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Società

Covid, la lezione ignorata del Titanic

27 Dicembre 2021 - di Valerio De Vita

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Una nuova ondata epidemica attraversa l’Europa da mesi: da metà ottobre l’indice Rt ha preso ad aumentare anche nei Paesi posti più a sud e più ad ovest, inizialmente risparmiati dalla recrudescenza dei contagi, facendo così vacillare la convinzione (l’illusione?) che queste nazioni – Portogallo, Spagna, Italia – si fossero salvate grazie al maggiore tasso di vaccinazione della loro popolazione. Per la seconda estate di seguito – già durante quella del 2020 dieci illustri scienziati italiani avevano firmato il manifesto di morte di Sars-CoV2 – si è colpevolmente dato vita ad una narrazione secondo la quale il morbo era stato sconfitto, il peggio era alle spalle. Un racconto non aderente al reale, cognitivamente dissonante, che provava a giustificare i comportamenti singoli e collettivi e che andava inserendosi in una più ampia cornice narrativa dove – a suggello di un 2021 descritto come straordinariamente positivo – trovavano posto una serie di successi nazionali tra i più vari: dal maggiore prestigio internazionale del nuovo Presidente del Consiglio alla crescita del PIL, passando per vittorie sportive e canore. Nel mentre, errori, ritardi, omissioni, contraddizioni hanno continuato (e, purtroppo, continuano) a caratterizzare – ad onor del vero non solo nel nostro Paese – la gestione della pandemia. Si è pensato di poter applicare soluzioni semplici ad un problema complesso. Si è puntato quasi tutto sui vaccini, demandando quindi quasi interamente a soggetti privati (le aziende farmaceutiche) la realizzazione di strumenti in grado di proteggerci dal contagio e dalle sue conseguenze. È rimasto inascoltato l’invito di chi suggeriva di coinvolgere nella gestione dell’emergenza anche figure esterne al mondo sanitario, quali ingegneri, fisici, matematici. Poco o nulla è stato fatto sul fronte dei trasporti e sulla qualità dell’aria negli ambienti chiusi, su cui pure si dovrebbe agire, per quanto siano richiesti un impegno economico e uno sforzo organizzativo poderosi.  È stato parzialmente dismesso il lavoro a distanza. È stato riaperto tutto o quasi tutto a piena capienza. Non è stato imposto l’uso di maschere FFP2 neanche in contesti chiusi ad elevato rischio di trasmissione. Per la scuola poco, anzi nulla, è stato fatto, se non smantellare parte dell’esame di maturità, adducendo come motivazione il pericolo dei contagi, i quali inevitabilmente a fine giugno / inizio luglio saranno più contenuti per ragioni legate al clima. A proposito di clima, si è fatto finta di non sapere che l’abbassamento delle temperature avrebbe favorito moltissimo la diffusione di Sars-CoV-2 e portato ad una moltiplicazione dei casi. Il tracciamento è stato in parte abbandonato, le risorse investite nel sequenziamento genetico delle varianti circolanti non sono state sufficientemente incrementate. Abbiamo ignorato l’eventualità che, dopo la beta e la delta, comparse l’una a pochi mesi di distanza dall’altra, potesse diffondersi una nuova variante virale capace di sparigliare ancora una volta le carte. È stata data voce ad esperti (forse anche presunti tali), assecondandone le ambizioni personali, consentendo loro di iperesporsi, aumentando il rischio che potessero abbandonarsi anche a considerazioni poco caute e facendo perdere valore – perché inflazionate – alle loro parole, anche quando dettate dal buon senso. Alla maggior parte delle persone d’età compresa tra i sessanta e gli ottanta anni non è stato somministrato il vaccino, tra quelli disponibili, dotato di maggiore efficacia. Si è coltivata l’illusione secondo la quale all’aumentare del numero totale di dosi somministrate nel Paese, e quindi del numero di soggetti vaccinati, corrispondesse un aumento progressivo del grado di protezione di cui la popolazione godeva, quando invece era già intuibile che la progressiva perdita di efficacia dei vaccini stava conducendo di fatto ad un abbassamento del livello di immunizzazione collettiva. Quando era già noto che l’efficacia dei vaccini andava riducendosi ben prima che fossero trascorsi 6 mesi dall’inoculo, la durata del Green Pass è stata prolungata da 9 a 12 mesi. È stata fatta partire con ritardo la campagna di somministrazione delle dosi di richiamo, quando da mesi – per le ragioni appena esposte – era evidente l’urgenza di procedere in tale direzione. Sono state autorizzate molteplici combinazioni vaccinali sì da rendere difficilissimo in futuro stimare in modo attendibile il grado di protezione della popolazione. Temendo forse una ridotta adesione alla campagna vaccinale, è stato raccontato che i vaccini avessero una capacità prossima al 100% di proteggere da malattia grave / ospedalizzazione / morte, che si sarebbe raggiunta l’immunità di gregge una volta superato un certo valore soglia di persone vaccinate (valore rivisto più volte al rialzo) e che, almeno da un certo momento in poi, il problema era rappresentato dai soli non vaccinati. L’attenzione collettiva è passata, quasi schizofrenicamente, da coloro che cercavano di saltare la fila per vaccinarsi prima degli altri a chi della vaccinazione proprio non ne voleva sapere. Cogliendo nel Paese il mutato “sentiment”, ed anzi alimentandolo – può dirsi infatti archiviata da tempo la stagione in cui si cantava dai balconi e ci si commuoveva di fronte alla fila dei carri con dentro le bare – si è fatta abbassare la guardia ai vaccinati, promettendo loro libertà in cambio della vaccinazione, secondo la logica premiale (e basata sulla infantilizzazione dei cittadini) del do ut des. Ogni opinione critica è stata considerata eretica, accostata alle posizioni più estremiste e meno sensate di chi a prescindere era contro vaccini e Green Pass, e fatta apparire ridicola; sono stati costretti coloro che la esprimevano a premettere, prima di ogni cosa, a mo’ di salvacondotto necessario per essere presi più o meno sul serio, di essere a favore dell’uso di vaccini.  Appare oggi chiaro quanto miope e pericoloso sia continuare a pensare di poter risolvere tutto per mezzo di vaccini (in particolare, di questi vaccini) e certificati vaccinali.

