Il termometro dell’epidemia (release 1.0)

Oggi (ultimo dato disponibile, ore 18.00 del 14 settembre) la temperatura dell’epidemia è lievemente salita, passando da 7.8 a 7.9 gradi pseudo-Kelvin (l’aumento è stato inferiore al decimo di grado).

Questo risultato si deve all’andamento degli ingressi ospedalieri stimati, in crescita per il terzo giorno consecutivo. Sono invece leggermente diminuiti i nuovi contagi, mentre i decessi sono rimasti sostanzialmente stabili.

La variazione settimanale della temperatura è pari a +0.7 gradi.

Va ricordato, come sempre, che l’andamento della temperatura non riflette quello dei contagi attuali, ma quello dei contagi avvenuti 2-3 settimane fa.

Per maggiori dettagli si rimanda alla Nota tecnica




Come nel mito greco il cacciatore vittima del cervo

Ci siamo dimenticati della vendetta. È un gesto che non ci piace più, che sentiamo estraneo e sbagliato, ignobile, ingeneroso. La nostra è la cultura del perdono, porgere l’altra guancia o almeno evitare l’automatismo dell’occhio per occhio dente per dente.

Eppure un tempo la vendetta era un compito, un imperativo morale. Amleto è lì a ricordarcelo, anche se già in lui il dovere s’incrina dolorosamente nel dubbio che paralizza l’azione. E la guerra di Troia, in fondo, è la vendetta di Menelao a cui lo straniero Paride ha rapito la moglie…

Il tema rimane in certi film, che appartengono alla cultura americana del farsi giustizia da sé. Il giustiziere della notte, per esempio, dove Charles Bronson, nei panni di un architetto di New York a cui hanno aggredito la figlia e ucciso la moglie, s’improvvisa spietato vendicatore. Difficile non amare il personaggio, non vedere che la vendetta può anche essere intesa come la risposta, più che umana, a un atto criminale, disumano.

Gli animali tengono memoria. In loro non c’è cultura che tenga. Agiscono d’istinto e sanno cosa fare.

Pochi giorni fa, nell’Oregon, un uomo di 66 anni va a caccia nella proprietà di un amico e ferisce un cervo con una freccia. Si fa buio, e non trova la preda, così decide di andarlo a cercare il mattino dopo. Arriva la notte. L’uomo dorme beato, il cervo no. Ha male, non riesce più ad alzarsi. Pensa: perché quell’uomo andava a caccia proprio di lui, perché lo ha colpito, che cosa gli ha fatto di male? Non sa nulla di violenza, e nemmeno di destino e di condizione mortale. Sente che la sua vita s’interrompe, e questo è tutto.  Ma su quella domanda muta e inconsapevole, sul perché, sulla gratuità colpevole di chi lo ha voluto uccidere, non si placa. È un istinto. Se tu mi togli la vita, io ti devo punire. Non riavrò la vita, ma la toglierò a te.

La notte di quel cervo è la forza della memoria. Le ferite non si dimenticano. Quando al mattino il cacciatore ritorna, il cervo, con le poche forze che gli restano, lo uccide.

Difficile, in questa storia, stare dalla parte del cacciatore. Qui ci è più facile prendere le difese della vittima, visto che la vittima è un cervo (e su questa facilità, che ci viene con gli animali ma non con gli esseri umani, dovremmo riflettere: c’è qualcosa di primordiale e atavico che, a dispetto di tutti i nostri principi, se ne sta ancora acquattato dentro di noi?). Il cervo, poi, ha qualcosa in più che ci muove: è l’animale delle favole, è il cerbiatto timido e elegante che corre per i boschi. È Bamby.

Imperdonabile uccidere Bamby.

Ma c’è un’altra storia, depositata in noi da millenni: il mito di Atteone, il cacciatore sventurato che, durante una battuta di caccia, vede la dea Artemide mentre fa il bagno nuda. Vietato guardare la divinità: Artemide lo trasforma in cervo, e Atteone viene raggiunto dalla muta dei suoi cani che, non riconoscendolo, lo sbranano. Il cacciatore cacciato. Il carnefice che si trasforma in vittima. Anche questa è una storia di vendetta. Gli dei erano persone molto vendicative…

Anche il cacciatore dell’Oregon cade vittima del suo gesto. Ma il suo gesto era violento e determinato. Non si caccia impunemente, e alla fine si viene cacciati.

Atteone invece era innocente. Colpevole solo di uno sguardo, che non poteva in alcun modo evitare, visto che la dea gli appare davanti casualmente, senza che lui lo voglia, senza che lui scelga di guardarla. Uno sguardo inevitabile, che si muta in condanna.

La storia di Atteone ci muove ancora oggi, e per sempre, a pietà. E ci porta a riflettere su cosa sia colpa e cosa sia innocenza. E se la vendetta non sia, in fondo, solo una delle maschere del Destino.

