Coronavirus, come stanno andando le cose

 

(bollettino di lunedì 30 marzo, ore 20.30)

A partire da lunedì 30 marzo 2020 la Fondazione David Hume rende pubblico quotidianamente (alle ore 20.30) un nuovo indice sintetico utile per capire come sta procedendo l’epidemia di Coronavirus (per maggiori dettagli vedi oltre).

L’indice si interpreta come una temperatura, e misura la velocità di propagazione del contagio su una scala che va da 42° (epidemia galoppante) a 37° (epidemia sostanzialmente arrestata).

Risultati

Oggi (lunedì 30 marzo) la temperatura è scesa di 3 decimi di grado rispetto a ieri (da 39.1 a 38.8), passando per la prima volta dall’inizio dell’epidemia sotto i 39 gradi.

Il miglioramento si deve sia all’andamento tendenziale delle ospedalizzazioni sia a quello dei decessi.

Nel corso della settimana la temperatura è scesa di oltre un grado e mezzo, portandosi da 40.4 (lunedì 23) a 38.8 (oggi).

Il cammino per scendere a 37 gradi è ancora lungo.

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APPENDICE. Il progetto “Temperatura Italia”

A partire da lunedì 30 marzo 2020 la Fondazione David Hume pubblica su questo sito, entro le ore 21, un nuovo indice sintetico che misura la velocità di espansione dell’epidemia. L’indice si basa sui dati comunicati poche ore prima dalla Protezione civile, ma li rielabora per renderli più stabili e più agevolmente interpretabili.

Perché abbiamo pensato a un nuovo indice

L’idea di costruire un indice quotidiano è nata dalla nostra profonda insoddisfazione sia per la natura dei dati della Protezione Civile, sia per il modo in cui essi vengono quotidianamente comunicati e commentati.

A nostro avviso i principali difetti dei dati sono due:

  1. la variazione giornaliera del numero di positivi al test è scarsamente informativa (e spesso fuorviante), perché pesantemente influenzata dal numero di tamponi;
  2. tutte le variazioni giornaliere (non solo quella del numero di positivi) risentono gravemente dei ritardi nella trasmissione e registrazione dei dati.

In sostanza: non è possibile capire se le variazioni osservate riflettono la realtà o le politiche e le procedure messe in atto (quanti tamponi fare, quando trasmettere i dati).

L’indice sintetico di “temperatura” della Fondazione Hume, che misura la temperatura del paziente Italia (ossia l’avanzata dell’epidemia), è costruito per minimizzare l’impatto di questi difetti.

A questo scopo l’indice di temperatura utilizza esclusivamente le due serie più affidabili e informative (ospedalizzati e deceduti) e calcola il tasso di crescita in modo poco sensibile alle fluttuazioni nel processo di trasmissione dei dati.

Come si legge l’indice

L’indice ha una interpretazione estremamente semplice e intuitiva, essendo costruito come un comune termometro che misura la febbre (del malato Italia, nel nostro caso), su una scala da 37 a 42 gradi. Una temperatura di 42° indica che l’epidemia sta galoppando a una velocità assai alta (15% al giorno), come di solito accade solo nelle fasi iniziali di un’epidemia. Una temperatura di 37° gradi indica che l’epidemia è sostanzialmente sopita, perché la velocità di crescita è prossima a zero.

La velocità tendenziale viene ricalcolata ogni giorno, tenendo conto dell’andamento delle ospedalizzazioni e dei decessi degli ultimi tre giorni.

 




Tamponi, una storia inquietante

Oggi vi racconto una storia, ma spero vivamente che il mio racconto sia sbagliato. Sì, spero di sbagliarmi, e che le cose non siano andate come le ho ricostruite io. Perché se fossero andate come sembra a me, o anche solo più o meno così, dovremmo essere tutti molto preoccupati, ancora di più di quanto già siamo. E, forse, dovremmo chiedere che qualche politico faccia un passo indietro, o almeno ci chieda scusa.

Ed ecco la storia.

31 gennaio: appena appreso che due turisti cinesi sono positivi al Coronavirus, il Governo dichiara lo stato di emergenza fino al 31 luglio, e con ciò si auto-attribuisce poteri speciali; possiamo presumere che, almeno da quel momento, il Governo stesso sia consapevole della gravità della situazione

In realtà avrebbe potuto (e forse dovuto) esserlo già molto prima. In una serie di articoli pubblicati fra l’8 gennaio e la fine del mese, il sito di Roberto Burioni (Medical Facts) aveva fornito tre informazioni cruciali: una parte non trascurabile degli infetti è asintomatica ma può ugualmente trasmettere il virus; il controllo della temperatura negli aeroporti è una misura insufficiente; l’esperienza cinese suggerisce che è difficile fermare l’epidemia se non si intercettano almeno due terzi degli infetti.

