Il manicheismo è la peggiore eredità del fascismo

L’invasione dell’Ucraina voluta dal nuovo imperialismo russo con le sue distruzioni di case, di edifici civili, di monumenti, con le migliaia di vittime civili e militari, con i milioni di profughi che si riversano sulla generosa Polonia rende superflua la domanda da che parte stare. A destra e a sinistra tutti vedono in Putin il reo di crimini contro l’umanità. E tuttavia le opinioni sulle cause della guerra in corso e sul come fermarla divergono spesso radicalmente. Ed è naturale che sia così se si pensa alla  geniale riflessione di G. G. F. Hegel, il più grande filosofo dell’800:” il tragico della storia non è la lotta del giusto contro l’ingiusto, ma quella del giusto contro il giusto”. E’ giusto fornire armi all’Ucraina, si chiedono gli uni, per protrarre una guerra che seminerà altri morti e altre devastazioni? Si può chiedere al Davide ucraino di deporre la fionda e diventare schiavo del Golia russo, ribattono gli altri? Uno stato sovrano non ha il diritto di associarsi, per la sua difesa, con chi gli pare? Sì, ma ci sono considerazioni geopolitiche di cui si dovrebbe tener conto: gli Stati Uniti tollererebbero, forse, un Canada legato alla Cina di Xi? Andando ancora più a monte, alcuni ritengono che la ‘ragion di Stato’—la sicurezza dei confini—sia un retaggio dell’Ottocento e che le democrazie non abbiano nulla da temere le une dalle altre, mentre altri pensano che, ai di là delle forme di governo, essere accerchiati da stati potenzialmente ostili è qualcosa  da evitare.””Meglio rossi che morti” dicono gli uni”. “Non si può   perdere la dignità per salvare la vita’replicano gli altri. “Quot  capita tot sententiae”, dicevano gli antichi. Ebbene è proprio per questo  che anche  gli antiputinaini più convinti (come me) avvertono un fastidio sempre più profondo per le aggressioni verbali piovute su quanti—Donatella Di Cesare, Franco Cardini, Luciano Canfora, Piero Sansonetti etc.—vorrebbero porre fine all”’inutile strage” sia pure con compromessi e lacerazioni dolorose (come quelli, ad es. ,che costarono l’Alsazia-Lorena alla Francia sconfitta da Bismarck). Ci sono giornalisti, come Claudio Cerasa, che senza un nemico ideologico temono di perdere l’identità. E’ questa, in fondo, la peggiore eredità del fascismo.




L’etica e le due sinistre

Uno dei fenomeni più interessanti che negli ultimi decenni mi è capitato di studiare è la nascita, nella sinistra italiana, del “complesso dei migliori”, ossia dell’attitudine a pensare sé stessa come la rappresentante della parte migliore del Paese. La data di nascita è abbastanza precisa: 1993-1994, sdoganamento del “fascista” Fini da parte di Berlusconi, vittoria del Cavaliere alle elezioni politiche, nascita della seconda Repubblica. Da allora l’autopercezione della sinistra come eticamente superiore alla destra non è mai venuta meno, ed anzi è dilagata, in Italia e non solo (Hillary Clinton contro Trump). A soffiare sul fuoco dell’autostima dei progressisti hanno contribuito non poco lo stile sgangherato e spesso volgare di Salvini, l’antieuropeismo di parte della destra, nonché, al di fuori dell’Italia, l’emergere di leader politici conservatori non proprio rassicuranti: Orbán, Trump, Marine Le Pen.

Ebbene, la guerra in Ucraina sta, secondo me, sgretolando le basi del complesso dei migliori. La credenza che la sinistra riformista, erede del Partito comunista, rappresenti il Bene, e la destra, berlusconiana o sovranista che sia, rappresenti il Male, sopravvive ancora, ma il problema è che non è più difendibile, nemmeno agli occhi dell’opinione pubblica progressista.

Per capire perché dobbiamo partire da una domanda: perché il Pd di Letta è diventato il partito più atlantista e militarista, pronto non solo a mandare armi all’Ucraina ma a partecipare al riarmo dell’Europa?

La risposta è semplice: se in gioco vi sono la libertà e la democrazia, può il partito che si sente custode del Bene non essere alla testa della difesa delle due supreme conquiste dell’Occidente?

Ovviamente la tentazione è forte, e il Pd è caduto in tentazione. L’ha fatto. Si è messo alla testa del partito del Bene contro il Male assoluto russo. Ci sono due piccoli guai, però, che minano alla radice il progetto della sinistra riformista.

