaccinata con una sola dose. Secondo, la variante indiana pare più capace di eludere i vaccini. Terzo, le analisi più recenti condotte dalle autorità sanitarie inglesi suggeriscono che chi è vaccinato con una sola dose conservi una elevata capacità di tramettere il virus ad altri, sia con AstraZeneca, sia con Pfizer (per i vaccinati con due dosi non si sa, perché non ci sono abbastanza dati).

Se proiettiamo queste tendenze nel periodo medio-lungo, uno degli scenari che non possiamo escludere è lo scenario del tipo “quasi tutti si infettano – quasi nessuno muore”: la vaccinazione di massa riesce ad abbattere la letalità dell’infezione, ma  non basta a fermare la circolazione del virus. Uno scenario che a molti può apparire rassicurante, ma lo sarebbe davvero solo se fossimo certi che non emergeranno varianti più letali di quelle attuali, e la ricerca medica ci assicurasse che, per i vaccinati, l’infezione non solo non conduce alla morte, ma non lascia danni seri e durevoli a chi si è infettato.

Che dire, in conclusione?

Forse, semplicemente che stiamo ripetendo esattamente gli errori di un anno fa, quando la maggior parte dei paesi occidentali, per rilanciare l’economia, scelsero di assecondare il turismo internazionale, che è benzina sul fuoco di una pandemia.

Oggi quell’errore, ai nostri governanti ma anche a noi comuni cittadini, non appare più tale “perché questa volta abbiamo i vaccini”. Io penso invece che stiamo facendo male i nostri calcoli. Perché è vero che i vaccini abbattono sensibilmente il rischio di ospedalizzazione e di morte per una frazione della popolazione (quella dei pienamente vaccinati), ma è altrettanto vero che i pienamente vaccinati sono solo 1 su 4, e la trasmissibilità del virus è enormemente aumentata rispetto a un anno fa. E’ come se un antico cavaliere pensasse di poter battere l’avversario perché, ora, dispone finalmente di una robusta armatura di ferro, e non si accorgesse che l’avversario non combatte più con la spada, ma con una moderna mitragliatrice.

Pubblicato su Il Messaggero del 21 giugno 2021




Indice DQP: per la pseudo-immunità di gregge (70% di vaccinati) dobbiamo aspettare metà agosto 2021

Le autorità politiche e sanitarie, in particolare il ministro Roberto Speranza e la sottosegretaria Sandra Zampa, hanno ripetutamente dichiarato che la campagna di vaccinazione serve a raggiungere la cosiddetta immunità di gregge:

5 dicembre: “Il nostro obiettivo è l’immunità di gregge grazie al vaccino” (Roberto Speranza).

17 dicembre: “Immunità di gregge a settembre-ottobre prossimi (Sandra Zampa).

28 dicembre: “Oggi il ministro Speranza ha precisato che entro marzo raggiungeremo la quota di 13 milioni di italiani vaccinati contro Covid-19, e quindi in estate potremo già essere molto avanti nel perseguimento dell’obiettivo immunità di gregge data dal 70%” (Sandra Zampa).

9 gennaio 2021: “Per arrivare all’immunità di gregge dobbiamo vaccinare l’80% di 60 milioni di italiani” (Sandra Zampa).

13 marzo 2021: “È stata considerata una progressione della capacità vaccinale dalle 170 mila somministrazioni medie giornaliere (registrate dal 1 al 10 marzo) fino ad almeno 500 mila entro il mese di aprile” (Piano vaccinale del Commissario straordinario per l’emergenza Covid-19). In base al nuovo Piano vaccinale si dovrebbe arrivare a raggiungere il 70% di copertura vaccinale a fine agosto.

Per “immunità di gregge” si intende una situazione nella quale ci sono abbastanza persone vaccinate (e non in grado di trasmettere il virus) da portare la velocità di trasmissione del virus (Rt) al di sotto di 1, con conseguente progressiva estinzione dell’epidemia. Per calcolare la percentuale di vaccinati necessaria (Vc) per avviare il processo di estinzione dell’epidemia occorre conoscere il valore di R0 (velocità di trasmissione in condizioni di normalità) e il valore di E (efficienza media dei vaccini, intesa come capacità di bloccare la trasmissione):

Vc = (1-1/R0)/E

Poiché R0 ed E dipendono dal tipo di varianti presenti in un determinato paese in un dato momento, nonché dalle caratteristiche dei vaccini, nessuno è attualmente in grado di indicare la soglia per l’immunità di gregge. Se E è troppo basso, il valore di Vc supera 1, il che significa che nemmeno vaccinando tutti si ottiene l’immunità di gregge.

