Il termometro dell’epidemia (release 1.0)

Dopo gli aumenti degli ultimi giorni, la temperatura dell’epidemia (ultimo dato disponibile, ore 18.00 del 31 agosto) è rimasta invariata a 6.2 gradi pseudo-Kelvin.

Alla base di questo risultato vi è la sostanziale stabilità dei nuovi contagi e dei decessi. Diminuiscono leggermente gli ingressi ospedalieri stimati.

La variazione settimanale della temperatura è pari a +1.8 gradi.

Va ricordato, come sempre, che l’andamento della temperatura non riflette quello dei contagi attuali, ma quello dei contagi avvenuti 2-3 settimane fa.

Per maggiori dettagli si rimanda alla nota tecnica




Il partito della prudenza

Alla fine Walter Ricciardi, consulente del ministro Speranza (e rappresentante dell’Italia nell’OMS), si è lasciato scappare la verità: la riapertura delle scuole è a rischio, e le elezioni pure. Era un’ovvietà, lo sa chiunque segua i dati dell’epidemia. Ma lo hanno costretto a rimangiarsela: non si stava riferendo all’Italia, avevamo capito male. Il totem della riapertura non si può toccare.

In questi mesi il governo ha finto di puntare tutto sulla riapertura delle scuole. Ma la verità è che la priorità del governo non è mai stata la riapertura delle scuole. Se lo fosse stata avrebbe agito diversamente.

Ricapitoliamo. E’ da due mesi, non da pochi giorni, che i segnali di una ripresa dell’epidemia si moltiplicano. Per tutta risposta, il governo ha accuratamente evitato di imporre la chiusura delle discoteche, lasciando pilatescamente la patata bollente alle Regioni. E su tutti gli altri fronti si è mosso nella medesima direzione: chiudere un occhio su ogni infrazione delle regole, prima fra tutte il distanziamento, per non danneggiare il turismo; permettere che la gente (aiutata da esperti negazionisti o minimizzanti) si autoconvincesse che il peggio era passato, che il virus era in ritirata, e che le regole potevano essere violate impunemente.

Eppure l’evidenza scientifica (e sociologica) diceva tutt’altro. I più giovani si ammalano raramente e poco gravemente, ma sono un vettore formidabile del virus. Il contagio fra coetanei è inevitabile in qualsiasi situazione diversa dal lockdown. Se si vuole impedire che il contagio deflagri nelle scuole, mettendo a rischio innanzitutto la salute di insegnanti e familiari, la via maestra non sono i banchi a rotelle ma è portare il più possibile vicino a zero il numero di contagiati; approfittare dell’estate (alte temperature, poco smog, vita all’aperto) per appiattire ancora la curva epidemica, in modo che il primo giorno di scuola i ragazzi contagiosi siano il meno numerosi possibile.

Perché è vero che dobbiamo imparare a convivere con il virus, è vero che non siamo ancora nelle condizioni di azzerare i contagi, ma è completamente diverso combattere il virus quando i contagiati sono uno ogni 10 mila, uno ogni mille, o uno ogni cento. Fino a un paio di mesi fa eravamo vicini alla prima soglia (1 su 10 mila), ora abbiamo superato la seconda (1 su 1000), e stiamo puntando a vele spiegate verso la terza (1 su 100). E’ una situazione pericolosissima, che molto somiglia a quella di febbraio. Come ha recentemente osservato l’epidemiologo Pier Luigi Lopalco, il problema è che – lasciando correre il virus come finora si è fatto – si stanno creando le condizioni per “l’innesco di una seconda ondata. Lo stesso innesco che a febbraio, semplicemente, non abbiamo rilevato e che poi ha provocato la grande ondata”.

Non sono considerazioni nuove. Sono il nucleo della “dottrina Crisanti”, più volte enunciata pubblicamente da lui stesso, e sottoscritta da una piccola minoranza di istituzioni, studiosi, operatori dell’informazione, preoccupati dell’imprudenza del governo centrale e di non pochi governatori delle Regioni.

Ora, però, siamo a 6 mesi esatti dallo scoppio dell’epidemia (Codogno, era il 21 febbraio), e il “partito della prudenza” è chiaramente e inequivocabilmente sconfitto. Inutile nasconderlo, inutile insistere con i numeri e con le analisi. Persa la battaglia in favore di un vero contrasto dell’epidemia, è forse giunto il momento di capire perché abbiamo perso. O meglio: perché abbiamo perso in modo così rovinoso e totale, perché mai non siamo riusciti a vincere nemmeno una delle nostre battaglie.