Il primo guaio è lei, Giorgia Meloni. La posizione di Fratelli d’Italia, di appoggio alle scelte del Governo in nome dell’interesse nazionale, complica dannatamente le cose: d’ora in poi sarà più difficile accusare la destra di sovranismo, preso atto che il sovranismo di Fratelli d’Italia può plausibilmente essere letto in chiave patriottica, ma soprattutto sarà impossibile rivendicare il monopolio del Bene. Se libertà e democrazia sono il Bene, e se il sostegno all’Ucraina è la cartina di tornasole del proprio impegno, il Pd dovrà prendere atto, d’ora in poi, di essere in buona compagnia. E magari rassegnarsi a registrare che la scelta patriottica di stare risolutamente a fianco dell’Ucraina non è prerogativa di uno schieramento politico ma, semmai, è ciò che accomuna i due maggiori partiti italiani.

C’è un secondo guaio, però, forse ancora più grande, per la retorica della sinistra che si sente eticamente superiore. Ed è che, ahimè, il Bene ha molte facce. Specialmente in una guerra come quella che stiamo attraversando, il Bene si presenta anche nelle vesti multiformi del pacifismo: dal risoluto e sconcertante invito ad arrendersi rivolto da Piero Sansonetti alla resistenza ucraina, alla “vergogna” del Papa per i propositi di riarmo dell’Occidente, fino alle mille varianti dell’etica del dialogo, del negoziato e della prudenza. Eh già, perché accanto ai grandi valori universali dell’uguaglianza, della libertà e della democrazia, con grande lungimiranza Norberto Bobbio poneva anche il valore della pace, a dispetto di un’epoca che la dava per scontata (un po’ come i giovani danno per scontata la salute).

Ed ecco il problema: fiutando odore di identità (un bene di cui il partito di Grillo ha disperatamente bisogno), il leader dei Cinque Stelle Giuseppe Conte si è avventato, con un video scomposto che ricordava l’ultima infelice esternazione di Beppe Grillo, contro l’impegno dell’Italia ad aumentare il budget per la difesa. Enrico Letta ha reagito minimizzando, e assicurando che anche in questo caso – come in passato – si sarebbe trovata una quadra.

Ma riarmo e pacifismo non sono voci del bilancio pubblico, su cui si può agevolmente trovare un punto di equilibrio, presentandolo agli elettori come ragionevole compromesso. La scelta di sostenere militarmente la resistenza ucraina in nome di valori come libertà, democrazia, autodeterminazione dei popoli, è incompatibile con la scelta di non farlo per favorire il dialogo e la pace. Ragionevoli o irragionevoli che siano, prudenti o imprudenti che appaiano, agli occhi degli elettori queste due posizioni sono non solo incompatibili, ma anche entrambe eticamente fondate. Il militante di sinistra può ancora sentirsi dalla parte del Bene, ma oggi si trova a dover scegliere tra due posizioni ciascuna delle quali si presenta con una postura etica.

Di qui una conseguenza per la sinistra riformista, di cui il Pd è la maggiore espressione: d’ora in poi gli sarà impossibile rivendicare una superiorità etica rispetto ai propri avversari. Non solo perché i valori che il Pd proclama di difendere sono condivisi da una parte della destra, finora trattata con sufficienza, quando non con disprezzo. Ma perché la mossa di Conte crea le basi per la nascita di due sinistre, fieramente avvinghiate ai rispettivi valori, come tali non negoziabili. Che cosa sia il Bene in politica non lo sappiamo, e non lo sapremo mai, ma almeno abbiamo la certezza che – d’ora in poi – sarà difficile per chiunque proclamarsene il rappresentante esclusivo.




Ucraina, libere idee in libero dibattito

Su quale sia, di fronte all’invasione dell’Ucraina, la linea di condotta più adeguata, non ho convinzioni forti. E questo non solo perché sono del tutto incompetente in materia di geopolitica, ma perché constato che fra i competenti le opinioni divergono radicalmente. E le divergenze non riguardano solo la scelta dei mezzi, ma anche quella dei fini: fermare Putin o punire Putin? trovare un compromesso o umiliare l’avversario? minimizzare il numero di morti di oggi o quello di domani?

