Come il mito dei droplets ha sostituito (fino ad oggi) la trasmissione aerea

L’importanza della trasmissione aerea è stata oggetto di accesi dibattiti scientifici durante la pandemia del COVID-19. Essa è stata inizialmente negata con forza dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e dalla maggior parte delle organizzazioni di sanità pubblica. Ciò contrastava con l’interpretazione di molti scienziati secondo cui la trasmissione aerea è il contributo predominante al contagio.

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Sta cambiando qualcosa?

Da quando la campagna vaccinale è entrata nel vivo, e la mortalità ha cominciato a diminuire (circa due mesi fa), un sentimento di fiducia e di ottimismo ha progressivamente preso il posto dei fantasmi che ci avevano perseguitato nei mesi precedenti. La speranza di tutti è che le vaccinazioni siano sufficienti a sconfiggere l’epidemia, e che nel giro di qualche mese la vita possa tornare alla normalità, o quasi.

Ma andrà così?

Nessuno può saperlo, per almeno tre motivi. Primo, è impossibile prevedere con quali varianti dovremo fare i conti nei prossimi mesi e anni. Secondo, nessuno è stato ancora in grado di quantificare il rischio di trasmissione da parte dei vaccinati. Terzo, non sappiamo quanti verranno vaccinati, e in particolare se lo saranno anche i bambini.

Dunque la sconfitta del virus è nell’ordine delle possibilità, ma è difficile dire se si tratti di un’eventualità probabile oppure no. I motivi per essere ottimisti non mancano, ma ce ne sono anche per non esserlo affatto.

Un primo motivo di preoccupazione viene direttamente dal Regno Unito, ossia dal paese europeo in cui la campagna vaccinale è più avanti. Lì è da un po’ di settimane che l’epidemia ha smesso di regredire, e anzi alcuni indicatori sono in aumento. I decessi hanno cessato di diminuire, il quoziente di positività (nuovi infetti su test effettuati) è in aumento, e alcune stime di Rt sono prossime a 1.5, un livello quanto mai pericoloso. E’ possibile che la ragione stia nei comportamenti della popolazione, che ha abbandonato troppo presto le cautele, ma è più verosimile che la causa sia la diffusione massiccia (più del 70%) della variante indiana, ancora più contagiosa della variante inglese, che a sua volta era più contagiosa delle varianti precedenti.

E in Italia?

In Italia tutto sembra andare per il meglio: meno morti, meno nuovi casi, meno ricoverati, quoziente di positività in discesa, Rt ampiamente sotto 1. Però ci sono anche alcune ombre.  Il numero dei casi, ad esempio, sta scendendo anche perché si fanno sempre meno tamponi (presumibilmente in quanto ogni Regione compete con le altre per entrare in zona gialla o in zona bianca). Ma il dato più inquietante è la dinamica dei morti: sono scesi in modo regolare e molto pronunciato per 8 settimane, ma nell’ultima settimana hanno bruscamente smesso di diminuire. Può essere una fluttuazione statistica, ma non è detto. Non si deve scordare, infatti, che sulla mortalità al momento agiscono due potentissimi fattori di contenimento: l’aumento del numero di persone vaccinate, l’aumento del tempo trascorso all’aperto. Se, nonostante questi due fattori, il numero di decessi non cala, vuol dire che ci sono importanti controtendenze che elidono i benefici delle vaccinazioni e della bella stagione.

La variante indiana, anche qui da noi?

Direi proprio di no, visto che le stime più recenti la dànno sotto il 3% (contro il 70% del Regno Unito). Molto più plausibile, e confermato dai dati di mobilità di Google, è che lo stallo dei decessi, tuttora compresi fra 50 e 100 persone al giorno, sia dovuto a un genarle abbassamento della guardia da parte della popolazione, rassicurata dal miglioramento degli indici e dal buon andamento della campagna di vaccinazione.

Dobbiamo preoccuparci?

