È tutto sbagliato, è tutto da rifare. Il copyright della frase è di Gino Bartali, naso triste da italiano in gita, come lo definì in una bellissima canzone Paolo Conte. Il concetto però è sovrapponibile al pensiero di Luca Ricolfi, naso molto sensibile di italiano alquanto perplesso. Editorialista per svariati quotidiani, attualmente in forza al Messaggero, il professore torinese ha fondato l’osservatorio del Nord-Ovest ed è ora responsabile scientifico della fondazione David Hume, che ha creato con il vecchio direttore del Corriere della Sera, Piero Ostellino. In parole semplici, Ricolfi è il più grande sociologo italiano. Nessuno come lui sa annusare gli umori della nostra società, della quale ha una visione lucida e imparziale. In questa intervista dispensa mazzate per tutti, destra e sinistra. Crocifigge il governo per la gestione dell’emergenza Covid-19 e per l’assenza di preparazione della ripartenza. Bastona Conte e i suoi governi gialloverde e giallorosso per la loro politica esclusivamente assistenzialista. Suggerisce nella ricetta ultraliberista e di defiscalizzazione selvaggia l’unica via di salvezza per il Paese. E ne ha pure per gli italiani, che si sono fatti rubare la democrazia senza reagire.
Professor Ricolfi, Conte compie due anni a Palazzo Chigi: com’è cambiata l’Italia sotto l’avvocato?
«La cultura politica dell’Italia era già da avvocati prima: attenzione ossessiva alle procedure e pochissima concretezza. Non so se Conte abbia peggiorato la situazione, certo non è la persona giusta per imprimere una svolta. Dipendesse da me, vedrei bene a capo del governo un contadino che ha fatto il classico».
Come valuta i due anni di governo grillino, che è poi la grande novità della politica?
«Valuto male entrambi i governi, perché la cifra di entrambi è stata l’assistenzialismo. Salvini ha un bel dire che è stato costretto a digerire il reddito di cittadinanza, visto che quota 100 è stata la sua bandiera. Quanto alla politica fiscale del governo gialloverde, l’intervento sulle partire Iva è stato di entità irrisoria (meno di un miliardo), e l’ennesimo condono fiscale non è certo ciò di cui l’economia aveva bisogno».
Che futuro vede per M5S?
«Non ne ho la minima idea. Se solo esistesse un’alternativa credibile, lo vedrei spacciato; ma se l’alternativa sono le forze attualmente in campo, forse il Movimento può pensare di sopravvivere a tutte le sciocchezze che ci infligge».
Pd-M5S: sono nozze fattibili?
«Certo. Anche nella vita reale i matrimoni sono spesso di interesse. In politica il matrimonio d’amore è l’eccezione, non la regola».
Cosa sta accadendo nel centrodestra?
«Nulla. Mi pare la risposta più adeguata. Ed è questo il problema del nostro sistema politico: la sinistra rinasce continuamente proprio perché è un camaleonte senza vergogna di sé, la destra resta al palo perché non riesce a cambiare».
Il calo di Salvini nei sondaggi è temporaneo?
«Penso che il calo di Salvini sia difficilmente reversibile, perché ha dimostrato di non avere né il linguaggio né l’organizzazione mentale necessari al ruolo di premier».
E la crescita della Meloni la stupisce?
«Io la vedevo veleggiare verso il 20% già quando era ancora sotto il 10%. La Meloni è una politica di razza, se fosse un uomo sarebbe già da un pezzo alla guida del centro-destra».
Il Covid-19 che Italia lascia?
«Di per sé, il Covid ci avrebbe lasciato più poveri di prima. Il Covid in salsa giallorossa però ci lascerà molto più poveri di prima, e soprattutto sempre più lontani dagli altri paesi avanzati».
Ha allargato le differenze tra Nord e Sud?
«No, direi che per certi versi potrebbe anche finire per accorciarle. Per la sua composizione, il Pil del Nord è più vulnerabile al tracollo degli scambi di quanto possa esserlo quello del Sud, specie nel caso in cui i flussi turistici dovessero riprendere o essere sostituiti dal turismo interno. C’è poi un aspetto molto importante: la società parassita di massa che ci stanno accuratamente predisponendo. Quando la base industriale del Paese si sarà ridotta del 20-25%, la domanda di sussidi e di assistenza del Sud non potrà che esplodere, accentuando il modello “sussidi + lavoro nero” già molto diffuso oggi».
Perché la pandemia ci ha trovato impreparati?
«Per un mucchio di motivi, ma i più importanti mi paiono due. Il primo è che la politica ha deciso di costituire comitati tecnico-scientifici scegliendo in base al livello della carica ricoperta (manager e burocrati della sanità) e non in base alla competenza; se avessero fatto gestire l’epidemia ad Andrea Crisanti, la chiusura totale sarebbe partita due settimane prima, il modello veneto (tamponi di massa) sarebbe stato incoraggiato anziché stigmatizzato, e avremmo avuto (almeno) diecimila morti in meno. Il secondo motivo è che nei passaggi cruciali (fine febbraio e fine aprile) destra e sinistra, salvo modeste eccezioni, si sono ritrovate dalla medesima parte della barricata, schierate con il partito della riapertura, che poi fondamentalmente è il partito del Pil».
Quali sono state le maggiori criticità?
«In ordine di importanza: due mesi di ostilità ai tamponi di massa, un ritardo incredibile nell’indagine sierologica nazionale e nel tracciamento, le oscillazioni sull’utilità delle mascherine».
La sensazione è che il governo non ci abbia preparato alla ripartenza, lei cosa ne pensa?