Torna alla mente a questo proposito la lezione del Titanic. Il Titanic aveva un doppio fondo cieco che quindici paratie, dislocate lungo tutta la lunghezza della nave, separavano in sedici compartimenti stagni. Era stato costruito in modo tale da rimanere a galla con due dei compartimenti intermedi oppure finanche con tutti i primi quattro compartimenti di prua completamente allagati, e per questo era stato considerato inaffondabile. Nessuno aveva immaginato che potesse realizzarsi un urto così violento da creare uno squarcio tale da allagare un numero di compartimenti stagni maggiore. Non tutte le paratie avevano la stessa altezza: le prime due e le ultime cinque arrivavano al ponte D, mentre le altre otto raggiungevano il ponte E. È stato calcolato che se le paratie fossero state più alte, la nave forse non sarebbe affondata. Il motivo per cui non vennero costruite paratie così alte fu per ricavare in prima classe grandi ed eleganti saloni dove i viaggiatori potessero intrattenersi piacevolmente, socializzare, ballare, giocare, divertirsi spensieratamente mentre – abbagliati com’erano dalle luci scintillanti dei grandi lampadari di cristallo – barattavano più o meno inconsapevolmente la propria sicurezza con un effimero benessere.

Il Green Pass è stato, ed è tuttora, uno strumento coercitivo che è servito al suo scopo, giusto o sbagliato che fosse: spingere un maggior numero di persone a vaccinarsi. Vaccini e Green Pass non possono e non devono, però, essere intesi come paratie in grado di suddividere i membri di una popolazione in due distinti compartimenti e di mettere uno di questi due gruppi in assoluta sicurezza. Oggi più che ieri, poiché all’orizzonte si intravede sempre più vicina una minaccia potenzialmente in grado di produrre un urto più violento e uno squarcio più ampio di quelli che finora ci eravamo figurati. Molti, moltissimi errori sono stati compiuti, altrettanti allarmi sono rimasti inascoltati. Non è ancora troppo tardi, forse, per correggere la rotta ed evitare il peggio. Mettere in atto da subito – e questa pare essere la direzione lungo la quale si è avviato il nostro Governo – le uniche strategie che possano essere adottate con immediatezza: regole più severe anche per i vaccinati, come l’obbligo delle mascherine FFP2 e dei tamponi in determinati contesti; per quanto doloroso, progressivo ma temporaneo inasprimento delle misure di distanziamento fisico, evitando di agire in ritardo come avvenuto in passato (i peggiori nemici dell’economia si sono rivelati in passato gli “aperturisti”). Varare contestualmente, però – e qui di nuovo tutto sembra essere fermo come in un doloroso déjà vu – strategie integrative, la cui realizzazione richiede tempo; strumenti che possano affiancarsi ai vaccini innanzitutto dove questi risultano meno efficaci, e cioè nel contenimento dei contagi, ma anche in grado di ridurre l’incidenza della malattia grave: fronte sul quale – almeno fino a questo momento – i vaccini hanno dato i migliori risultati. Ricordando infine che, contrariamente agli attuali vaccini anti-Sars-Cov-2, almeno parte di tali strumenti avranno modo di poter essere sfruttati anche laddove dovessero emergere (ed emergeranno…) nuove varianti, ed anche in presenza di futuri eventi pandemici sostenuti da diversi agenti infettivi. Perché – lo dobbiamo a noi stessi e a chi di noi non c’è più – gli ultimi due anni ad imparare almeno due cose devono esserci serviti: ad analizzare con lucidità e spirito critico il presente, a costruire con lungimiranza e slancio immaginativo il futuro.