Sconfitta (a febbraio) la linea della prudenza verso i cinesi e i voli (diretti e indiretti) dalla Cina. Persa la battaglia contro la campagna “Milano non si ferma”. Sconfitta l’idea di fermarsi subito, ai tempi delle mancate chiusure di Nembro e Alzano. Ignorati (una prima volta a marzo e una seconda a maggio) gli appelli per i tamponi di massa. Snobbate, ai primi di giugno, le analisi che indicavano che alcune regioni del Nord non erano pronte per la riapertura. Recepita con mesi di ritardo la proposta di un’indagine sierologica nazionale. Completamente disattesa la richiesta, non solo nostra ma di tutta l’opinione pubblica, di indicazioni chiare e ragionevolmente stabili su mascherine, distanziamento, assembramenti. Indifferenza alle proteste per le incredibili incongruenze delle norme sul distanziamento (rigorosamente distanziati a teatro, nei musei, sui Freccia Rossa; appiccicati come sardine sui bus, sui treni ordinari, sui vaporetti, sugli aerei). Incomprensibile sordità agli inviti a tenere chiuse le discoteche, nonché alle denunce sulla violazione delle regole nei luoghi della movida e del divertimento. Snobbata ogni critica sulla disastrosa gestione degli sbarchi. Demonizzata ogni idea di limitazione e regolazione dei flussi turistici (un errore che la Sardegna sta pagando a caro prezzo proprio in questi giorni). Del tutto ignorate le richieste degli studiosi di accedere ai dati analitici dell’epidemia.

E’ solo un piccolo campionario della guerra che abbiamo rovinosamente perso. Dunque, veniamo al punto: perché il “partito della prudenza” ha perso tutte le sue battaglie?

Io credo che la risposta, se vogliamo andare subito al succo, sia essenzialmente una: la stella polare della politica, di tutta la politica (non solo del governo), è solo il consenso di breve, brevissimo periodo. Non c’è altro, nelle scelte che fanno i nostri politici, anche se c’è molto altro nelle chiacchiere con cui le accompagnano. Se governo e Regioni avessero agito con maggiore prudenza avrebbero avuto contro almeno tre poteri fondamentali: il mondo dell’economia, interessato alla riapertura persino quando (fine febbraio) era palesemente una follia; l’opinione pubblica, assetata di risarcimenti economici (sussidi) ed esistenziali (vacanze senza restrizioni) dopo il lockdown; l’opposizione politica, schierata dal lato della ripartenza ancora più accanitamente del governo.

Certo, è stato il governo a non avere il coraggio di tenere chiuse le discoteche, e a perseverare in quell’errore nei giorni (Ferragosto) in cui tutti avevano capito che era un errore fatale. Ma non si può dimenticare che, di fronte a una scelta così irresponsabile, Salvini non trovava di meglio che dichiarare: “L’unico problema legato al virus non sono i ragazzi che ballano ma quelli che sbarcano”. Difficile pensare che un governo imprudente possa cambiare rotta se il maggiore partito di opposizione è su una linea ancora meno prudente.

Lo stesso discorso vale per gli altri attori in campo. Se la gente non ha capito quanto erano pericolosi i comportamenti di cui ora constatiamo le conseguenze, è perché il governo, dopo il lockdown (e in particolare dopo la chiusura delle scuole e l’inizio delle vacanze), non ha mai veramente provato a far rispettare le regole. Ma è altrettanto vero che se ci avesse provato, come era suo preciso dovere, avrebbe perso molto del consenso accumulato nei mesi precedenti. Gli attori economici si sarebbero ribellati, le famiglie e i giovani si sarebbero sentiti ingiustamente deprivati dei loro sacrosanti, inalienabili, diritti a vacanze, spiagge, divertimento, movida ecc. (resta naturalmente da vedere se il calcolo del governo non sia stato miope: se le scuole riaprissero a singhiozzo, se dovessimo essere costretti a un nuovo lockdown, se i nuovi danni all’economia risultassero superiori ai vecchi benefici dell’apertura precoce, la gente si arrabbierebbe molto).

E’ questa la logica di quel che è successo. E’ per questo che noi “prudenti” abbiamo perso tutte le nostre battaglie. Siamo stati ingenui, ora non ci resta che sperare di aver avuto torto, e che a settembre si verifichi il miracolo: le scuole riaprono, le elezioni hanno luogo in sicurezza, gli oltre 1000 focolai attuali diminuiscono drasticamente di numero, ci sono abbastanza tamponi per tutti i bambini e i ragazzi messi in isolamento, pochi insegnanti si ammalano, nessuno di loro muore, la stagione fredda e lo smog della pianura padana non alimentano una seconda ondata, l’economia riprende vigore, gli ospedali si svuotano, non ci sono nuovi lockdown.

E’ un atto di fede, ma è tutto quel che ci resta.

