ChatGPT – L’impostore autorevole

Quando si parla di ChatGPT – il programma che fornisce risposte istantanee su quasi tutto lo scibile umano – di solito scatta lo schema: molto comodo e interessante, ma non infallibile. Come dire: quasi sempre ChatGPT fornisce una risposta corretta, ma alle volte può incorrere in infortuni più o meno clamorosi. Quindi state attenti, controllate anche altre fonti, eccetera.

Questa visione delle capacità e dei limiti di ChatGPt è ancora quella dominante in Italia, e in parte anche all’estero. Ma è profondamente errata. Del tutto errata, direi. Perché presuppone che Chat (d’ora in poi userò l’abbreviazione) sia programmato per soddisfare un utente che cerca la verità, solo la verità, e non desidera ricevere informazioni false.

Questa, alla luce del funzionamento effettivo di Chat, è una credenza decisamente ingenua. Come ha notato qualche mese fa Tim Harford sul Financial Times, Chat non è programmato per generare affermazioni vere, ma per fornire risposte verosimili, ossia risposte che possano essere credute vere, anche a costo di inventarle di sana pianta. In questo senso, nota Tim Harford, Chat è la perfetta realizzazione di un concetto messo a punto dal filosofo statunitense Harry Frankfurt in un celebre saggio-pamphlet degli anni ’80, significativamente intitolato Bullshit (letteralmente: stronzate): quello della proliferazione incontrollata di affermazioni campate per aria ma verosimili, ovvero plausibili.

Ecco, in passato eravamo soli a raccontare, millantare, inventare storie, per gli scopi più diversi: far impressione su una ragazza, essere ammirati dai nostri amici, mostrare competenza davanti ai colleghi, in generale intrattenere gli astanti. Ora non più, ora interagiamo con un software che si comporta con noi come noi ci comportavamo con i nostri interlocutori. Lo scopo di Chat non è dirci la verità, ma farci credere di conoscerla. Impressionarci con la sua competenza. Catturare la nostra fiducia e la nostra attenzione, come peraltro si intuisce dallo stile estremamente accattivante, amichevole, personalizzato, gentile, per non dire seduttivo, con cui interagisce con noi.

Mi rendo conto che le mie sono affermazioni molto forti, e poco condivise (almeno in Italia). Ma ho le prove. Un mare di prove. In questo primo articolo su Chat ne fornirò un piccolo campionario, raccontando rapidamente l’esito di alcune interrogazioni.

Con alcuni amici professori universitari abbiamo provato a interrogare Chat su noi stessi e le nostre pubblicazioni. Ebbene, il risultato tipico sono notizie biografiche (data e luogo di nascita) del tutto false, e una lista di pubblicazioni (con tanto di rivista, numero di pagine, eccetera), tutte o quasi tutte inesistenti. Ma, attenzione: quando interrogo Chat su me stesso, i miei campi di interesse sono ben individuati, e i libri e gli articoli che mi vengono attribuiti potrei benissimo averli scritti io. Insomma non c’è un bit di verità nel profilo che Chat mi attribuisce, ma non c’è nulla di inverosimile.

O meglio: non c’è nulla di inverosimile nella lista delle mie pubblicazioni finché la interrogazione avviene da una postazione a Cambridge, in Inghilterra. Ma se ripeto l’interrogazione da una postazione in Italia, escono libri che non solo non ho scritto, ma non avrei mai potuto scrivere: ad esempio: Volemose bene. Chi ha detto che gli italiani sono furbi?, e Amore liquido all’italiana. Posso solo congetturare che una routine “generativa” di Chat mi abbia classificato come giornalista (anziché come sociologo e docente di Analisi dei dati) e mi abbia assegnato pubblicazioni nello stile di certo giornalismo creativo.

Più interessante il caso di mia moglie Paola Mastrocola, che di mestiere fa la scrittrice. Qui Chat sembra adottare la tecnica dei pentiti quando vogliono depistare le indagini, cioè: mescolare fatti veri con fatti inventati ma verosimili. I romanzi citati sono tre: uno vero (Non so niente di te), uno esistente ma di un’altra scrittrice italiana (Lei così amata, di Melania Mazzucco), l’altro anch’esso esistente ma della scrittrice britannica Kerry Hudson (Tutti gli uomini di mia madre).