C’è chi ritiene che limitarsi agli aiuti umanitari sia la condotta più saggia, anche questo dovesse comportare la resa dell’Ucraina. C’è chi ritiene che solo continuando ad armare la resistenza ucraina sarà possibile fermare Putin. C’è chi ritiene che istituire una no fly zone sull’Ucraina ci porterebbe dritti alla terza guerra mondiale (se non all’apocalisse nucleare), e c’è chi ritiene – tutto al contrario – che ancora più imprudente sarebbe non istituirla: la rinuncia Nato alla no fly zone sarebbe un segnale di debolezza, che potrebbe convincere Putin che noi occidentali non oseremo mai entrare in guerra con lui, anche dovesse invadere un altro paese europeo.

Quello su cui ho invece un’opinione è il destino delle nostre menti in tempo di guerra. Quel che mi colpisce, come studioso di scienze sociali, è il clima di illibertà che governa i nostri scambi di idee. Un clima in cui nessuno si sente completamente libero di dire come vede le cose, perché sa che, qualsiasi cosa dica, sarà aggredito da chi vede le cose in modo opposto, o anche semplicemente diverso.

L’indizio più rivelatore di questo clima è la “premessite”: prima di dire qualcosa di sostanziale, si passa un tempo notevole a fare premesse autodifensive per tutelarsi dal rischio di essere crocefissi per quel che si sta per dire. Mi impressiona molto ascoltare in tv autorevoli giornalisti e studiosi avvilupparsi in lunghissime serie di auto-certificazioni di anti-putinismo per sentirsi in diritto di dire quel che pensano, ad esempio che li ha colpiti l’ammissione di Biden di aver passato l’ultimo anno a rifornire l’Ucraina di armamenti.

E’ un meccanismo che avevamo già sperimentato nella pandemia, quando – se si aveva da dire qualcosa di non perfettamente ortodosso sui vaccini – si esordiva dicendosi plurivaccinati, sottoposti alla terza dose, equipaggiati con green pass, eccetera.

Si potrebbe pensare che è normale che tutto ciò accada quando è in gioco una questione importante, e inoltre sussiste un’ortodossia, ossia un pensiero prevalente e ritenuto più giusto.

In realtà non è così. O meglio non è solo così. Il meccanismo che non ci lascia discutere liberamente, senza accusarci reciprocamente di stare dalla parte sbagliata, è più universale e profondo. Fu scoperto e studiato nei primi anni ’50 dallo psicologo sociale americano Leon Festinger, viene chiamato “riduzione della dissonanza cognitiva”, e costituisce probabilmente la più importante scoperta delle scienze sociali del Novecento. Quel che Festinger scoperse è che non solo la mente umana non sopporta i conflitti interni, ma il suo bisogno di coerenza interna è così forte da generare meccanismi di correzione radicali, come l’autoinganno, l’adozione di credenze irrazionali, l’incapacità di prendere atto dei dati di realtà, anche di fronte a clamorose smentite delle proprie convinzioni.

La mente umana, si potrebbe dire riprendendo una lucida considerazione di Walter Siti, funziona in modo opposto a come funziona la grande letteratura. La nostra mente ha bisogno di coerenza, la grande letteratura si nutre delle contraddizioni, dei drammi e delle ambiguità della vita reale. Soprattutto, la nostra mente è incapace di passare da un piano all’altro del discorso senza esigere che fra i vari piani vi sia coerenza. Se l’empatia ti porta da una parte, non ce la fai ad accettare che qualche notizia, o ragionamento, o fatto storico ti possa portare dall’altra. E se il ragionamento ti porta dalla parte opposta, la tua empatia ne risente, o gli altri ti percepiscono come privo di empatia.

Vale oggi per la guerra in Ucraina, ma valeva anche ieri per le “guerre umanitarie”, o per quelle contro il terrorismo. Noi, per come funziona la nostra mente, non siamo capaci di sopportare quel che invece nutre la grande letteratura, ossia l’imperfezione del bene e la complessità del male. Abbiamo bisogno di pensare che il mondo delle vittime sia senza ombre, e quello dei carnefici sia del tutto privo di umanità. Ogni spiegazione del male ci appare un’offesa al bene, e il bisogno di sentirci dalla parte del bene ci impedisce di vedere i nostri limiti.

E’ un vero peccato, anche se – dopo Festinger – sappiamo che è connaturato al modo di funzionare del nostro cervello.  E’ un peccato perché, se può essere vero, come scrisse Primo Levi, che “comprendere è quasi giustificare”, è altrettanto vero che spiegare il male (che è cosa ben diversa dal comprenderlo) è essenziale per evitare il suo ripetersi, ed è ancora più essenziale adesso, quando una maggiore lucidità potrebbe guidarci a prendere le decisioni giuste.