Dante, Santagata e l’italianità

20 Dicembre 2021 - di Dino Cofrancesco

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Uno dei guai dell’Italia è che nessuno si rassegna a fare soltanto il proprio mestiere. Neppure il “grande dantista Marco Santagata” aveva resistito alla tentazione di invadere il campo (non suo) della storia delle idee. Facendo dell’ironia gratuita su Dante “fondatore dell’italianità” aveva detto: “Sono centinaia gli intellettuali che hanno raccontato Dante come l’eroe nazionale. Ma è un ritratto falso. Per Dante, l’Italia non esisteva. Nel suo tempo, che era il Medio Evo, esistevano tante piccole formazioni politiche che si facevano la guerra tra loro. L’idea dello stato nazione è nata secoli dopo, e non poteva rientrare nell’orizzonte dantesco. Dante aveva in mente l’Impero: un’istituzione sovranazionale che doveva garantire la pace, la prosperità e la sicurezza di tutti i cristiani. Ma che vuole, nella storia succede continua-mente che si prendano i fatti culturali e li si rileggano alla luce delle esigenze del momento”.

“Per Dante l’Italia non esisteva” ma davvero? Davvero, almeno quanti di noi avevano fatto il liceo, avevamo dimenticato che, per il ‘ghibellin fuggiasco’, a detenere la suprema legittimità politica era l’Impero—di cui il nostro paese, però, sarebbe dovuto essere lo splendido ‘giardino’? Quante idee sbagliate ci avrebbe trasmesso la vecchia scuola se non ci fossero i demistificatori alla Marco Santagata buonanima e al vivo e vegeto Alessandro Barbero (quello che raccontava in TV che se i Persiani avessero vinto a Salamina per la Grecia non sarebbe cambiato niente, con l’aria beffarda: “beh beccati questa verità scomoda, incarta e porta a casa!”..)! Sennonché da umile storico delle idee faccio rilevare che le ragioni per cui Dante viene ritenuto ‘fondatore dell’italianità’ sono sostanzialmente tre: la linguaLe genti del bel paese là dove ‘l sì suona», (Inf. XXXIII, vv. 79-80) ; la geografia—la sicurezza con cui il Sommo Poeta delimitò i confini d’Italia–«Sì com’a Pola presso del Carnaro, ch’Italia chiude e i suoi termini bagna» (Inf., Canto IX, 113-114); un’etnia culturale ( come diremmo oggi), con una sua individualità e interessi distinti dalle altre: «Ahi serva Italia di dolore ostello/nave senza nocchiero in gran tempesta/ non donna di provincia ma bordello» (Purg. Canto VI,76-78) Per il resto, Dante è un uomo del Medio Evo che mai avrebbe potuto pensare a uno stato nazionale italiano, un progetto che evoca idee rivoluzionarie e la ‘democrazia dei moderni’—patriota è una parola coniata, nella sua sostanza etico-politica, dalla Rivoluzione francese e ripresa nel Risorgimento dai ‘modernizzatori’, nemici giurati dell’Ancien Régime, ovvero degli Imperi e, in ispecie, degli ultimi discendenti degli Asburgo. Del cui Impero il Vate fiorentino fu il convinto cantore: “O Alberto tedesco ch’abbandoni costei ch’è fatta indomita e selvaggia e dovresti inforcar li suoi arcioni”,( Purg.,Canto VI,97-99).  Questo Dante , non a caso, mandava in visibilio i teorici dell’universalismo fascista ,che ritenevano superati i miti della ‘nazione’ e della patria’ e che guardavano non più al Risorgimento ma all’Impero di Roma, alle sue ‘quadrate legioni’, agli Stati-Civiltà etc.,  ma non credo che il buon Santagata avrebbe ‘gradito’ l’antinazionalismo del pagano Julius Evola..