Ecco perché la soglia del 70% da noi utilizzata NON è quella che garantisce l’immunità di gregge (e che è sconosciuta), ma è semplicemente la quota realisticamente raggiungibile in un paese come l’Italia, in cui non si possono vaccinare i più giovani (perché manca il vaccino), e una parte degli adulti non intende vaccinarsi.

Ma quante settimane occorreranno per vaccinare un numero di italiani sufficiente a raggiungere una copertura del 70%?

A rispondere a questa domanda provvede l’indice DQP (acronimo di: Di Questo Passo), che stima il numero di settimane che sarebbero ancora necessarie se – in futuro – le vaccinazioni dovessero procedere “di questo passo”.

A metà della ventiquattresima settimana del 2021 (mercoledì mattina, 16 giugno) il valore di DQP è pari a 9 settimane, il che corrisponde al raggiungimento della pseudo-immunità di gregge verso metà agosto del 2021.

Il valore del DQP è rimasto sostanzialmente stabile rispetto a quello della settimana scorsa.

Questa settimana sono state somministrate poco meno di 3.8 milioni di dosi (un numero leggermente più basso di quello della settimana precedente), circa 539 mila somministrazioni giornaliere, in linea con gli obiettivi del piano vaccinale.

Nel caso in cui si decidesse di utilizzare soltanto vaccini che prevedono una seconda somministrazione, occorrerebbero 2 settimane in più. “Di questo passo” la pseudo-immunità di gregge verrebbe raggiunta in 11 settimane, non prima di fine agosto del 2021.

Nota tecnica

Le stime fornite ogni settimana si riferiscono ai 7 giorni precedenti e si basano sui dati ufficiali disponibili la mattina del giorno in cui viene calcolato il DQP (quindi possono subire degli aggiornamenti).

Va precisato che la nostra stima è basata sulle ipotesi più ottimistiche che si possono formulare, e quindi va interpretata come il numero minimo di settimane necessarie.

Più esattamente l’interpretazione dell’indice è la seguente:

DQP = numero di settimane necessario per raggiungere almeno il 70% degli italiani con almeno 1 vaccinazione completa procedendo “Di Questo Passo”.

A partire dalla prima settimana completa dell’anno (da lunedì 4 a domenica 10 gennaio) la Fondazione Hume calcola settimanalmente il valore dell’indice DQP (acronimo per: Di Questo Passo).

L’indice si propone di fornire, ogni settimana, un’idea vivida della velocità con cui procede la vaccinazione, indicando l’anno e il mese in cui si potrà raggiungere l’immunità di gregge procedendo “Di Questo Passo”.

Il calcolo dell’indice si basa su 3 parametri:

  1. quante vaccinazioni sono state effettuate nell’ultima settimana considerata;
  2. quante vaccinazioni erano già state effettuate dall’inizio della campagna (1° gennaio 2021) fino alla settimana anteriore a quella su cui si effettua il calcolo;
  3. che tipo di vaccini verranno presumibilmente usati (a 2 dosi o a dose singola).

Nella versione attuale l’indice si basa su due ipotesi ottimistiche, e precisamente:

  • l’obiettivo è solo di vaccinare il 70% della popolazione (anziché l’80 o il 90%, come potrebbe risultare necessario);
  • ci si accontenta di vaccinare ogni italiano in modo completo una sola volta, trascurando il fatto che, ove la campagna di vaccinazione dovesse prolungarsi per oltre un anno, bisognerebbe procedere a un numero crescente di rivaccinazioni.



Come il mito dei droplets ha sostituito (fino ad oggi) la trasmissione aerea

L’importanza della trasmissione aerea è stata oggetto di accesi dibattiti scientifici durante la pandemia del COVID-19. Essa è stata inizialmente negata con forza dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e dalla maggior parte delle organizzazioni di sanità pubblica. Ciò contrastava con l’interpretazione di molti scienziati secondo cui la trasmissione aerea è il contributo predominante al contagio.

Leggi l’articolo completo: Come il mito dei droplets ha sostituito (fino ad oggi) la trasmissione aerea