Potrei continuare con altri esempi. Se chiedi una bibliografia su un dato argomento, può succederti di ottenere una lista con decine di saggi inesistenti, eppure indicati con precisione per rivista, data, numero di pagine. Se chiedi qual è l’articolo di economia più citato di tutti i tempi (ci ha provato l’economista David Smerdon), puoi ottenere un titolo del tutto plausibile (A Theory of Economic History), con due autori a loro volta plausibili (Douglas North e Robert Thomas), e una rivista ospite più che appropriata (Journal of Economic History), salvo scoprire che l’articolo non è mai stato scritto. Non esiste. È la risultante di una routine di Chat, che ha messo insieme elementi effettivamente esistenti per combinarli in una risposta plausibile, senza alcun riguardo alla verità della risposta stessa.

E non è tutto. Ho provato a interrogare Chat sul pensiero di alcuni autori italiani controversi, come Pasolini e don Milani. Il risultato è sconcertante. Le risposte di Chat sembrano il risultato di un processo deduttivo in due stadi: primo, si classifica l’autore dal punto di vista ideologico-culturale; secondo, gli si attribuiscono i pensieri che è ragionevole attendersi in base a come è stato classificato. Pasolini era progressista, quindi era a favore del divorzio (sappiamo invece che è vero il contrario). Don Milani era un educatore illuminato, quindi doveva amare la letteratura antica e lo sport come strumenti di crescita personale (anche qui sappiamo che non è così).

Il caso di Don Milani è particolarmente interessante, perché Chat non solo risponde in modo errato a domande specifiche sul priore di Barbiana, ma ne traccia un profilo del tutto fantasioso. Dopo avergli assegnato tutte le credenze tipiche delle pedagogie progressiste dei nostri giorni, ne segnala il libro Lettera a un professore, che conterrebbe un dialogo con lo storico Adolfo Omodeo. Rimbrottato da me, Chat mi risponde scusandosi, ammettendo che Don Milani non ha affatto scritto Lettera a un professore, ma si guarda bene dal segnalare che – invece – ha scritto Lettera a una professoressa.

Tornerò, in altri articoli, sul funzionamento di ChatGPT. Quel che vorrei sottolineare fin da ora, però, è il suo status epistemico: ChatGPT non è un algoritmo che persegue più o meno imperfettamente la verità, ma un dispositivo che – quando non conosce la verità – si comporta come un affabulatore (Treccani: Affabulatore = persona che narra in maniera affascinante e abile, o che racconta storie affascinanti ma poco fondate o totalmente infondate). In poche parole: un impostore. O meglio: un impostore autorevole, che tale resterà finché ci ostineremo a credergli.




Salario minimo legale – Le conseguenze

Sul problema di un minimo salariale decente, tutti i governi fin qui succedutisi hanno nicchiato. Ora però non sarà più possibile far finta di niente: l’Unione Europea, infatti, ha fissato al 24 novembre del 2024 la data ultima per recepire la direttiva UE sul “salario minimo adeguato”.

In Italia, l’opposizione tutta (Renzi a parte) ha trovato nella proposta di un salario minimo di 9 euro lordi un punto di convergenza, anzi la prima vera occasione di convergenza dal giorno dell’insediamento del governo di Giorgia Meloni. Qui non voglio entrare nella disputa politica, già asprissima, sulla giustezza o meno di questa misura. Piuttosto, vorrei provare a rispondere alla domanda: se dovesse passare la proposta delle opposizioni, che conseguenze osserveremmo sul mercato del lavoro?

Su questo, fortunatamente, la teoria economica ha molto da dire. Ma, prima di indicarne alcune, dobbiamo mettere a fuoco due punti.

Primo, la proposta delle opposizioni non riguarda la retribuzione oraria complessiva, che, oltre alla paga base, include tredicesima, quattordicesima, scatti di anzianità, e altre voci, ma il cosiddetto trattamento minimo tabellare, che esclude tutti gli elementi aggiuntivi della retribuzione. Questo significa che i 9 euro lordi proposti, possono diventare 11 o 12, in dipendenza delle varie situazioni. Le associazioni delle imprese artigiane, come la CGIA di Mestre, hanno già lanciato l’allarme: 9 euro lordi possono andare bene ma solo se vengono calcolati sulla retribuzione complessiva, incluse le voci aggiuntive come la tredicesima.