Forse è venuto il momento di finirla con le picconate ai miti ‘scolastici’: la storia non è fatta per épater les bourgeois ma per far capire da dove veniamo e come il passato ha contribuito a renderci quel che siamo. Continui, pertanto, la benemerita ‘Società Dante Alighieri’ a far conoscere al mondo la nostra grande cultura, al riparo dall’ironia dei beaux esprits. Sì, Dante politicamente non ha nulla a che vedere con lo stato nazionale ma, nella definizione di una identità culturale contano solo la politica, il tipo di Stato che si ha in mente, le sue istituzioni? O non anche la lingua, le arti, il territorio, il senso di una ‘comunità di destino’? E se questi ultimi fossero irrilevanti, non sarebbe la riprova di un virus totalitario (“tutto è politica e tutto si risolve in politica!”) da cui stentiamo a liberarci? Si difende un’eredità spirituale, una lingua, una cultura indipendentemente dal tipo di Stato che si ha in mente: Carlo Cattaneo era un grande patriota italiano ma, prima del 48, non gli sarebbe dispiaciuto vedere il Lombardo-Veneto membro di uno ‘splendido dogato’—quale avrebbe potuto essere l’Austria di Maria Teresa e dell’assolutismo illuminato. Forse in un periodo come l’attuale in cui si sono fortemente indeboliti il senso dell’appartenenza e l’orgoglio delle grandi produzioni artistiche e scientifiche che, nel corso dei secoli, si sono registrate nelle diverse regioni della penisola , in anni in cui i fattori culturali sono divenuti irrilevanti (in qualche Facoltà di Lettere si insegnava Letteratura italiana in inglese e si leggevano I promessi sposi in traduzione), c’è qualcuno che può pensare:in mancanza di uno stato unitario italiano, come si può parlare di italianità? In realtà, questa antiretorica è più preoccupante della retorica delle celebrazioni ufficiali.

Ha scritto Giovanni Belardelli, storico delle dottrine politiche e autore del miglior saggio che io conosca sulle idee di Giuseppe Mazzini: “Attraverso il culto di Dante si affermava così la figura dell’intellettuale come moralista, aspro critico dei difetti dei propri connazionali”.

Cito Nicola Mirenzi, Dante l’italiano (“HuffPost del 5 dicembre 2020): “Era fondamentale rifare gli italiani. Secondo la gran parte dei patrioti, lunghi anni di dominio straniero avevano compromesso il popolo, rendendolo vile e corrotto. E l’emblema di questa italianità deteriore divenne Petrarca, che aveva la colpa di essere stato un poeta cosmopolita, a suo agio presso le corti europee. Mentre Dante, no: era rimasto intatto. Ai loro occhi, era l’incarnazione dell’italiano intransigente, l’uomo che aveva scelto con sdegno l’esilio pur di non piegarsi al nuovo potere di Firenze. L’esilio stabiliva una connessione esistenziale tra loro e Dante. Come Dante, anche molti patrioti avevano preferito pagarla cara lontano da casa anziché piegarsi allo straniero. Come Dante, testimoniavano con la vita l’attaccamento alle virtù civiche e all’ideale nazionale. Come Dante, potevano perciò anche permettersi di ridire sugli altri italiani. ‘Spesso gli esuli – mi racconta Berardelli – vivevano in condizioni miserabili all’estero, ma sapere di essere fedeli all’esempio dantesco era di grande conforto morale’”. Tutto vero, tutto innegabile ma le ‘mitologie’ non bastano a fare e a spiegare la storia. Se Dante fosse stato solo l’”italiano intransigente”, l’uomo di carattere con la ‘c’ maiuscola il fatto di essere divenuto il simbolo dell’italianità sarebbe davvero inspiegabile. (E perché Dante e non Francesco Ferrucci se è veritiero l’omaggio che gli tributava Goffredo Mameli: “Dall’Alpi a Sicilia/Dovunque è Legnano/,Ogn’uom di Ferruccio/ Ha il core, ha la mano?”).

Sempre citando Mirenzi, “nemmeno Vittorio Sermonti lasciò mai credere il contrario, sebbene con la lingua di Dante abbia deliziato a lungo gli italiani, e senza ricorrere al trucco dell’icona pop. Nel Centocinquantesimo dell’Unità d’Italia, venne chiamato a tenere tre giorni di lezioni nell’aula del Palazzo dei gruppi parlamentari. Premise che non aveva alcuna voglia di parlar bene dell’Italia, e che ne avrebbe parlato semplicemente con amore. Poi, raccontò che fu Virgilio a inventare la parola Italia, Dante a promuovere ‘le parlate sgangherate degli italiani alla nobile esattezza del latino’ e Verdi a rendere l’italiano finalmente popolare. Si guardò bene dal dire che Dante aveva creato l’Italia. Concesse qualcosa sulla lingua, ma specificando che si trattava di un azzardo: ‘Vogliamo dire che Dante ha fondato le basi teoriche dell’italiano?’ E diciamolo”.