La pietà e la solidarietà per le vittime non dovrebbero mai essere scalfite dalla ricostruzione dei torti e delle ragioni delle parti in gioco, che – nella storia – sono sempre entità collettive, ovvero partiti, nazioni, imperi, potenze che agiscono sopra le teste della gente comune.

 




La ventilazione meccanica controllata (Vmc) funziona

Conferenza stampa 22 marzo 2022

 

La ventilazione meccanica controllata (Vmc) funziona

  1. La ricerca

La Regione Marche ha finanziato, nel marzo 2021, un bando per l’acquisto e l’installazione degli impianti di Ventilazione Meccanica Controllata (VMC) nelle aule scolastiche. L’intervento era finalizzato a garantire le lezioni in presenza, in quanto le evidenze scientifiche disponibili indicavano nella Ventilazione Meccanica Controllata (VMC) un efficace strumento per contrastare la diffusione di Sars-CoV-2, riducendo la permanenza degli elementi inquinanti nell’aria. Le domande risultavano essere complessivamente n.187, per un totale 3.027 aule distribuite in 323 scuole marchigiane, per un importo finanziato di 9 milioni di euro. Le prime scuole beneficiarie del finanziamento, nel periodo estivo predisponevano gli impianti di ventilazione meccanica, al fine di iniziare l’anno scolastico con la strumentazione attiva e correttamente funzionante. Su queste basi nel 2021/2022 con la collaborazione della fondazione Hume, si è sviluppato uno studio che permetteva la comparazione tra due insiemi di osservazioni:

  • Nel primo insieme: le classi con l’istallazione della Ventilazione Meccanica Controllata VMC (più di 300, il 3% sul totale delle classi)
  • Nel secondo insieme: le classi senza la ventilazione meccanica.

Questa comparazione era strutturata analizzando i dati dell’incidenza (i nuovi casi positivi) da Sars-CoV-2 nei due insiemi oggetto di osservazione, classi con VMC vs classi senza ventilazione. Questo studio è stato strutturato attraverso il coinvolgimento di tutti gli ordini di scuola, dalla scuola dell’infanzia alla scuola secondaria superiore.

Su questa premessa la Fondazione Hume ha chiesto alla Regione Marche di poter analizzare i dati raccolti, in modo da stimare l’efficacia della VMC nel contrastare la trasmissione dell’infezione.

A questo scopo sono stati costruiti un certo numero di modelli matematico-statistici, atti a valutare l’impatto della VMC sul rischio di trasmissione, al netto di altri effetti quali l’ordine della scuola e il numero di alunni per classe.

 

  1. Metodi

Per stimare l’efficacia della Vmc sono stati usati 2 indicatori di trasmissione, basati sul conteggio dei cluster di casi (2 o più casi entro la medesima classe). L’impatto della Vmc è stato valutato sia in modo grezzo, ovvero confrontando i valori dei due indicatori su fasce di classi omogenee quanto al numero di ricambi-ora, sia con tecniche di regressione, tenendo sotto controllo il numero di alunni per classe e il tipo di scuola.

Fra le molte stime di efficacia della Vmc ottenute, di norma sono state selezionate le più prudenti.

  

  1. Risultato principale

Il rischio di trasmissione si può stimare calcolando, per ogni classe, il rapporto fra numero di casi attribuibile ad infezioni avvenute entro la classe e il numero di esposti, ossia di alunni per classe.

Ponendo a 100 il valore dell’indicatore per le classi prive di VMC si può determinare il rischio relativo di infezione per le aule dotate di VMC. Tale rapporto è pari al 37.2%, il che vuol dire che la presenza della VMC in classe abbatte il rischio di trasmissione di un fattore vicino a 3 (indicatore medio).

La portata massima degli apparecchi installati varia notevolmente da scuola a scuola, in un range che va da 100 a 1000 metri cubi-ora. Se distinguiamo le classi in base alla portata degli apparecchi installati, scopriamo che il rischio relativo può scendere intorno a un valore compreso fra 5 e 6 se la portata supera i 750 metri-cubi ora, il che equivale – approssimativamente – a 5 ricambi-ora.