Pubblicato su Il Messaggero del 22 agosto 2020




Il termometro dell’epidemia (release 1.0)

Il termometro dell’epidemia ha iniziato a mostrare una leggera tendenza all’aumento fin dai primi giorni di agosto. Un mese fa (1° agosto) la temperatura era pari a 1.5 gradi pseudo-Kelvin, uno dei valori più bassi toccati dall’inizio dell’epidemia. Dopo circa una settimana, lievi incrementi hanno portato il termometro a superare la soglia del 2 fino a raggiungere 2.4 durante la nostra ultima rilevazione (14 agosto). Ma è nell’ultima parte di agosto che il ritmo di crescita del contagio si è fatto via via più sostenuto. Si è passati dal 2.7 del 19 agosto al 4.0 del 23 agosto, fino a toccare 6.2 domenica 30 agosto. In poco meno di due settimane siamo tornati ai livelli di metà giugno.

Questo aumento si deve essenzialmente alla crescita dei nuovi contagi e in misura più lieve all’andamento degli ingressi ospedalieri stimati. Sono invece rimasti sostanzialmente stabili i decessi.

La variazione settimanale della temperatura è pari a +2.2 gradi.

Va ricordato, come sempre, che l’andamento della temperatura non riflette quello dei contagi attuali, ma quello dei contagi avvenuti 2-3 settimane fa.

Per maggiori dettagli si rimanda alla nota tecnica




Il termometro dell’epidemia (release 1.0)

Dopo gli incrementi degli ultimi giorni, la temperatura dell’epidemia (ultimo dato disponibile, ore 18.00 del 14 agosto) è rimasta invariata a 2.4 gradi pseudo-Kelvin.

Questo risultato si deve a due tendenze opposte: l’aumento dei nuovi contagi (in crescita da più di una settimana) è stato controbilanciato dalla diminuzione degli ingressi ospedalieri stimati. Continuano a rimanere stabili i nuovi decessi.

La variazione settimanale della temperatura è pari a +0.5 gradi.

Va ricordato, come sempre, che l’andamento della temperatura non riflette quello dei contagi attuali, ma quello dei contagi avvenuti 2-3 settimane fa.

La temperatura di oggi (14 agosto) potrebbe essere oggetto di revisioni: la Regione Piemonte ha comunicato che a causa di un guasto tecnico della rete dei sistemi informativi regionali, i nuovi casi positivi di oggi potrebbero essere sottostimati

Per maggiori dettagli si rimanda alla nota tecnica




La grande ipocrisia

“Mi preoccupa il senso di onnipotenza dei giovani”. Così, in un’intervista al “Corriere della Sera”, ha dichiarato Agostino Miozzo, medico e coordinatore del Comitato tecnico Scientifico.

Non discuto certo la fondatezza delle sue preoccupazioni, semmai trovo un po’ tardiva questa uscita (come Fondazione Hume abbiamo segnalato la svolta dei dati del contagio fin dal 18 giugno, quasi 2 mesi fa). Quel che mi stupisce, invece, è questa improvvisa concentrazione delle critiche sui giovani, come se il probabile arrivo di una seconda ondata potesse essere attributo alla irresponsabilità dei giovani stessi.

Questo è estremamente ipocrita. I giovani sarebbero plausibilmente criticabili se le autorità avessero enunciato regole chiare e coerenti, non le avessero cambiate continuamente, e soprattutto non avessero quasi del tutto rinunciato a farle rispettare nei luoghi che contano. Come è possibile che nei teatri, nei musei, nei treni ad alta velocità si debba rispettare il distanziamento, e sui treni normali e nelle discoteche ci si possa assembrare senza che nessuno intervenga? Come è possibile che appiccicarsi uno all’altro sugli aerei non desti alcuna preoccupazione nelle autorità, mentre appiccicarsi in discoteca sì? Che senso ha vietare gli assembramenti, se poi li si tollera ovunque, per strada come in spiaggia?

In realtà una spiegazione esiste. Le autorità avevano paura di fermare l’economia, e quindi hanno permesso che ci contagiassimo a vicenda. Sapevano che così l’epidemia avrebbe rialzato la testa, ma hanno preferito chiudere un occhio, per non rovinarci le vacanze (e non perdere consenso). Ora che il carnevale sta finendo, minacciano di proclamare la Quaresima (nuovi lockdown), e hanno pure il becco di dare la colpa a noi, che non avremmo mostrato sufficiente senso di responsabilità. Poi, quando la seconda ondata si farà minacciosa, ci diranno che loro l’avevano detto, che noi non siamo stati abbastanza attenti, e ora ci becchiamo quel che con i nostri comportamenti avventati ci siamo meritati.