Pe ora non troppo, secondo me. Ma per questo autunno sì. Perché il vero pericolo non è che l’epidemia esploda nell’estate, ma che riprenda vigore non appena il clima sarà di nuovo favorevole al virus. Nulla esclude che il cocktail “autunno + nuove varianti” torni a metterci a dura prova. In quel caso sarà decisivo essere pronti su tutti i fronti che abbiamo lasciato sguarniti fin qui: sequenziamento, tamponi molecolari, cure domestiche, rafforzamento dei trasporti, messa in sicurezza delle scuole.

Ma lo siamo? Stiamo facendo tutto ciò che occorre per evitare di essere presi di nuovo alla sprovvista?

Direi proprio di no. E la cosa più sorprendente è che le forze politiche che, quando  erano all’opposizione, non perdevano occasione per ricordare al governo Conte i suoi ritardi e le sue inadempienze, ora restino sostanzialmente silenti, come se la mera presenza di Draghi bastasse a garantirci una ripresa autunnale sicura, al riparo dai rischi di una risorgenza dell’epidemia.

Pubblicato su Il Messaggero del 12 giugno 2021




Lega e Forza Italia, la fusione fredda

Non appassiona per niente il balletto che, da qualche giorno, Forza Italia e Lega stanno inscenando intorno all’ipotesi di fondersi o federarsi. Ed è giusto così: tutto, infatti, si sta svolgendo senza alcun coinvolgimento di militanti ed elettori, senza alcun vero confronto di idee e programmi, senza alcun dibattito sul futuro dell’Italia e sulle cose da fare.

Che il gioco in atto appassioni solo i parlamentari e le nomenklature di partito non significa, però, che l’esito di tali manovre non abbia ripercussioni anche su di noi.  Quel che accadrà in queste settimane, infatti, cambierà l’offerta politica e, per questa via, potrà produrre conseguenze per tutti.

Vediamo, dunque, di che cosa stiamo parlando. A dar credito alle dichiarazioni ufficiali, la proposta di federare Lega e Forza Italia sarebbe venuta da Salvini, e Berlusconi la starebbe valutando.

Ma è un racconto fuorviante: la realtà è che l’idea di conferire Forza Italia alla Lega risale a due anni fa, e si deve a Berlusconi stesso, che ebbe ad avanzarla in una riunione dei parlamentari azzurri a Palazzo Grazioli. Era il 12 giugno del 2019, Forza Italia veniva da un risultato deludente alle Europee (8.8%), i sondaggi la davano al 6%, e Berlusconi dichiarava: “Forza Italia è destinata a stare con la Lega o attraverso un’alleanza o con una fusione (…). Con Salvini sono in costante contatto. Mi è sembrato interessato a ragionare sull’ipotesi di una federazione di centrodestra”.

Le cronache dell’epoca (2 anni fa esatti) raccontano che, in quella occasione, Berlusconi aveva addirittura calcolato i seggi uninominali conquistabili, e commissionato ben tre sondaggi per la scelta del nome: Centrodestra unito in caso di partito unico, Centrodestra italiano in caso di federazione. Alla fine quest’ultimo nome gli era parso il più promettente, perché i sondaggi gli attribuivano la capacità di aumentare del 25% i voti.

E’ anche il caso di ricordare che, nei due mesi successivi, avvengono alcuni cambiamenti decisivi dentro e intorno a Forza Italia. Il 19 giugno Giovanni Toti e Mara Carfagna vengono nominati coordinatori di Forza Italia, con il compito di riorganizzare il partito e modificarne lo statuto, anche in vista di un congresso da tenersi a settembre.

Non essendo addentro alle faccende di Forza Italia, non ho idea delle ragioni per le quali questa operazione, nel giro di poco più di un mese, ebbe ad incepparsi. Sta di fatto che, già ai primi di agosto del 2019, il piano salta e Giovanni Toti avvia la costruzione di Cambiamo!, piccola formazione politica cui nel tempo aderiranno diversi big di Forza Italia (fra gli altri Paolo Romani e Gaetano Quagliariello), fino alla recentissima confluenza di varie sigle e persone in Coraggio Italia, il partito fondato dal sindaco di Venezia Luigi Brugnaro.