21 febbraio: scoppiano i due focolai di Codogno (Lombardia) e Vo’ Euganeo (Veneto), si aggrava la situazione in Cina; Giorgia Meloni chiede la quarantena per chi viene dalla Cina o da altre zone ad alto rischio; anche Walter Ricciardi, nostro rappresentante nell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), critica il governo per essersi limitato a bloccare i voli diretti con la  Cina, ignorando il problema dei voli indiretti; ma il governo liquida la proposta della Meloni come “allarmismo” ingiustificato, e quanto alle critiche di Ricciardi se la cava nominandolo consulente del ministro della Sanità.

21-28 febbraio: mentre Roberto Burioni consiglia i tamponi anche a chi ha solo 37.5 gradi di febbre, parte l’offensiva del Governo contro i tamponi, che culmina con un’intervista a Walter Ricciardi in cui viene aspramente criticata la linea dei tamponi di massa adottata dal Veneto, contraria alle direttive mondiali ed europee, volte a minimizzare il numero di tamponi; contemporaneamente, in barba allo “stato di emergenza” dichiarato un mese prima, parte la compagna politico-mediatica per “riaprire Milano” e far ripartire l’economia.

28 febbraio: mentre l’epidemia dilaga, il ministro degli esteri Luigi Di Maio minimizza la gravità della situazione, dichiarando che “in Italia si può venire tranquillamente” e che i comuni coinvolti sono solo 10 su 8000; la linea del Governo è minimizzare i tamponi per non scoraggiare il turismo.

5 marzo: il prof. Andrea Crisanti, che sta conducendo un fondamentale studio epidemiologico sul comune di Vo’, congettura che il peso degli asintomatici possa superare il 30% (intervista rilasciata ad Alessandra Ricciardi su “Italia Oggi”); circa una settimana dopo, a conclusione della seconda rilevazione a Vo’, la congettura diventa certezza: il peso degli asintomatici è dell’ordine del 75%; e poiché gli asintomatici possono trasmettere il virus, diventa chiaro a tutti che il vero problema è individuarne il maggior numero possibile.

10-16 marzo: a seguito dell’indagine di Vo’, nel mondo scientifico si rafforzano le posizioni di quanti, diversamente dal nostro governo e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, ritengono che minimizzare il numero di temponi sia stato un grave errore, e che – per quanto tardivamente – il numero di tamponi vada aumentato sia rendendo meno restrittivi i criteri per effettuare i tamponi, sia effettuando tamponi a tappeto alle categorie più a rischio (dai medici ai poliziotti, dagli edicolanti alle cassiere).

16-17 marzo: spettacolare giravolta dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che, per bocca del suo Direttore, ora invita a massimizzare il numero di test (“il nostro messaggio chiave è: testtesttest”), dopo settimane in cui li aveva scoraggiati in tutti i modi; anche il nostro rappresentante presso l’OMS, che 4 settimane prima aveva aspramente criticato le Regioni che volevano fare più test, aderisce istantaneamente alla giravolta dell’OMS, retwittando il messaggio “test, test, test”.

17-25 marzo: nel frattempo l’epidemia è esplosa in tutto l’Occidente, e ogni stato tenta di approvvigionarsi come può di materiale sanitario, compresi tamponi e reagenti per i test; il materiale per i test comincia a scarseggiare, ma i nostri governanti non sembrano avere fatto 2+2, ovvero: se l’OMS ingiunge di fare più test, e l’epidemia sta partendo in tutto il mondo, è inevitabile che vi sia una corsa di tutti a procurarsi il necessario, ed è ovvio che occorra immediatamente aprire una campagna di approvvigionamento sui mercati internazionali, specie per quei materiali che è più difficile produrre in patria (in particolare i reagenti, che servono per analizzare i campioni prelevati con i tamponi).

26-28 marzo: puntualmente accade quel che era logico aspettarsi; ovvero, proprio ora che il Governo si è convinto a non ostacolare le Regioni che vogliono fare più test, si scopre che scarseggiano i materiali per effettuarli, anche perché altri se li sono procurati prima di noi.

Ho seguito nei giorni scorsi quel che sta succedendo nelle varie Regioni, e il quadro è sconsolante. Tutte, o quasi tutte, vorrebbero moltiplicare i test per proteggere le persone più esposte e per individuare il maggior numero possibile di asintomatici, ma né la Protezione Civile né altri organismi dello Stato sono in grado di assicurare quel che serve. Soffre il Veneto, che vorrebbe fare 10 mila tamponi al giorno e riesce a farne solo 4000. Ma soffrono anche diverse altre regioni, come la Toscana e la Puglia.