Il secondo punto è: quali saranno le categorie escluse dal salario minimo? Solo colf e badanti, o anche apprendisti, stagionali, voucher, collaborazioni, finte partite Iva? A seconda della platea di lavoratori coinvolti, l’aggravio di costi complessivo per i datori di lavoro (circa 6.7 miliardi secondo l’INAPP) potrebbe variare considerevolmente.

Ed ora passiamo alle conseguenze. Supponiamo che il salario minimo venga introdotto per legge, ossia che la strada non sia quella di estendere la contrattazione, ma di stabilire un obbligo giuridico. Che cosa capiterebbe dopo l’entrata in vigore della norma?

Dipende dal tipo di datore di lavoro. Nelle imprese regolari in salute e che non ricorrono al lavoro nero, avremmo un aumento dei salari per i lavoratori sottopagati, e quindi una riduzione dei profitti, talora accompagnata da una contrazione degli investimenti. Nelle imprese regolari che operano con margini ridotti, invece, a seconda della propensione al rischio dell’imprenditore, potremmo assistere alla chiusura dell’impresa, o al ricorso al lavoro nero. Nelle imprese che già attualmente operano in modo irregolare, con ampio utilizzo di lavoro nero, non succedere nulla, a meno che cambiasse completamente la politica dei controlli (attualmente quasi del tutto inesistenti). In quest’ultimo caso, avremmo due impatti di segno opposto: per le imprese più floride, l’emersione del nero, per quelle più fragili la chiusura.

In sintesi: il salario minimo legale produrrebbe sia effetti positivi, sia effetti negativi. Nessuno però ha ancora calcolato il saldo di tali effetti, ovvero se quelli positivi supererebbero quelli negativi. Una valutazione di massima suggerisce che quelli positivi potrebbero essere prevalenti nel Centro-nord, quelli negativi nel Sud, dove si concentra il grosso del lavoro irregolare e dei salari inferiori al minimo legale di 9 euro l’ora.

Si potrebbe osservare che, almeno, verrebbe raggiunto l’obiettivo più volte proclamato da Elly Schlein, ossia una drastica riduzione del fenomeno dei working poor (lavoratori poveri, che lavorano ma guadagnano troppo poco). Sfortunatamente, nemmeno questo obiettivo è realisticamente raggiungibile: le statistiche dimostrano che il grosso del fenomeno non si deve ai salari orari bassi, ma allo scarso numero di ore lavorate.

Conclusione: l’idea di un salario minimo legale merita la massima attenzione, ma è ingenuo pensare che basti a spazzare via sfruttamento, precarietà e lavoro povero.




Sinistra in tilt

Sulla gestazione per altri (o utero in affitto), appena proclamata “reato universale” da un voto della Camera dei deputati, la sinistra è andata in tilt. I suoi due leader principali, Schlein e Conte, non se la sono sentita di partecipare al voto. E i suoi intellettuali annaspano. Michele Serra, ad esempio, dichiara che con il voto della Camera “un’opinione è diventata legge”. E evoca lo “stato etico” (di gentiliana memoria), contrapponendolo allo stato liberale.

Ma è un errore logico grossolano, che farebbe inorridire i grandi maestri del pensiero liberale, a partire da Isaiah Berlin. Il fatto che un’opinione in materia etica possa diventare legge è parte integrante della logica delle società liberali, che si distinguono dai regimi proprio perché assumono che, su questioni fondamentali, possano scontrarsi concezioni, valori, visioni del mondo inconciliabili.  Fra le quali è inevitabile che la legge, attraverso il Parlamento o il voto popolare (referendum), operi una scelta.

È successo in modo esemplare ai tempi del referendum sull’aborto. In quell’epoca (anni ’70) le opinioni inconciliabili erano quelle dei cattolici, per i quali il feto è una persona, e quindi l’aborto è un omicidio, e quelle dei laici, per i quali l’aborto non è un omicidio, ma una libera scelta della donna. In quel caso, a diventare legge fu l’opinione dei laici, che con la legge 194 del 1978, riuscirono a imporre il loro punto di vista. E a nulla valse, qualche anno dopo, il tentativo del Movimento per la vita di imporre il punto di vista dei cattolici con il (fallito) referendum abrogativo.

In breve, come non vi era nulla di illiberale nella legge che rese ammissibile l’aborto, imponendo ai cattolici il punto di vista dei laici, così non vi è nulla di illiberale nelle leggi (presenti e future) che vietano la gestazione per altri, imponendo agli ultra-laici il punto di vista di quanti – non solo cattolici – considerano inaccettabile la pratica dell’utero in affitto.