«Lei la chiama una sensazione? A me pare un’evidenza».
Quali pericoli ravvisa?
«Nessuno ci informa su quali misure si stiano prendendo per neutralizzare i rischi dell’aria condizionata, dei treni e degli aerei. E nessuno ci dice con chiarezza se riapriamo perché l’epidemia è sconfitta o per ragioni economiche. La mancanza di trasparenza e verità ha un grande prezzo, perché le persone restano incoscienti dei reali pericoli. C’è stata ideologia all’inizio, nel non voler mettere in quarantena chi arrivava dalla Cina, e c’è oggi, nel riaprire tutti insieme in condizioni diverse».
Pensa che saremmo pronti ad affrontare una seconda ondata?
«No, non lo penso».
Lo Stato centrale ha avuto molti problemi nei rapporti con le Regioni, che sono diventate nel bene e nel male le protagoniste della lotta al Covid-19: come mai è successo?
«Credo sia stata una ammuina utile al ceto di governo, non saprei dirle se intenzionale o no. Alla fine, quando arriverà la magistratura e saranno istituite le solite commissioni di inchiesta, lo scaricabarile reciproco sarà un gioco da ragazzi».
Ritiene che le Regioni e le spinte autonomiste escano rafforzate da questa esperienza?
«Non ne ho la minima idea, perché davvero non saprei se – in generale – abbiano fatto peggio lo Stato centrale o le Regioni. Quel che posso dire è che alcune Regioni (innanzitutto quelle del Triveneto, che sono le più autonomiste), si sono comportate meglio di altre. Fossi veneto mi batterei per l’autonomia; essendo piemontese, e avendo visto da vicino che cosa (non) ha fatto la Regione Piemonte in questi mesi, ne avrei il terrore».
Perché si è levato un attacco così duro contro la Lombardia?
«Perché ha fatto errori enormi, a partire dallo scoraggiamento dei tamponi e dalle scelte in materia di assistenza domiciliare».
Tutti temono l’esplosione della rabbia sociale: anche lei?
«Sì, perché quando la paura sparirà, o ci saremo abituati a tollerarla, molti si troveranno senza lavoro, con poco reddito, bassi consumi, molta disperazione».
Il danno economico è enorme: l’Italia rischia di fallire?
«Sì, lo temo. Questo governo sta prendendo con molta allegria soldi che non ha, e prima o poi i mercati, ancor più delle autorità europee, ci chiederanno il conto».
Ha una ricetta da suggerire per uscirne?
«Fare come in Irlanda: niente burocrazia e imposta societaria non oltre il 12.5%. E magari restituirci il voto, così almeno potremo incolpare noi stessi quando sceglieremo l’ennesimo governo di mediocri».
La ricetta irlandese è ultraliberista, ma la sensazione è che il governo applichi per lo più ricette di sinistra: cosa ne pensa?
«Più che ricette di sinistra, il governo sta usando ricette irresponsabili. È quel che succede quando la sinistra, che ha anche una componente riformista e responsabile, per amore del potere si allea con le forze più demagogiche e anti-mercato. Che poi questa piroetta parlamentare sia orchestrata dalla sinistra riformista stessa (Renzi), dice solo a che cosa si è ridotta la sinistra. Per uno come me, che negli anni ’70 ha lavorato con la mitica FLM (Federazione dei Lavoratori Metalmeccanici), e ha potuto vedere tutta la parabola che da Lama e Berlinguer ci ha portati all’attuale ceto politico progressista, lo spettacolo odierno è un film dell’orrore».
L’Europa è intervenuta con lentezza e pochi soldi: non si poteva fare di meglio, non ha capito o che altro?
«L’Europa è quel che è, una macchina burocratica lenta, guidata da un’oligarchia priva di ogni slancio ideale».
Giustizia e istruzione, i due ambiti del pubblico, non ripartono, le aziende sì: come se lo spiega?
«Scuola e giustizia non stanno sul mercato. Non hanno la necessità di riaprire per sopravvivere».
Perché il governo non si è preoccupato della scuola, davvero conta così poco?
«Qualcosa è stato fatto, in realtà, ma in direzione assistenziale: nuove assunzioni, tanto per cambiare, in una situazione in cui le statistiche internazionali ci dicono che abbiamo troppo personale, e accurate ricerche nazionali documentano la vergogna dell’edilizia scolastica».
Lo scandalo delle intercettazioni della magistratura è destinato ad avere effetti o si spegnerà?
«Non mi sembra che il grande pubblico se ne curi, tendo a pensare che metteranno qualche toppa e la gente penserà presto ad altro».
Tutti dicevano che dopo il Covid-19 ogni cosa cambierà in meglio: una favola o condivide, e cosa muterà?
«Molto cambierà, ma che cosa e quanto dipenderà dal fatto che l’arrivo autunnale di virus micidiali diventi una costante oppure no».
Nel bene e nel male, che giudizio dà degli italiani durante la quarantena?
«Gli italiani mi hanno sorpreso per la loro docilità e il loro scarso amore per libertà e democrazia. Abbiamo bevuto tutto ciò che le autorità ci dicevano, senza pretendere l’unica cosa che dovevamo pretendere: serietà e trasparenza. Possiamo lamentarci fin che vogliamo del governo Conte e della sua “acostituzionalità” (così lo ha qualificato un giurista eminente come Sabino Cassese), ma resta il fatto che lo abbiamo digerito più che bene, come cittadini e come mass media: in democrazia, ogni popolo ha i governanti (e i giornalisti) che si merita».
Intervista a cura di Pietro Senaldi pubblicata su Libero quotidiano il 1 giugno 2020