Confesso un profondo fastidio per l’insostenibile leggerezza del pensare. Mettiamo da parte miti, falsi credenze, ingenuità ideologiche e guardiamo ai fatti nudi e crudi: è vero o non è vero che Dante scrisse uno dei più grandi capolavori letterari di tutti i tempi, la Divina Commedia, in italiano (una lingua, sembra, nata non a Firenze ma alla Corte di Federico II con Giacomo da Lentini e altri poeti della sua Scuola)?; è vero o non è vero che per lui l’Italia era, forse, un’espressione geografica ma un’espressione geografica tutt’altro che immaginaria e non priva, in ogni caso, di risonanze sentimentali ? è vero o non è vero che il destino della penisola—i suoi problemi, le sue traversie, le sue memorie—gli stava molto a cuore e che parlando di bolognesi, di veneziani, di genovesi, di pisani, di fiorentini ne parlava come di rami di uno stesso albero sino al punto da sentire le loro ‘peccata’ come vergogne di famiglia?

Giuseppe Mazzini, Ugo Foscolo, Carlo Cattaneo, Cesare Balbo i grandi spiriti del ‘riscatto nazionale’ onorarono tutti in Dante il Padre dell’Italianità: incontrandoli nell’altro mondo, Marco Santagata e Vittorio Sermonti li sottoporranno alla doccia fredda del demisticatore televisivo Alessandro Barbero: “Guardate che Dante non era un patriota. Come credevate voi ma un imperialista?” “Scherza coi fanti ma lascia stare i santi” si diceva nel buon tempo antico.

“Il Governo sbaglia. Così fa abbassare la guardia ai vaccinati”. Intervista a Luca Ricolfi

17 Dicembre 2021 - di Luca Ricolfi

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Professor Luca Ricolfi, in un intervento su Repubblica la settimana scorsa ha detto chiaramente che il vaccino serve, ma da solo non basta. Lo ha sostenuto prima che venissero diffusi i primi studi in pre-print da parte delle autorità sanitarie sudafricane sull’andamento della variante Omicron, che confermerebbero una maggiore velocità di contagio. È ancora più preoccupato rispetto a 7 giorni fa?

Sì, perché seguo l’andamento dell’epidemia in Africa, e lì emerge una cosa terrificante: nei paesi in cui la variante Omicron ha già preso piede, il valore di Rt, che è già molto pericoloso quando raggiunge 1,4 o 1,5, sta viaggiando a valori vicini a 2 o 3. Un valore di Rt pari a 3 significa triplicazione dei casi in meno di una settimana, decuplicazione in 2 settimane, centuplicazione in un mese. Ma anche un valore di Rt pari a 2 non scherza: significa decuplicazione dei casi in 3 settimane. Per quel poco che si riesce a ricavare dai database dei sequenziamenti, Omicron è già piuttosto diffusa in Spagna e Francia, dove infatti Rt galoppa vicino a 1,5.

E in Italia?

In Italia ci vien detto che abbiamo poche decine di casi, ma ovviamente dipende dai pochi sequenziamenti. Secondo le ultime rilevazioni, il peso di Omicron è dell’1%, il che, su 500mila tamponi, fa 5mila casi.

La velocità di propagazione di Omicron però non è tutto. I virologi insegnano che la funzione principale dei vaccini è quella di proteggerci dalle ospedalizzazioni. Tutto sommato infettarsi e avere sintomi nulli o lievi non è un problema. Non crede?

Sì, a certe condizioni. Tutto dipende da due parametri, che nessuno conosce con precisione. Il primo è l’impatto della variante Omicron sul numero dei casi, il secondo è l’efficacia dei vaccini su di essa. Può darsi che i vaccini siano altrettanto efficaci che sulla Delta, e persino che la Omicron dia sintomi meno severi. Ma che succede se, a causa della sua facilità di trasmissione, il numero di infetti decuplica? Attualmente abbiamo 800 ricoverati in terapia intensiva, 8000 non potremmo in nessun modo sostenerli.

Quindi secondo lei non siamo ancora fuori dalla pandemia ma anzi dobbiamo continuare a stare attenti. Il Governo quindi sta sbagliando a lanciare un messaggio ottimista?