Si può riassumere tutto questo calcolando come cresce il fattore di abbattimento del rischio man mano che sale la qualità della VMC, misurata dal numero di ricambi-ora.

Come indicato nella tabella 1.2 l’indicatore di trasmissione varia in base alla presenza di scuole con VMC/senza VMC o con una differente portata di metri cubi/ora della VMC. Si osserva una variazione dell’efficacia da: 40% correlata ad un ricambio/ora di 0,67-3,33, ad un 66,8% di efficacia correlata a 3,33 – 4,67 ricambio/ora a 82,5% di efficacia con 4,67-6,66 ricambio/ora.

Si vede bene che la VMC, specie se adeguatamente dimensionata (6 o più ricambi-ora), ha una capacità di abbattere il rischio di infezione da Sars-CoV-2 di oltre l’80%. Utilizzandola nelle scuole, si potrebbe passare da un tasso di Incidenza di 250 su 100.000 (soglia di rischio individuata dal Ministero) a un tasso di 50 su 100.000 con l’abbattimento di massimo di efficacia.

Sorprendentemente, il fattore di abbattimento del rischio (compreso fra 5 e 6), desunto da questa ricerca sul campo, corrisponde perfettamente a quello ricavabile dagli studi degli ingegneri ed esperti di qualità dell’aria, basati su esperimenti controllati (vedi

Mikszewski, A., Stabile, L., Buonanno, G., Morawska, L., Increased close proximity airborne transmission of the SARS-CoV-2 Delta variant, Science of the Total Environment, 816, 2022).

 

  1. Notizie sui dati

Il data set finale è costituito da un file con 10465 record (pari al numero delle classi), ciascuno descritto da 21 variabili (più i campi identificativi della classe e della scuola).

Le variabili fondamentali che descrivono ogni classe sono le seguenti:

  • provincia
  • plesso
  • ordine della scuola
  • sezione
  • annualità
  • numero di alunni della classe
  • numero di studenti positivi in 12 periodi diversi
  • presenza/assenza della VMC
  • marca impianto VMC
  • modello impianto VMC

I 12 periodi considerati corrispondono alle settimane, salvo il periodo iniziale, che va dal 13 settembre al 10 ottobre, e il periodo finale, che va dal 7 al 31 gennaio.

Le classi considerate sono tutte quelle senza Vmc (10125), più tutte quelle dotate di Vmc fin dal 13 settembre (316 su 340): in tutto 10441 classi.

Infine, ecco alcune informazioni sintetiche sulle classi considerate.

Per questa prima fase di studio, la percentuale di classi presa in esame è pari al 3% del totale.

L’analisi completa sarà disponibile nei prossimi giorni




I concetti di danno, responsabilità e rischio: Houston, abbiamo un problema

Fino a qualche tempo fa, sui manuali di diritto privato utilizzati dagli studenti del primo anno di giurisprudenza si studiava che non ogni evento negativo che poteva capitare nella vita delle persone consisteva in un danno da considerarsi ingiusto nel senso di contrario al diritto (contra ius) ai sensi del fondamentale precetto di cui all’art. 2043 del codice civile.

C’erano – così almeno si studiava – i cd. danni leciti, ovvero le conseguenze sfavorevoli di un certo comportamento o di un evento della natura per cui l’ordinamento riteneva più opportuno non far conseguire alcun rimedio particolare: se la vista di cui godevo dalla finestra di casa mia viene pregiudicata dalla costruzione di un nuovo fabbricato nel rispetto della normativa edilizia e sulle distanze, non ho una pretesa da far valere (vorrà dire che semmai uscirò più spesso a fare una passeggiata per prendermi qualche raggio di sole).

Inoltre, sempre secondo il citato art. 2043 c.c., affinché ci sia un danno risarcibile è necessario che sia ravvisabile dolo o almeno colpa da parte di chi ha tenuto quella data condotta.

Le ipotesi di responsabilità sostanzialmente oggettiva sono infatti limitate e circoscritte nel nostro ordinamento giuridico, assolvendo fondamentalmente ad una funzione economica di ripartizione del rischio (si pensi ad esempio alle garanzie assicurative prestate rispetto a determinate attività d’impresa o, più semplicemente, in materia di circolazione stradale).

Da qualche tempo, tuttavia, il quadro appare mutato ed in continua evoluzione.