Pubblicato su La Stampa del 2 settembre 2020




Il termometro dell’epidemia (release 1.0)

Oggi (ultimo dato disponibile, ore 18.00 del 13 settembre) la temperatura dell’epidemia è salita di 0.2 gradi, passando da 7.6 a 7.8 gradi pseudo-Kelvin.

Questo peggioramento è dovuto al cattivo andamento degli ingressi ospedalieri stimati e soprattutto all’aumento dei nuovi contagi. Sono invece rimasti stabili i decessi.

La variazione settimanale della temperatura è pari a +0.8 gradi.

Va ricordato, come sempre, che l’andamento della temperatura non riflette quello dei contagi attuali, ma quello dei contagi avvenuti 2-3 settimane fa.

Per maggiori dettagli si rimanda alla Nota tecnica




Scuola, ripartenza rischiosa

“La scuola riapre regolarmente il 14 settembre”, ha affermato il premier Giuseppe Conte in conferenza stampa a Palazzo Chigi. Ma avrebbe fatto meglio a dire la verità, tutta la verità: le scuole cercano di ripartire il 14, ma non riusciranno a farlo in tutta Italia.

Infatti la situazione reale è questa. Il Friuli Venezia Giulia e quasi tutte le regioni del Sud (6 su 8) hanno già deciso di rimandare la riapertura, per lo più a dopo le elezioni del 21 settembre. Quanto alle altre regioni, alcune scuole partiranno, altre no: regioni e comuni possono autorizzare le singole scuole a rinviare la partenza, e già lo stanno facendo dove i dirigenti scolastici ritengono che non ci siano le condizioni per riaprire subito.

Le ragioni del ritardo sono fondamentalmente tre: cattedre scoperte (come tutti gli anni), lavori edilizi non completati o ancora privi delle necessarie certificazioni, mancata consegna dei banchi, originariamente prevista entro l’8 settembre, ed ora slittata alla fine di ottobre.

Si poteva fare diversamente?

Se teniamo conto del fatto che le scuole sono state chiuse da marzo, e che a metà maggio già si sapeva che non avrebbero riaperto prima di settembre, la risposta è: sì, almeno per quanto riguarda la consegna dei banchi. Bastava fare il bando a maggio, come fin dalla fine di aprile suggerivano alcuni produttori, anziché aspettare il 20 luglio (più di 4 mesi dopo la chiusura delle scuole!). Quanto alle nomine degli insegnanti, non riesco a credere che – con i pieni poteri che questo governo si è auto-attribuito – non vi fosse alcun modo di coprire la maggior parte delle cattedre, se non altro in considerazione del fatto che la carenza di insegnanti, nella misura in cui genera caos amministrativo e organizzativo, è anch’essa un potenziale fattore di rischio.

Possiamo almeno dire che la riapertura, dove avverrà, sarà “in sicurezza”?

Questo è difficile stabilirlo in anticipo, anche se il fatto che il premier abbia già messo le mani avanti, dicendo che eventuali focolai non sono imputabili a carenze dell’azione di governo, non è particolarmente incoraggiante. E’ ovvio che, come ha detto al figlio Niccolò, “se succede qualcosa a scuola non è perché papà ha lavorato male”. Ma il punto non è se ci saranno casi di Covid a scuola (questo è certo, ed è perfettamente normale, ahimè), ma se ve ne saranno pochi o parecchi, se sarebbero potuti essere molti di meno con scelte politiche diverse, e se ci siano le condizioni per gestire efficacemente i casi che certamente ci saranno, tanti o pochi che siano. Il caso di Israele, che giusto in questi giorni – primo paese al mondo – ha annunciato il ritorno al lockdown, dovrebbe insegnare qualcosa: se Israele deve di nuovo chiudere, è essenzialmente perché ha sbagliato tutto sulla scuola, dai tempi di riapertura, alla dimensione delle classi, agli errori nella aerazione dei locali (basata sui condizionatori).

Ebbene, sul versante della sicurezza il quadro è tutt’altro che rassicurante, per due ordini di ragioni. Il primo è che le misure adottate sono alquanto deboli, specie se confrontate con quelle di diversi paesi europei, che prevedono regole precise sulla frequenza di aerazione dei locali, un distanziamento maggiore (1.5 metri o 2), vincoli stringenti alla dimensione delle classi (da 10 a 20 bambini, a seconda dei paesi). Per non parlare della incapacità di assicurare un adeguato distanziamento nei trasporti: quella di considerare “congiunti” i bambini che vanno nella medesima scuola è una trovata degna di un Azzeccagarbugli; una acrobazia linguistica cui il governo è dovuto ricorrere perché per mesi e mesi si era occupato d’altro e, arrivati al 27 agosto, non c’era più tempo di provvedere diversamente, innanzitutto rafforzando il trasporto pubblico locale. Viene da chiedersi: a che serve tentare maldestramente di assicurare il distanziamento a scuola, con la ridicola regola del metro fra le “rime buccali”, se prima e dopo l’ingresso a scuola – per mancanza di bus – si costringono i ragazzi ad assembrarsi sui mezzi pubblici?