È un errore madornale. Oggi è difficile stabilire se siano più pericolosi i non vaccinati o i vaccinati. I non vaccinati contagiano di più e si ammalano di più, ma hanno il vantaggio di essere pochi. I vaccinati contagiano di meno, ma sono tanti (circa il triplo dei non vaccinati), e non di rado si credono invulnerabili. Il messaggio “sei stato bravo, hai avuto senso civico, ti premio lasciandoti fare quasi tutto quel che vuoi” sta determinando effetti catastrofici. La gente abbassa la guardia proprio perché è vaccinata. E fa malissimo, perché – stanti i ritardi del Governo nella campagna per la terza dose – la maggior parte dei vaccinati è ben poco protetta rispetto al rischio di infezione. Il dato cruciale di questa fase è l’illusione vaccinale, alimentata dalle autorità politiche e sanitarie: è da giugno che sappiamo che la copertura rispetto all’infezione dura solo 4-5 mesi, eppure il green pass ne dura ancora 12, e ne durerà ancora 9 dopo il 15 dicembre (nel frattempo, paradosso dei paradossi, i soggetti positivi possono girare con un green pass valido, perché al Ministero non hanno ancora trovato un modo di bloccarne la validità). È difficile dare dei numeri incontrovertibili ma, da stime che ho effettuato su dati americani, a me risulta che almeno metà dei contagi sono dovuti a interazioni vaccinato-vaccinato. Vaccinare va benissimo, ma pensare che basti significa non aver capito come funziona questa epidemia.

Lei dice che vaccinare è condizione necessaria, ma non sufficiente. Quali sono le ulteriori misure che dovrebbero essere prese per passare dal necessario al sufficiente?

Una misura ovvia, incredibilmente messa da parte, è il tracciamento elettronico, ovviamente con una App meno problematica di Immuni. Ma la via maestra è il controllo della qualità dell’aria.

Con quali strumenti?

Con i sensori della CO2 (anidride carbonica), i filtri di purificazione dell’aria e, ancor meglio, con la Ventilazione meccanica controllata (Vmc). Tutte soluzioni fin qui completamente ignorate, non saprei dire perché. Forse perché hanno un costo economico ed organizzativo non indifferente. Forse semplicemente perché, incredibilmente, ingegneri, chimici, fisici e statistici (il mio mestiere) sono stati esclusi dalla gestione dell’epidemia. I nostri modelli matematici dicevano chiaramente che, senza misure specifiche di contenimento, la stagione fredda e il passaggio alla vita al chiuso avrebbero triplicato o quadruplicato il numero dei casi, facendo così saltare il tracciamento.

La ventilazione dei luoghi chiusi è misura che esplicherà gli effetti nel medio periodo. A breve invece, in vista dell’inverno, che fare?

Nel breve periodo non si può fare quasi nulla, salvo mandare segnali di prudenza chiari, o con degli spot o con un messaggio del Presidente del Consiglio a reti unificate. Ad esempio dicendo che le interazioni negli ambienti chiusi sono molto pericolose anche per i vaccinati, e che sui mezzi pubblici tutti devono vigilare sull’uso delle mascherine. Possibilmente FFP2, e mai con il naso scoperto. Senso civico non è solo vaccinarsi, ma anche invitare gli altri al rispetto delle regole.

Il Governo però mi sembra andare in altra direzione, punta tutto sui vaccini. Punta ad allargare ancora la platea dei vaccinati nonché arrivare nel più breve tempo possibile a estendere la terza dose a tutti quelli che ne hanno diritto ovvero chi ha scavallato i 5 mesi dalla seconda iniezione. Neanche la terza dose ci basta per proteggerci?

Io spero che basti, almeno per qualche mese. Ma c’è un indizio che suggerisce che potrebbe non bastare.

Quale indizio?

L’andamento dell’epidemia in Israele, il paese che ha vaccinato di più ed è più avanti con la terza dose. Il 22 novembre in Israele il valore di Rt ha attraversato la soglia critica di 1, e da allora è sempre rimasto al di sopra. Ora è intorno a 1,2, più o meno come qui da noi in Italia. Può anche darsi che Israele sia semplicemente vittima della sua demografia, ossia dell’altissimo numero di bambini, ragazzi e giovani, vaccinabili e non vaccinabili. Tuttavia non possiamo escludere una eventualità più inquietante: e cioè che, con la variante Omicron, anche una vaccinazione (quasi) totale non sia sufficiente a fermare la diffusione del contagio. Ma la difficoltà di Israele di riportare sotto controllo l’epidemia non è l’unica fonte di preoccupazione. Prendiamo il Portogallo, la Spagna, e gli altri 4-5 paesi che hanno vaccinato quasi tutti. Come mai, nonostante il successo della campagna vaccinale, anche in essi il valore di Rt è abbondantemente sopra 1? La mia risposta è che, pur dando un apporto modesto all’occupazione degli ospedali, i vaccinati stanno contribuendo a riaccendere l’epidemia. E le misure premiali nei loro confronti, come il Green Pass e il Super Green Pass, non fanno che gettare benzina sul fuoco.