Ed infatti, da un lato si assiste alla individuazione – per via giurisprudenziale ma anche da parte del legislatore – di sempre nuove figure di danno risarcibile, anche al di là della originaria limitazione espressa dall’art. 2058 c.c. per i danni cd. non patrimoniali (si pensi, tra i tanti, al danno da cd. “vacanza rovinata”).

Dall’altro, nell’opinione comune si è fatta strada la convinzione che di qualunque evento dannoso debba essere comunque individuato un responsabile, anche quando non è ravvisabile un giudizio di riprovevolezza in termini di colpa, per effetto di presunzioni che fatalmente ne prescindono (si pensi alle fattispecie di colpa medica, che di fatto tende ad essere riconosciuta ogniqualvolta non si ottenga il risultato sperato da una terapia o da un intervento chirurgico, anche non di routine).

Ciò che pare essere diventato intollerabile è che la vita delle persone possa essere più o meno pesantemente condizionata dal caso o dalla sfortuna, nella consolatoria ma fallace pretesa che sia sempre colpa di qualcuno.

È con tutta evidenza una questione che attiene, prima che ancora che al diritto, alla weltanschauung, alla concezione che abbiamo del mondo e della vita (per citare Brodskij, “un uomo libero, quando è sconfitto, non dà la colpa a nessuno”).

In termini di civiltà giuridica, può forse essere opportuno tenere presente che attribuire responsabilità a soggetti a cui in realtà non dovrebbero essere imputate significa aggiungere ingiustizia ed arbitrio, con l’ulteriore grave conseguenza di deresponsabilizzare per il futuro i comportamenti anziché provare – nei limiti del possibile – a migliorarli.

Se dal diritto dei privati ci spostiamo alla sfera dei rapporti con l’Autorità e/o il potere pubblico, a quello che negli ordinamenti continentali è comunemente indicato come diritto amministrativo, le cose assumono contorni ancora più netti, la tendenza in atto è ancora più marcata.

Di fatto, negli ultimi decenni (quantomeno a partire dagli anni ’70) si assiste al tentativo – non so quanto consapevole – di neutralizzare il più possibile ogni sorta di rischio incombente in capo ai soggetti privati.

Si va dalla pletora di indennizzi e ristori riconosciuti (anche giustamente, per carità, in periodi di pandemia) a favore di categorie di operatori economici e/o semplici privati svantaggiati (dagli effetti dell’epidemia da coronavirus ma ancor prima, ad esempio, dal mancato rinnovo delle concessioni demaniali dei balneari, da fenomeni meteorologici anche se imprevisti ed imprevedibili – alluvioni, frane, ecc. -); alle richieste di pagamento del subappaltatore avanzate direttamente nei confronti dell’Amministrazione appaltante, in deroga ai generali principi in materia di libertà e responsabilità contrattuale; alla miriade di bonus e superbonus fiscali degli ultimi tempi.

Si tratta di situazioni anche eterogenee tra loro per cui tuttavia si registra un’invincibile pressione a che lo Stato e/o la politica se ne faccia carico.

Malauguratamente, è un punto di vista che, da una parte, fatalmente tende a porre a carico della collettività e della fiscalità generale situazioni personali, da un punto di vista economico (ma, come dovrebbe essere noto, nessun pasto è gratis); e che dall’altro porta via via a comprimere e a far scemare il concetto stesso di responsabilità individuale.

Ma dove, se possibile, il corto circuito di cui si è detto diventa ancora più evidente, è l’ambito della responsabilità penale, soprattutto quello dei reati contro la P.A. o dove sono comunque coinvolti amministratori pubblici o pubblici funzionari.

Non c’è fenomeno naturale, alluvione, frana, od anche semplice smottamento, in cui non sia ravvisabile – in aggiunta a quella patrimoniale dell’Ente pubblico (che, beninteso, potrà anche avere delle effettive responsabilità rispetto ad eventuali negligenze ed incurie) – una penale e personale responsabilità, potremmo dire di posizione, del Sindaco o del dirigente a capo del settore (che rispondono anche se il bambino a scuola lascia il dito schiacciato nella porta d’ingresso; o, in materia ambientale, se il registro di carico della discarica comunale presenta delle mere irregolarità formali; ecc.).

Non ci deve poi stupire troppo se capita “di notare una leggera flessione del senso sociale” (Max Gazzè) o, più prosaicamente, la qualità della nostra classe politica è crollata verticalmente, essendo disponibile a ricoprire determinati incarichi pubblici solo chi non è particolarmente qualificato professionalmente o tiene effettivamente comportamenti delinquenziali.