Perché, dunque, tanto scalpore e tanto imbarazzo nel mondo progressista?

Credo che il motivo sia sottile, ma molto potente. La ragione per cui la gestazione per altri mette in difficoltà lo schieramento progressista è che incrina irrimediabilmente il racconto che, almeno dalla caduta di Renzi in poi, la sinistra ha scelto per dar forma alla propria immagine. Quel racconto era basato sostanzialmente su un principio: sostituire le grandi, storiche, battaglie per i diritti sociali con nuove, grandiose, battaglie per i diritti civili, pensate – e qui sta il punto cruciale – non come lotte di una parte politica contro un’altra, bensì come epiche “battaglie di civiltà”, condotte in nome di diritti universali, contro l’oscurantismo e la barbarie. Cittadinanza agli immigrati, unioni civili, diritti Lgbt, leggi contro l’omotransfobia, norme su eutanasia e fine vita, tutto ciò per cui il mondo progressista si batteva era pensato nel registro “civiltà contro barbarie”. Era una forzatura, certo, ma era retoricamente sostenibile, perché quelle battaglie erano condotte in nome di valori forti e abbastanza largamente condivisi, come l’apertura al diverso e la libertà individuale.

Ma con l’utero in affitto, come la mettiamo?

Improvvisamente, il mondo progressista ha sperimentato, come in parte era già successo con il Ddl Zan, che le sue proposte non erano inquadrabili nel racconto standard degli ultimi anni, quello di una ennesima “grande battaglia di civiltà” da condurre contro retrogradi e nemici della ragione. Era troppo evidente che, nella gestazione per altri, c’è qualcosa che non va: la mercificazione del corpo della donna, ad esempio, o la separazione del bambino dalla madre. Di qui l’imbarazzo di Schlein e Conte.

Ai quali mi permetto di dare un consiglio: anziché demonizzare la destra, riconoscete che la faccenda è complessa, e lasciate libertà di coscienza ai vostri parlamentari.




Il declino dell’Occidente. Se spariscono critica e dubbio si uccide la liberal-democrazia

Ferdinando Adornato e  Rino Fisichella hanno dialogato, in un libro pubblicato da Rubbettino (a cura di Gloria Piccioni), sul problema cruciale del nostro tempo, La libertà che cambia. Dialoghi sul destino dell’Occidente. ”Mi sono chiesto, scrive Adornato, quale sia il vero senso delle riflessioni raccolte in questo volume. Ebbene, credo si possa dire che siamo entrambi andati alla ricerca dei motivi che possano rimotivare una grande alleanza tra la fede e la ragione. Tra il pensiero cristiano”. Insomma, il vecchio progetto che ispirò la nascita del ‘Multino” prima che diventasse una delle tante riviste del pensiero unico della sinistra.

Dico subito la dimensione etico-teologica del saggio mi sembra non poco problematica. Quando leggo  certe riflessioni–”.. se la libertà non avesse relazione con la verità, come potrebbe, anche un non credente, decidere cos’è il Bene e cos’è il Male? In base a quale ordine di valori si potrebbe decidere che Hitler o Stalin sono il Male? Chi ha stabilito, infatti, che uccidere o fare del danno agli altri è peccato se non le Tavole della Legge oppure, se si preferisce, i precetti dell’ordine naturale? In base a quale altro criterio di verità un essere umano potrebbe definire la propria e l’altrui libertà?”–mi vengono in mente non solo le parole di Ponzio Pilato,”quid est veritas?’ma, altresì, il   libro di un filosofo del diritto analitico, Etica senza verità. In politica non ci sono verità ma valori in conflitto di cui dobbiamo essere realisticamente consapevoli. Per citare Joseph A. Schumpeter: “Rendersi conto della validità relativa delle proprie convinzioni, eppure difenderle senza indietreggiare, è ciò che distingue un uomo civile da un barbaro”. Parlare di una scienza del bene e del male significa, in ultima istanza, ignorare che l’essenza della democrazia sta nel registrare le cose che i cittadini, di volta in volta ,ritengono buone  o cattive.