Non crede che le sue preoccupazioni possano essere strumentalizzate dalla ridotta dei No Vax?

Ma certo, tutto quel che si dice può essere strumentalizzato, anche l’informazione ufficiale viene regolarmente deformata, manipolata e ritorta contro la campagna vaccinale. I casi aumentano? È la dimostrazione che il green pass non funziona. Un terzo dei ricoverati in terapia intensiva sono vaccinati? È la dimostrazione che vaccinarsi non serve. La copertura anticorpale dei vaccini svanisce dopo 6 mesi? Dunque il vaccino non funziona. Perciò io capovolgo la domanda: dobbiamo nascondere i dati della situazione solo perché No Vax e Ni Vax possono usare quei dati a modo loro? Non è meglio dire tutta la verità, in modo da essere più attrezzati conto il virus? A me sembra che i governanti abbiano scelto un’altra strada. Sapendo che non ce la faranno a mantenere la promessa di tenere tutto aperto (“il green pass è libertà”), stanno costruendo il capro espiatorio perfetto per quando dovranno arrendersi di fronte al dilagare dell’epidemia. È un brutto clima quello che sta montando in Italia. Chi è scettico sul vaccino si sente vittima di sopraffazioni varie. E chi crede nel vaccino tende a scaricare sui soli non vaccinati la responsabilità di una situazione che, in realtà, dipende anche dai comportamenti dei vaccinati e dalle omissioni dei governi.

Dei No Vax lei sostiene che siano ormai considerati come perfetto capro espiatorio di tutti i mali. Però come si può dare credibilità a chi si paragona a Gesù o a chi come Giorgio Agamben o Massimo Cacciari, filosofi di grande spessore, si lascia andare a similitudini con gli anni del nazismo e del controllo totalitario sulle masse? Che credibilità possono avere?

Su questo vorrei essere chiarissimo. I paragoni con il nazismo, anche se formulati in modo metaforico o paradossale, sono inaccettabili, se non altro perché offendono le vittime dei veri regimi dittatoriali. Certe analisi statistiche, secondo cui i vaccinati si contagerebbero di più dei non vaccinati, sono semplicemente ridicole, come ampiamente dimostrato dagli esperti. E mi spingo oltre: già molti mesi fa, quando ancora scrivevo sul Messaggero, avevo sostenuto che parlare di discriminazione è un abuso di terminologia. Quello che io mi rifiuto di accettare, però, è che un argomento debba essere squalificato solo perché usato, o usabile, da parte dei No Vax. È un non-sequitur, un errore logico, come nella storiella del paziente psichiatrico che dice “il fatto che io sia paranoico non implica che io non sia perseguitato”. Ineccepibile! Il fatto che un argomento sia usato da un No Vax non implica che sia infondato.

Ma quali sarebbero gli argomenti No Vax fondati?

Intanto, mi sembra doveroso fare una precisazione: No Vax è un’etichetta di comodo, per dire non allineati al racconto ufficiale. Molte critiche al green pass e alla campagna vaccinale vengono da persone plurivaccinate. Ma non voglio eludere la domanda, e le dico quali sono, secondo me, le obiezioni sostenibili. Non dico necessariamente giuste, ma di cui ha perfettamente senso discutere senza demonizzarle.

  1. Il vaccino è stato testato nello spazio (miliardi di persone) ma non nel tempo (meno di 12 mesi).
  2. I dati sul rapporto rischi-benefici, specie per la fascia 5-11 anni, sono pochi, e insufficienti a dissolvere ogni dubbio e a prendere una decisione razionale.
  3. Il contributo dei vaccinati alla diffusione del virus è sottovalutato dalle autorità sanitarie e dai grandi media.
  4. È stato un errore puntare tutte le carte sulla campagna vaccinale, trascurando misure di contenimento su trasporti, scuole, ambienti chiusi in generale.
  5. Se avessimo usato massicciamente queste ultime armi, le restrizioni alla nostra liberà avrebbero potuto essere molto minori.

Soprattutto questa ultima considerazione mi pare degna di attenzione, se non altro perché presto potremmo accorgerci che tutto quel che non si è fatto in questi due anni dovremo comunque farlo d’ora in poi, se non vogliamo farci travolgere dal virus.

Lei mette in rilievo un dato incontrovertibile: in questi due anni abbiamo consapevolmente rinunciato a parte della nostra libertà. Affermazione oggettiva. Ma non è anche vero che la nostra libertà finisce dove comincia quella degli altri? Non considera un gesto di libertà vaccinarsi per contagiare un po’ meno gli altri o quanto meno per evitare che gli ospedali si riempiano e siano costretti a rinviare le ospedalizzazioni per altre malattie diverse dal Covid?