A due mesi esatti dalla dichiarazione dello stato di emergenza, succede che il numero di tamponi che siamo in condizione di effettuare non solo sia del tutto inadeguato a scovare gli asintomatici, che sono il veicolo principale del contagio, ma non basti neppure ad assicurare i test per il personale sanitario. Nel frattempo, anche – se non soprattutto – per la mancanza di tutto ciò che servirebbe per proteggerli (dalle mascherine ai tamponi) i morti fra i medici sono più di 50, mentre ancora si attende di conoscere il numero delle vittime fra infermieri, operatori del 118, personale sanitario in genere. E non mi vengano a tirare in ballo i tagli alla sanità dell’ultimo decennio, perché chiunque abbia un’idea delle cifre in gioco sa benissimo che la mancanza di dispositivi di protezione individuale dei medici è una goccia nel mare magnum dei costi della sanità, e che per non trovarci nella condizione di oggi sarebbe stato sufficiente provvedere in tempo, quando si è capito che l’epidemia sarebbe arrivata (fine gennaio) e gli ospedali non erano al collasso.

Che dire?

Nulla, per parte mia. Mi limito e riportare le parole di uno dei pochi veri esperti italiani di epidemie, incredibilmente ignorato dal governo centrale (ma tempestivamente reclutato dal governatore del Veneto), il professor Andrea Crisanti, l’ideatore dell’indagine su Vo’: “Abbiamo voluto difendere il Paese dei balocchi e l’economia anche di fronte alla morte. Questo è un fallimento della classe dirigente del Paese”.

Pubblicato su Il Messaggero del 29 marzo 2020



La velocità dell’epidemia di Coronavirus in Italia

Per valutare come evolve un’epidemia di norma si usa un diagramma che rappresenta l’incremento dei casi per unità di tempo (tipicamente il giorno).

Qui noi preferiamo adottare un’altra rappresentazione, di più facile lettura, che si basa sui tassi di crescita stabilizzati: la g-curva epidemica rappresenta l’andamento giorno per giorno dei tassi di crescita tendenziali.

Fonte: elaborazioni Fondazione Hume su dati Dipartimento della Protezione Civile

Nella fase iniziale dell’epidemia i tassi di crescita erano superiori al 35%, poi pur fra qualche oscillazione sono gradualmente scese, fino al livello attuale, prossimo al 8-9%.

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NOTA TECNICA. Il grafico rappresenta la g-curva epidemica, ovvero il tasso di crescita dei soggetti risultati positivi al COVID-19 in Italia. Il tasso G3 è uguale a

g3 = [(yt + yt-1)/(yt-2 + yt-3)]1/2 – 1

dove

  • yt rappresenta il numero di casi totali al tempo t
  • yt-1 è uguale ai casi totali al tempo t-1
  • yt-2 è uguale ai casi totali al tempo t-2
  • yt-3 è uguale ai casi totali al tempo t-3



L’epidemia in Italia e Spagna

Sono saliti a 47.610 i casi positivi al Covid-19 in Spagna, mentre il numero dei decessi ha raggiunto quota 3.400, superando, come l’Italia, la Cina. Oggi la Spagna è il quarto paese più colpito.

L’Italia è seconda (dopo la Cina), ma se si sincronizzano le curve dei due paesi facendole partire dal giorno in cui sono stati registrati più di 400 casi, vediamo come la diffusione dell’epidemia sia stata decisamente più veloce in Spagna.

Fonte: elaborazioni Fondazione Hume su dati ECDC e Dipartimento della Protezione Civile italiana

Anche la curva dei decessi ha iniziato, da qualche giorno, a muoversi più velocemente di quella italiana.

Fonte: elaborazioni Fondazione Hume su dati ECDC e Dipartimento della Protezione Civile italiana

 

 




Coronavirus: facciamo un’indagine nazionale su un campione rappresentativo

L’idea è venuta tempo fa a un mio amico viticoltore, che ha l’azienda in Friuli (si chiama Nicola Manferrari, le sue vigne sono a Borgo del Tiglio): perché non cerchiamo di capire quanti sono i contagiati dal coronavirus con un’indagine statistica?

Se si sottoponesse a tampone e (possibilmente) ad esame del sangue un campione rappresentativo della popolazione italiana, potremmo rapidamente sapere alcune cose fondamentali, che al momento non sappiamo ancora:

  • quanti sono i contagiati totali (sintomatici, asintomatici, guariti)
  • qual è la percentuale di asintomatici
  • qual è la distribuzione per genere, età ed altre caratteristiche
  • qual è, approssimativamente, il tasso di letalità.

Tutte informazioni preziose per contrastare la diffusione del virus.

