14 Giugno 2022 - di fondazioneHume
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Di salario minimo legale (SML) si torna insistentemente a parlare in questo periodo, in vista dell’attuazione della Direttiva Ue in materia. Sull’opportunità di fissare un minimo per le retribuzioni c’è un diffuso anche se non unanime consenso. Dove invece i pareri divergono è sul livello cui fissarlo, ma soprattutto sugli effetti che esso potrebbe produrre.
Un effetto certo e positivo è quello di costringere le imprese che operano in modo regolare, e che possono permettersi di adeguare le retribuzioni, a portare a un livello decente il salario dei lavoratori peggio pagati. Un altro effetto positivo, anche se incerto nell’entità, è di rendere più convenienti gli investimenti in tecnologia, con conseguente aumento della produttività. Infine, il salario minimo legale scoraggerebbe la concorrenza sleale delle imprese che puntano su evasione fiscale e bassissime retribuzioni.
Dove le cose si fanno più complicate, invece, è sul versante degli effetti negativi. Che sono numerosi, e molto difficilmente quantificabili. Gli economisti, in particolare, segnalano tre effetti perversi del salario minimo legale, in parte già osservati in Germania (che ha introdotto il salario minimo nel 2015). Il primo è che le imprese che possono farlo scaricano sui prezzi l’aumento dei costi salariali. Il secondo è che alcune imprese aggirano la norma semplicemente aumentando il numero effettivo di ore giornaliere (ti pago 7 ore, ma ne fai 9). Il terzo è che molte imprese semplicemente non possono permettersi di operare pagando i lavoratori al livello fissato per legge, e rischiano di reagire chiudendo l’attività, o accentuando la propensione all’evasione fiscale e contributiva. A questo proposito giova ricordare che l’aggravio per le imprese di un salario minimo legale di 9 euro (la proposta del Movimento Cinque Stelle) sarebbe di 6.7 miliardi di euro, che scenderebbero a 4.4 miliardi con una soglia fissata a 8.5 euro, e a 2.7 miliardi con una soglia di 8 euro (stime INAPP).
Le cose sono ancora più problematiche se guardiamo alla questione da una prospettiva sociologica. Da questa angolatura non si può non osservare che sono numerose, e di grande rilevanza ai fini di una valutazione dell’impatto del SML, le caratteristiche dell’Italia che la differenziano dagli altri paesi europei. In nessun paese europeo, salvo forse la Grecia, l’estensione dell’economia sommersa è ampia come in Italia. In nessun paese europeo è così profonda la frattura fra garantiti, protetti dalle leggi e dai sindacati, e non garantiti, esposti alle turbolenze e ai rischi del mercato. In nessun paese europeo sono così ampi i divari territoriali in termini di occupazione e produttività.
Tutte queste peculiarità, cui andrebbe aggiunta la presenza di un consistente segmento di lavoratori che operano in condizioni paraschiavistiche (circa 3.5 milioni di persone, secondo una mia stima), rendono cruciali i dettagli che specificheranno le modalità di introduzione del salario minimo legale in Italia.
Una soglia unica, fissata a un livello elevato, senza differenze legate alla produttività, accentuerebbe sia gli effetti benefici che quelli perversi, con quale saldo netto è difficile dire con i dati di cui disponiamo. Una soglia bassa, graduale, e differenziata territorialmente, minimizzerebbe molti effetti perversi, ma anche i benefici in termini di equità, incentivi al progresso tecnologico, leale competizione fra operatori economici.
Quale che sia il punto di equilibrio che la politica vorrà trovare, credo sarebbe bene prendere atto di un punto: stante la struttura economico-sociale del nostro paese, il salario minimo legale avrà effetti tanto più benefici ed incisivi quanto più verrà accompagnato da altre misure, sia sul piano politico-amministrativo sia su quello sindacale. L’estensione dell’economia sommersa e l’ampiezza del settore paraschiavistico, infatti, dipendono solo in minima parte dall’assenza di un salario minimo legale. La vera radice di queste storture, oltre che – ovviamente – nell’arretratezza complessiva del sistema-Italia, sta in due clamorose assenze o, se preferite, “insufficienti presenze”: quella dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro e quella delle organizzazioni sindacali. Finché su aberrazioni che si vedono “a occhio nudo”, come quella dei campi di raccolta del pomodoro, si continuerà a chiudere un occhio, non ci sarà mai SML che basti a fermare l’obbrobrio.
Che fare, dunque, per massimizzare i vantaggi e minimizzare i danni del salario minimo?
Un’idea potrebbe essere di introdurre una differenziazione territoriale, che tenga conto del costo della vita (per non penalizzare i lavoratori del Nord) e della produttività (per non penalizzare le imprese del Sud).
Ma forse il provvedimento più incisivo sarebbe di sottoporre a un regime di controlli speciale – con verifiche più frequenti e capillari – le imprese che prevedono rapporti di lavoro con orari ridotti. Ciò metterebbe un freno alla pratica, estremamente diffusa in Italia, di sottodichiarare le ore di lavoro. E’ precisamente questo, infatti, il meccanismo alla radice delle più comuni situazioni di iper-sfruttamento.
Luca Ricolfi
(articolo uscito su La Repubblica l’8 giugno 2022)