Più convincente, invece, è la critica (sia pur non nuova) dell’individualismo dei diritti che sta inaridendo le società occidentali.” In sostanza, scrive Adornato, a partire dalla fine degli anni Sessanta, si è fatto strada un convincimento generale che ha assunto quasi le sembianze di verità di fede. E cioè l’idea che il benessere di una democrazia sia direttamente proporzionale all’estensione dei diritti individuali. Più diritti per l’individuo=più democrazia. Da allora in poi, sulla base di questa equazione, ogni provvedimento teso a far prevalere “diritti di comunità” (o soltanto norme di tutela collettiva) sui “diritti individuali” è stato letto come un “attentato alla democrazia”. Ed è logico: se la bontà del sistema viene vista unicamente nella realizzazione di un’illimitataespansione dell’individuo, qualsiasi proposta che punti a perseguire un equilibrio tra valori comunitarie diritti individuali non può che essere ritenutaantidemocratica. Lungo questa strada laicista, però,non viene colpita soltanto la morale cattolica: vienemessa fuori gioco qualsiasi nozione di etica pubblica. Escluso, ovviamente, il precetto della totale soddisfa-zione esistenziale” <L’esasperata ricerca della soddisfazione del diritto individuale—gli fa eco Fisichella—sta distruggendo il diritto sociale>.

 Sulle cause di questo oscuramento dell’intelligenza occidentale, gli autori però non vanno a fondo: non c’è traccia nel libro dell’imponente letteratura che, sulle due rive dell’Oceano, ha analizzato il nesso tra il declino della comunità politica (lo stato nazionale) e l’affermazione di quell’universalismo etico, giuridico ed economico inteso a delegittimare tutto ciò che si riferisce al ‘particolare’—dalla famiglia alla nazione. Penso ad autori come Pierre Manent, Pierre-André Taguieff, Yael Tamir, Margaret Canovan, lo stesso Yoram Hazony.

Adornato, in particolare, che pure stila una sorta di catalogo del conservatore, entra in polemica con una sinistra—ormai sparita–che al liberismo etico unirebbe stranamente uno statalismo economico, impensabile oggettivamente senza sovranismo. E’ come se  le analisi di Luca Ricolfi sulle metamorfosi della sinistra fossero cadute nel vuoto. In realtà, quella odierna è una sinistra europeista, globalista, iperatlantista (George Soros non è certo un simbolo di destra) che non dovrebbe dispiacere ad Adornato, che citando <una (per lui) felice espressione di Biagio de Giovanni> parla dell’emergere di uno <scontro tra ’potere orientale’(Russia, Cina, India, Iran) e ’potere occidentale’>che vede esploso nella guerra russo-ucraina. E’il  leit motiv di ‘Repubblica’, della ’Stampa’ etc.

 Nel suo iperatlantismo, Adornato arriva a prendersela con Papa Bergoglio che agli inizi del conflitto  sarebbe stato <troppo equidistante>.<La presunta la colpa della Nato di aver ‘abbaiato ai confini della Russia’> gli è sembrata <un’opinione geopolitica infondata>.Sennonché era pure l’opinione di George Kennan, di Harry Kissinger, di John Mearsheimer, il più grande scienziato politico statunitense dopo la morte di Samuel P. Huntington! A scanso di equivoci, ritengo anch’io che l’Europa, la Nato, il dovere di prestare aiuto a un paese aggredito come l’Ucraina rientrino nel bagaglio ideologico del democratico liberale. Credo, però, nel diritto di esaminare liberamente e criticamente le decisioni riguardanti la politica internazionale. Siamo alleati consapevoli e responsabili degli Stati Uniti o siamo gli ascari della Grande Arméeatlantica? Le colpe di Putin sono evidenti e indelebili ma come mai nel libro non c’è alcun accenno agli Accordi di Minsk, su cui aveva richiamato l’attenzione Matteo Renzi, deprecandone il mancato rispetto? <Certo, scrive Fisichella, si potrebbe discutere all’infinito se quei determinati confini siano ucraini o russi, ma nel momento in cui la comunità internazionale li riconoscesse come ucraini, quella dovrebbe essere accettata come l’identità di una nazione>. Se la comunità internazionale, quindi, decide che il Lombardo-Veneto è territorio austriaco, la guerra contro Francesco Giuseppe diventa  un attentato all’indipendenza degli stati sovrani? Forse va recuperato il senso della complessità insuperabile delle vicende umane.




Punire il “negazionismo climatico”?

Quando l’ho sentita non ci volevo credere. Pensavo fosse la solita notizia gonfiata e deformata dai media. Il solito tentativo di screditare l’avversario politico.