Ma è troppo comodo fingere di non sapere come funziona la catena comunicativa. Se le autorità enunciano regole incoerenti, il pubblico si attiene alla regola meno severa (il non-distanziamento sui mezzi pubblici). Se poi enunciano regole anti-assembramento, ma non muovono un dito quando le regole vengono patentemente infrante, il pubblico capisce che la regola è finta, e quindi non in vigore. Qualcuno può stupirsi che i giovani, che già di per sé hanno una propensione al rischio (e al divertimento) più alta degli adulti, se ne infischino di regole che gli adulti non fanno lo sforzo di far rispettare?

C’è qualcosa che non torna, come ha fatto notare pochi giorni fa in tv la giornalista Marianna Aprile con un ragionamento folgorante (cito a memoria): perché ci scandalizziamo per gli assembramenti in discoteca e per quelli sui mezzi pubblici no?  Qual è la ratio? Forse è perché in discoteca ci si diverte, e ad andare al lavoro no?

La realtà, temo, è che il governo ha fatto, sulla nostra pelle, una scommessa rischiosa: lasciare che la macchina dell’economia e quella delle vacanze ripartissero senza eccessivi ostacoli, sperando che alla fine, quando a settembre torneremo a scuola e al lavoro, il disastro sanitario sia ancora contenibile.

E’ ben fondata questa speranza?

Sinceramente non lo so. Ci sono dati che inducono a un certo ottimismo, e altri che decisamente preoccupano.

Il dato più confortante è che il numero di soggetti positivi (e quindi potenzialmente contagiosi) per milione di abitanti è molto basso, anche se non così basso come ci è stato raccontato nei giorni scorsi con le cartine che mostrano un’Italia isola felice, accerchiata da paesi che hanno più casi di noi. Se anziché fidarsi del numero di casi diagnosticati (che dipende pesantemente dal numero di tamponi), si fa una stima del numero effettivo di casi contagiosi di ogni paese, si vede immediatamente che la situazione non è esattamente di accerchiamento (vedi mappa): stanno peggio di noi il Regno Unito, i paesi a ovest (Francia e Spagna) e i paesi balcanici, ma stanno meglio di noi quasi tutti i paesi a Nord dell’Italia: Germania, Austria, Svizzera, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Olanda, Repubbliche baltiche, Norvegia, Finlandia, Islanda.

Impossibile dare una stima accurata del numero di persone contagiose in Italia, ma quel che si può dire è che nel momento peggiore dell’epidemia (fine marzo) il numero di persone contagiose era almeno 100 volte superiore a quello di oggi. Questo dato, in sé positivo, ha però anche una faccia negativa: il fatto che, in questo momento, la base dei contagiosi sia dell’ordine di poche decine di migliaia di persone, rende temporaneamente non percepibili le conseguenze catastrofiche del mancato rispetto delle regole. Se la “base” fosse 100, o anche solo 10 volte superiore, le corsie degli ospedali sarebbero già sotto stress.

A proposito di ospedali, l’andamento dei ricoveri ci fornisce il dato più preoccupante. Nelle ultime due settimane si è completamente interrotto il trend di diminuzione dei ricoveri per Covid, che hanno ripreso a salire sia nella componente ordinaria (+10% dal 1° agosto) sia in quella delle terapie intensive (+30% nell’ultima settimana).

E non è tutto. Preoccupante è anche l’andamento dei tamponi, che ormai da più di un mese fluttuano intorno ai minimi. Come preoccupante è l’andamento del rapporto fra nuovi casi diagnosticati e numero di persone testate, più che raddoppiato dai primi di luglio a oggi.

Ma il dato forse più meritevole di attenzione è l’andamento del numero totale di soggetti positivi. Questo dato aveva toccato il massimo alla fine di aprile, ma da allora era sempre sceso, fine un paio di settimane fa, quando ha ricominciato a salire. Ora, nonostante le guarigioni e i decessi, il numero totale di diagnosticati positivi è in aumento, e sfiora le 14 mila unità. Se si considera che, in Italia, il moltiplicatore che fa passare dai casi ufficiali a quelli effettivi è vicino a 6, è immediato concludere che il numero di persone positive (fortunatamente non tutte contagiose) è probabilmente non lontano da 100 mila.

Ecco perché l’allarme del Comitato tecnico-scientifico è pienamente giustificato. Resta solo la domanda: perché avete aspettato tanto a prendere atto di una realtà che era già chiara un mese fa?

Pubblicato su Il Messaggero del 14 agosto 2020

Nota tecnica

La stima del numero di contagiosi si basa sul numero di nuovi contagi e di nuovi decessi avvenuti nelle ultime tre settimane rapportato alla popolazione del paese.
I dati utilizzati provengono dal database dalla Johns Hopkins University aggiornati al 12 agosto.