In breve: il progetto di fusione con la Lega è farina del sacco di Berlusconi, risale a ben due anni fa, ed ha già provocato la formazione di un’area di resistenza alla fusione stessa, area attualmente capeggiata da Toti e Brugnaro.

Ma veniamo al punto. Perché si torna a parlare di fusione?

Difficile rispondere con sicurezza. Per quanto riguarda Berlusconi, la mia sensazione è che, più che la (ingenua?) speranza di essere candidato alla presidenza della Repubblica, conti l’esigenza di sistemare le cose della sua vita, in un tempo in cui la salute è malferma e il futuro è incerto. Forse non è un caso che la prima idea di consegnare Forza Italia alla Lega maturi, un paio di anni fa, in un periodo in cui Berlusconi prepara o conclude altre liquidazioni, come la cessione del Milan ai cinesi, o di Panorama a “La Verità”, o la chiusura della sede romana del Giornale. Insomma: mi pare comprensibile che, non avendo trovato un leader in grado di succedergli, Berlusconi trovi più onorevole mettere il suo suggello a un marchio nuovo di zecca che assistere mestamente al tramonto del suo giocattolo.

Per quanto riguarda Salvini, ci sono almeno tre ragioni, due buone e una meno, per guardare con interesse alla annessione con Forza Italia. La prima è che “a caval donato non si guarda in bocca”, posto che Berlusconi non pare richiedere contropartite significative. La seconda è che la ibridazione con Forza Italia non può che rafforzare  la credibilità della Lega in Europa. La terza è che, agli occhi di Salvini, una eventuale fusione con Forza Italia potrebbe allontanare lo spettro del sorpasso da parte di Fratelli d’Italia, con conseguente passaggio della leadership del Centrodestra da lui stesso a Giorgia Meloni.

Ma è un calcolo ben fondato?

Io ne dubito. Trent’ anni di analisi dei flussi elettorali permettono, infatti, di azzardare due previsioni piuttosto solide: primo, la somma dei voti dei due partiti diminuirà; secondo, i voti perduti resteranno nel centro-destra (secondo la dottrina della “fedeltà leggera”, copyright Paolo Natale).

Dunque la domanda è: dove andranno i voti perduti?

Fondamentalmente verso due destinazioni. La prima è la galassia di centro, dove sarà interessante capire chi sarà più lesto ad acciuffarli (potrebbe essere Coraggio Italia, ma anche Azione di Carlo Calenda, se si posizionerà sufficientemente lontano dal Pd). La seconda destinazione, ahimè per Salvini, è proprio Fratelli d’Italia, che già ha il vento in poppa, e potrebbe trarre ulteriore slancio dall’arrivo di quanti non gradiranno la fusione fredda fra Lega e Forza Italia.

Insomma, se lo scopo è impedire a Giorgia Meloni di assumere la guida del centro-destra, la fusione non sembra l’arma più appropriata. Quanto allo scopo stesso, lo si può ritenere più o meno condivisibile, ma è difficile non vedere che, stante la popolarità della Meloni (di gran lunga superiore a quella di Salvini e Berlusconi), “fermare Giorgia” renderà meno e non più agevole la vittoria del centro-destra alle prossime elezioni.

Pubblicato su Il Messaggero del 7 giugno 2021




Antidoti contro il Covid: sole o vaccini?

Nei frequenti talk show televisivi in cui si dibatte di covid non ho sentito nessuno argomentare sul raffronto tra i dati pandemici di questo ultimo scorcio di primavera e quelli del corrispondente periodo dello scorso anno. Provo a farlo io perché le evidenze numeriche si prestano a considerazioni che mi paiono veramente interessanti.