Sì, perfettamente d’accordo, vaccinarsi è fondamentalmente un gesto altruistico, per lo meno se compiuto da maggiorenni. Ma, per le persone razionali, il punto non è se aderire alla campagna vaccinale oppure no, se accettare restrizioni alla libertà oppure no. Il punto è se il quantum di illibertà che ci viene imposto sia eccessivo, ragionevole, o insufficiente. E su questo mi pare che siano soprattutto le posizioni politiche a fare la differenza.

In che senso? Chi si è mosso più saggiamente e chi meno nella gestione dell’epidemia?

Se lasciamo perdere i primi mesi della pandemia, in cui tutti hanno oscillato fra i due estremi “chiudiamo tutto” e “apriamo tutto”, la destra (più Italia Viva) è sempre stata più aperturista, e la sinistra più chiusurista. Alla luce di come sono andate le cose, mi pare chiaro che le posizioni anti-restrizioni della destra siano state incaute, e lo siano tuttora. Ma questo è solo un pezzo del discorso. Se guardiamo le cose in un orizzonte temporale più lungo, occorre riconoscere che la querelle sul quantum di apertura-chiusura non assolve nessuno: se avessimo aperto di più, come voleva la destra, le cose sarebbero andate ancora peggio, se avessimo chiuso ancora di più, come volevano i falchi del lockdown, non ne saremmo comunque usciti. Perché, a destra come a sinistra, è quasi sempre mancata la volontà di mettere in campo tutte le armi contro il virus, a partire da quelle più costose o più complicate: tamponi, tracciamento elettronico, messa in sicurezza degli ambienti chiusi, rafforzamento del trasporto locale, controlli capillari su treni, metropolitane e bus.

Non salva proprio nessuna forza politica?

Direi proprio di no. Ma la cosa che più mi colpisce è l’incoerenza di alcune posizioni. Prendiamo il duo Speranza-Ricciardi, o il Comitato tecnico scientifico, sempre schierati su posizioni di massima prudenza: perché non hanno mai fatto una battaglia per le misure alternative alle restrizioni, a partire dalla messa in sicurezza delle scuole? Ma un discorso simmetrico e speculare si potrebbe fare su Fratelli d’Italia, l’unica forza politica che quelle misure ha sempre e giustamente invocato: se erano consapevoli della gravità della situazione, e dell’insufficienza della campagna di vaccinazione, perché ogni volta che si è presentata l’alternativa aprire-chiudere si sono sempre schierati per l’aprire, contro le restrizioni?

Eppure dovrebbe essere chiaro a tutti: nel breve periodo le misure complesse non sono mai un’alternativa, perché la loro implementazione richiede mesi e mesi. Una forza politica responsabile dovrebbe accettare le misure restrittive quando non ne esistono altre immediatamente implementabili, e al tempo stesso pretendere il varo immediato di misure alternative, che daranno i loro frutti più avanti nel tempo.

Ultima domanda sullo stato dell’informazione in pandemia. Che ne pensa della tesi provocatoria dell’ex premier Mario Monti che ha invocato una “comunicazione di guerra” ovvero un filtro alle notizie da divulgare?

In un certo senso la penso all’opposto. A mio parere i maggiori media hanno già messo in atto una comunicazione di guerra. Il tratto distintivo fondamentale della comunicazione di guerra è che gli oppositori sono trattati come disertori. Ed io proprio questo ho visto, in innumerevoli occasioni: quando, per poter esprimere una sia pur minima critica alla linea ufficiale vaccinista, ci si sente obbligati a premettere che si è vaccinati e plurivaccinati, è già il segno che il dibattito non è libero, e che i dissidenti saranno trattati da disertori. Se devo fare un rimprovero all’informazione è di aver quasi sempre fatto rappresentare le posizioni critiche solo da macchiette ridicole, e non da studiosi seri. E soprattutto di avere idolatrato i virologi-infettivologi-immunologi-microbiologi, chiamati a pontificare su tutto, compresi molti argomenti su cui sarebbe stato molto più logico – e utile – interpellare ingegneri, fisici e statistici. Su una cosa, però, sono invece d’accordo con Monti, sempre che io abbia ben inteso il suo pensiero. Quel che è mancato quasi completamente in Italia è una informazione ufficiale autorevole e coerente, come ad esempio quella di Anthony Fauci negli Stati Uniti. Se ci fosse stata, non avremmo assistito inebetiti al festival dei virologi in tv, e non saremmo stati sommersi dai dubbi che hanno tormentato, e ancora tormentano, le nostre povere menti di cittadini senza potere e senza verità.

Intervista rilasciata a The Huffington Post, 13 dicembre 2021

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