E invece no, quando sono andato a controllare, ho scoperto che era tutto vero. L’aveva proprio detto, il leader dei Verdi Angelo Bonelli, che intende presentare una proposta di legge per introdurre il reato di “negazionismo climatico”.

Dunque siamo a questo. Per Bonelli, la legge dovrebbe punire chi non aderisce al pensiero dominante in materia di clima. Vedremo, quando ci sarà un testo, se la pena sarà pecuniaria, detentiva, o entrambe le cose. Certo, mi farebbe una certa impressione vedere scattare le manette ai polsi del fisico dell’atmosfera Franco Prodi (fratello dell’ex presidente del Consiglio), o assistere a una discussione parlamentare sulla perseguibilità del senatore a vita Carlo Rubbia, premio Nobel per la fisica. O magari, in occasione di una incauta vacanza in Italia di Richard Lindzen (eminente fisico dell’atmosfera americano), vedere nascere una surreale diatriba sulla natura universale o meno del nuovo reato di Bonelli. Già, perché ciascuno di questi tre signori, che ho indicato solo a titolo di esempio fra decine di altri possibili, ha espresso perplessità sulla tesi che il riscaldamento globale sia dovuto soprattutto alla crescita delle emissioni di anidride carbonica (CO2).

Ma lasciamo perdere le conseguenze di una proposta di legge che non sarà mai approvata, e serve solo a incattivire il fondamentalismo green. Quel che merita attenzione non è il destino della proposta (se mai avranno il coraggio di metterla nero su bianco), ma la mentalità che la sorregge. Perché, bene o male, siamo abituati a pensare gli ambientalisti come una componente della galassia progressista. Che a sua volta ama pensare sé stessa come erede dell’illuminismo.

Peccato che l’idea di istituire il reato di “negazionismo climatico” sia quanto di più oscurantista si possa immaginare. E questo per due precise e distinte ragioni.

Primo, la proposta è illiberale, nella misura in cui calpesta il principio della libertà di opinione, un principio che – fra le opinioni tutelate – non può non includere quelle che si affrontano e si sfidano in campo scientifico.

Secondo, la proposta è profondamente antiscientifica. Bonelli forse non lo sa, ma il dubbio è uno dei cardini dell’etica della scienza. E lo è, in modo particolare, proprio sul punto cruciale della controversia climatica: la dimostrazione dell’esistenza di un nesso causale.

Perché il punto della discussione non è se oggi faccia più caldo di 50, 100, o 150 anni fa, ma se il cosiddetto riscaldamento globale possa essere attribuito prevalentemente all’azione dell’uomo. Chi ha dimestichezza con le tecniche statistiche di imputazione causale su dati osservativi (cioè nonsperimentali), e ha un minimo di conoscenza dei limiti intrinseci dei modelli di simulazione, sa perfettamente che tale attribuzione può essere effettuata solo in via congetturale, e che i margini di errore sono di entità sconosciuta.

Ma l’oscurantismo illiberale e antiscientifico non è l’unico difetto della mentalità green. C’è anche un difetto strettamente politico. Ammettiamo che abbiano ragione quanti pensano che il riscaldamento globale sia un effetto della CO2 (io stesso propendo a pensare che abbiano ragione). Resterebbe aperto quello che mi piace chiamare “il problema di Jonathan Franzen” (mirabilmente esposto nel suo libriccino E se smettessimo di fingere?): posto che le risorse che possiamo investire sull’ambiente sono limitate, è meglio convogliarle sulla rimozione delle (presunte) cause del riscaldamento globale, o concentrarle sulla prevenzione delle sue (catastrofiche) conseguenze?

Gli ambientalisti scettici, quando non sono a loro volta accecati dall’ideologia, dicono

solo questo: siamo sicuri che la nostra costosissima (e solitaria!) lotta all’anidride carbonica sia la strada più saggia per proteggerci dal riscaldamento globale?

Se poi sono pure di sinistra (quella vera), aggiungono: è proprio il caso, a forza di auto elettriche ed efficientamenti energetici delle abitazioni, di caricare sulle spalle dei ceti popolari gli enormi costi della cosiddetta transizione green? Non è che la lotta al riscaldamento globale finirà per aumentare le diseguaglianze?

È a queste domande che, per ora, gli ambientalisti ortodossi non hanno saputo rispondere.