Ho preso in esame i dati a mio giudizio più significativi perché più facili da rilevare in modo oggettivo: due consistenze (numero dei ricoveri ordinari e numero delle persone in terapia intensiva) ed un flusso (numero dei morti giornalieri in media mobile a 7 giorni). Il dato dei positivi, infatti, non mi sembra significativo nel raffronto tra 2020 e 2021 perché è molto dipendente dal numero e dalla tipologia dei tamponi effettuati, variati entrambi enormemente tra 2020 e 2021. A tali rilevazioni ne ho aggiunta una, il rapporto tra morti giornalieri e ricoverati in terapia intensiva, che, seppur poco ortodossa (rapporto tra un flusso e una consistenza) si presta a una considerazione interessante sull’effetto dei vaccini.

Dal sito del Sole 24ore ho ricavato i dati riepilogati nella seguente tabella:

Come si può vedere, i ricoveri ordinari sono rimasti sostanzialmente inalterati, i morti hanno avuto un incremento significativo ma non eccezionale, mentre gli altri due indicatori – terapie intensive e rapporto tra morti e terapie intensive – hanno avuto variazioni straordinarie: il primo è più che raddoppiato, mentre il secondo si è sostanzialmente dimezzato.

Parto da quest’ultimo dato, il rapporto tra morti giornalieri e ricoverati in terapia intensiva, perché ho osservato che esso è rimasto sostanzialmente stabile, attorno al 20%, per tutto il 2020 e fino all’inizio della campagna vaccinale (gennaio 2021), per poi ridursi progressivamente fino quasi a dimezzarsi; l’effetto dei vaccini mi pare indiscutibile: le persone più anziane, in genere le prime ad essere vaccinate, hanno avuto modo di evitare di finire in terapia intensiva e la probabilità di uscirne vivi è per loro molto minore rispetto a quella dei pazienti più giovani. E allora come spiegare l’aumento che c’è stato nel numero delle terapie intensive rispetto a quello dei ricoveri ordinari? Non sono un virologo, ma mi sembra difficile escludere che la variante inglese, a quanto leggo riscontrata ora in circa il 90% dei contagiati, sia responsabile non solo di una maggiore diffusione del contagio, ma anche della maggiore gravità delle infezioni, maggiore gravità che non si è tradotta in un pari incremento della mortalità – incremento che comunque si è verificato – solo perché le persone più giovani sono, come detto, meno soggette a soccombere.

Lascio per ultimo la considerazione forse più preoccupante: i vaccini sono veramente i principali responsabili del miglioramento del quadro epidemiologico? Ho il timore che la risposta sia negativa. Come spiegare, infatti, che, nonostante l’assenza dei vaccini nel maggio dello scorso anno, la situazione migliorò addirittura più velocemente? D’accordo, l’anno scorso siamo usciti da un lock down molto più ferreo di quello attuale e le varianti più pericolose ancora non si erano manifestate, ma è altrettanto vero che i presidi di sicurezza, quali le mascherine, erano pressoché assenti, come pure mancava l’esperienza che nel frattempo è maturata nella cura dei pazienti.

Premesso che la vita all’aria aperta e i raggi ultravioletti, particolarmente nocivi per i virus, si devono al soleggiamento e che questo raggiunge il suo massimo nei tre mesi circa a cavallo del solstizio d’estate, esso ci abbia aiutato oggi non meno dell’anno scorso nell’attenuare progressivamente la pandemia. L’anno scorso fu proprio a partire da Ferragosto, quando il soleggiamento inizia a ridursi sempre più velocemente, che la pandemia riprese vigore e, anche quest’anno, dovremo essere molto, ma molto cauti e confidare, allora sì, nei vaccini, a cominciare dai richiami per i più anziani.




Le differenze fra culture esistono e la nostra si è evoluta più di altre

Il caso di Saman Abbas ha riproposto nel dibattito una questione più generale: il confronto fra civiltà. Prendo come esempio le parole di Goffredo Buccini sul Corriere della Sera del 6 giugno: “Questa storia è dunque l’occasione per….”

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