Allora (appena tre settimane fa) l’idea mi parve impraticabile perché le stime che circolavano sul numero di contagiati erano troppo basse. I casi ufficiali erano circa 1000, e si pensava ancora che i casi totali potessero essere il triplo, magari anche il quadruplo o il quintuplo, ma certo non più di 10 mila. Diciamo che un numero verosimile poteva essere non lontano da 6000, il che significa 1 italiano su 10000.

Di qui la mia perplessità. Se il numero di contagiati è sconosciuto ma ancora molto basso (diciamo 1 caso su 10 mila, giusto per fissare le idee), per poter stimare accuratamente il numero effettivo di contagiati nella popolazione complessiva occorrerebbe un campione enorme: con un campione di 10 mila casi potremmo anche non intercettarne nessuno (o averne appena 1, o 2), con un campione di 100 mila casi potremmo ragionevolmente attenderci di intercettarne una decina (con un errore atteso di circa 3 casi). Per poter sperare di intercettare anche solo un centinaio di casi occorrerebbe un campione di 1 milione di casi, che è decisamente troppo grande (anche perché sarebbe opportuno sottoporre a test tutti i soggetti nei medesimi giorni).

Ora però le cose sono cambiate, per quattro motivi.

  1. Il numero di casi è molto più alto di tre settimane fa (al 20 marzo, i 1000 casi di inizio mese sono diventati circa 50 volte tanti).
  2. Sono sempre più numerosi gli esperti che congetturano che i casi effettivi possano essere molto più numerosi (anche 10 volte tanti, se non di più) rispetto ai casi ufficiali.
  3. La regola enunciata dal prof. Andrea Crisanti (lo studioso che ha guidato l’indagine di popolazione sul comune di Vo’), secondo cui l’ordine di grandezza del numero di asintomatici è 10 volte il numero di ospedalizzati, conduce a valutare in 200 mila il numero totale di casi positivi.
  4. Una stima indipendente, condotta dalla Fondazione Hume con un approccio del tutto diverso, conduce a valutazioni del medesimo ordine di grandezza.

E allora il calcolo è presto fatto. Se riuscissimo a organizzare una rilevazione per fine mese, anche un campione relativamente piccolo (per esempio 50 mila casi: più o meno i tamponi che oggi si fanno in 3 giorni) potrebbe fornirci le informazioni che cerchiamo.

I 45 mila casi ufficiali attuali (20 marzo), infatti, tra la fine del mese e i primi di aprile saranno diventati circa 150 mila, cui andrebbero aggiunti tutti gli asintomatici, che adottando la “regola Crisanti” (asintomatici = ospedalizzati x 10) potrebbero essere un po’ più di 400 mila.

Questo significa che, già nei primi giorni di aprile, potremmo avere a che fare con una popolazione di 5-600 mila contagiati su 60 milioni (l’1% della popolazione). Un campione di 20 mila casi ne intercetterebbe circa 200, un campione di 50 mila casi ne intercetterebbe circa 500.

Certo, resterebbe il problema di stratificare il campione per zona geografica, perché il numero di positivi per abitante è molto alto nel centro-nord, e molto più basso nel centro-sud. Ma è un problema risolvibile sovracampionando il centro-sud e sottocampionado il centro-nord, in modo da avere pressappoco il medesimo numero di casi in entrambi i territori.

Il vero problema è di estrarre un campione davvero rappresentativo, cosa che si può fare usando le liste elettorali, l’anagrafe tributaria o altra fonte amministrativa capace di raggiungere la quasi totalità della popolazione.

Insomma, il contagio è andato così avanti che l’idea di ripetere con un campione rappresentativo ciò che a Vo’ è stato fatto con la quasi totalità della popolazione sta diventando praticabile.

Non sappiamo quanti siano i contagiati, ma conoscerne l’ordine di grandezza (1 italiano su 100 ai primi di aprile) è più che sufficiente per pianificare un’indagine campionaria, che potrà finalmente fornire una risposta affidabile alle nostre domande iniziali: quanti sono effettivamente i contagiati, qual è il peso degli asintomatici, qual è la composizione per età, qual è il tasso di letalità.

Tutte cose che al momento non sappiamo, e che sarebbe molto meglio sapere. Come ha detto il prof. Crisanti nell’ultima intervista a “Italia Oggi” a proposito dell’idea di un’indagine statistica nazionale: “potrebbe essere molto utile dopo il picco quando si tratterà di capire se è il caso di sollevare le misure restrittive”.

Il picco è previsto per martedì 24 marzo. Credo che – se c’è la volontà politica di farla – l’indagine potrebbe partire lunedì 30 marzo e terminare lunedì 6 aprile.

[20 marzo 2020]