Ma c’è anche un altro ordine di ragioni, strettamente sanitarie, che non ci può lasciare tranquilli. Dalla metà di giugno, quando l’epidemia ha dato chiari segni di rialzare la testa (un fatto inizialmente segnalato da pochi, ma progressivamente riconosciuto da tutti), nulla è stato fatto per invertire la tendenza, e molto è stato invece fatto per prolungare il più a lungo possibile il periodo in cui la gente poteva divertirsi, il turismo riprendere fiato, e il virus accomodarsi fra noi; fino alla decisione finale di tenere le discoteche aperte anche a Ferragosto, nonostante i disastri provocati dalla folle estate fossero divenuti evidenti a tutti. Ebbene tutte queste scelte e omissioni (specie quella di chiudere un occhio su discoteche e movida) un risultato, prevedibile e previsto, l’hanno prodotto: aumentare il numero di contagiati e, con esso, il rischio che chiunque, ragazzo, insegnante, o familiare, contragga il virus.

Mentre ipocritamente si proclamava che la scuola era una “priorità assoluta”, e che “nemmeno una ora di lezione” doveva andare perduta, si permetteva che il rischio di contagiarsi, sceso ai minimi all’inizio dell’estate, tornasse inesorabilmente a salire.

Ma di quanto? A che punto siamo oggi?

Difficile fornire una stima precisa, ma l’ordine di grandezza è chiaro. Rispetto ai minimi toccati all’inizio dell’estate il numero di morti è quasi triplicato, e il numero di ricoverati in terapia intensiva è circa quadruplicato. Quanto al numero dei contagiati, è verosimile che sia aumentato ancora di più, perché l’età mediana si è drasticamente abbassata, e più la popolazione di contagiati è giovane, minore è la probabilità di un ricovero in terapia intensiva o di un decesso. Morti e ricoverati in terapia intensiva tornano, anche se per ragioni diverse rispetto a marzo e aprile, ad essere solo la punta dell’iceberg del contagio.

Tirando le somme, credo che il numero di contagiati sia almeno quintuplicato, ma non sarei stupito che qualche collega epidemiologo meno prudente di me ipotizzasse che sono decuplicati.

Ecco perché affermare che la scuola riapre “in condizioni di sicurezza” è semplicemente una bugia. No, tra luglio e agosto la scelta di chi ci governa non è stata di approfittare dell’estate per ridurre ulteriormente la circolazione del virus e arrivare alla riapertura delle scuole in condizioni di massima sicurezza (linea di condotta più volte invocata dal prof. Crisanti, e non solo da lui). La scelta è stata di risarcire gli italiani per il lockdown regalando loro un’estate senza regole, anche se si sapeva benissimo che questo avrebbe reso meno sicuro il ritorno a scuola.

Ora che la frittata è fatta, ora che è chiaro che molte scuole non potranno garantire una ripartenza in sicurezza, ora che lo spettro di un ritorno alla didattica a distanza si fa più minaccioso, vorrei almeno, a nome di tanti genitori, chiedere una cosa, minimale ma dovuta: se uno studente viene confinato nella stanza del Covid, e mandato a casa perché sospetto, potete almeno garantirgli il tampone (e la comunicazione dell’esito) entro 48 ore?

Già, perché non tutti i genitori se ne sono ancora accorti, ma non c’è nulla, ma proprio nulla, nei protocolli e nelle procedure, che dia alle famiglie questa garanzia. Non paghi di scaricare sulle famiglie un’operazione (la misurazione della temperatura) che la scuola non è in grado di assicurare, i nostri politici ed esperti hanno previsto che, in caso di sospetto Covid, i genitori debbano riprendersi il pargolo e provvedere loro stessi a contattare un medico, che a sua volta deciderà. Come se non si sapesse che proprio questo è il problema, in tante realtà: non c’è garanzia che il medico venga a casa per una visita, non c’è garanzia che qualcuno effettui subito il tampone, non c’è garanzia che l’esito venga tempestivamente comunicato, e non si perda invece nei meandri della burocrazia delle mail, della “sanità digitalizzata” e senza volto.

Questo è, purtroppo, quello che è successo nei terribili mesi della prima ondata. Possiamo chiedervi che non succeda più?

Pubblicato su Il Messaggero del 12 settembre 2020




Il termometro dell’epidemia (release 1.0)

Dopo gli aumenti degli ultimi giorni, la temperatura dell’epidemia è leggermente diminuita (ultimo dato disponibile, ore 18.00 del 11 settembre), passando da 7.7 a 7.6 gradi pseudo-Kelvin (-0.1 gradi).

Questo risultato è essenzialmente dovuto alla diminuzione degli ingressi ospedalieri stimati. Calano (ma in misura più contenuta) anche i nuovi contagi, mentre i decessi rimangono stabili.

La variazione settimanale della temperatura è pari a +0.9 gradi.

Va ricordato, come sempre, che l’andamento della temperatura non riflette quello dei contagi attuali, ma quello dei contagi avvenuti 2-3 settimane fa.

Per maggiori dettagli si rimanda alla Nota tecnica