La crisi è un missile a 3 stadi

Ha suscitato una certa attenzione, anche a livello nazionale, la marcia sì-Tav di sabato scorso a Torino, la mia città. Molti hanno visto in essa i primi sintomi di un possibile indebolimento del consenso al Governo, peraltro segnalato anche da alcuni recenti sondaggi. L’opposizione, finora inerte, comincia a nutrire qualche timida speranza di rimonta.

Dobbiamo dare credito a questi segnali?

Per certi versi sì. E’ da qualche settimana, infatti, e precisamente dal giorno della denuncia in tv, da parte di Di Maio, della “manina” che avrebbe manipolato la manovra inserendo proditoriamente un condono fiscale troppo indulgente, che Salvini e Di Maio non sembrano più quelli di prima. Non passa giorno senza un battibecco, per lo più indiretto, via internet e via social media. Reddito di cittadinanza, condono fiscale, condono edilizio, decreto sicurezza, riforma della prescrizione, grandi opere, e ora persino gli inceneritori e la gestione dei rifiuti in Campania, offrono continue occasioni di punzecchiamento reciproco. Sembra quasi che, se non vi fosse l’odiata Bruxelles contro cui dirigere quotidianamente i propri strali, a Lega e Cinque Stelle resterebbero ben pochi motivi per restare insieme (il che, detto per inciso, forse spiega le rigidità dell’esecutivo sulla manovra: lo scontro con la cattiva Europa è l’unico vero cemento ideologico dei due partiti che ci governano).

Per altri versi però no, l’idea che il governo sia alla vigilia di una crisi non mi convince, o meglio non mi convince ancora. Quel che è interessante, infatti, e meriterebbe una spiegazione, è la circostanza per cui, in questo momento, nell’opinione pubblica paiono convivere due maggioranze di segno contrario, di cui i sondaggi tracciano puntualmente il profilo.

Da una parte c’è la maggioranza (circa il 60%) costituita da quanti approvano l’azione di governo e, in caso di elezioni, voterebbero Lega o Cinque Stelle. Ma dall’altra c’è anche una seconda maggioranza, costituita da una pluralità di maggioranze concentriche: la maggioranza dei contrari al reddito di cittadinanza, la maggioranza dei favorevoli alla Tav e alle grandi opere, la maggioranza di coloro che temono (e prevedono) tasse in aumento. Per non parlare della maggioranza più importante, quella di coloro che vogliono restare nell’euro (circa il 70%).

Strano: sulle cose importanti la maggioranza degli italiani non mostra molta fiducia nelle politiche del governo, ma poi – venuti al dunque – paiono ancora intenzionati a votare Lega e Cinque Stelle. Come mai?

Io penso che le ragioni fondamentali siano due. La prima è che, per votare altro, bisognerebbe che questo “altro” battesse un colpo. Pd e Forza Italia non lo stanno facendo: vorrebbero, ma non ne sono capaci. Se nascerà un’alternativa a questo governo, è più facile cha arrivi da fuori che da dentro il sistema politico attuale.

C’è anche una seconda ragione, però, per la quale il consenso al governo tutto sommato regge, a dispetto delle varie maggioranze contrarie sulle cose che contano. La ragione è che la recessione non è ancora arrivata (verosimilmente sarà riconoscibile la primavera prossima) e la manovra è un congegno a tempo, una sorta di missile a tre stadi.

Il primo stadio è già partito, e ha colpito la ricchezza finanziaria degli italiani, che hanno subito perdite virtuali per oltre 175 miliardi dalla data del voto, e per 85 dalla data di insediamento del governo (per i dettagli vedi: www.fondazionehume.it). Queste perdite hanno colpito, per ora, quasi esclusivamente le banche e i ceti medio-alti, che detengono ricchezza finanziaria sensibile (azioni, obbligazioni, titoli di Stato, fondi comuni). Non si tratta certo di quattro gatti, ma nemmeno di una vasta maggioranza (la maggior parte delle famiglie detiene ricchezza sotto forma di immobili e depositi, due asset assai poco colpiti dall’aumento dello spread e dalla crisi della borsa). Questo primo stadio del missile, a occhio e croce, dovrebbe aver raggiunto 1 famiglia su 5.

Il secondo stadio si farà sentire più avanti, quando comincerà a mancare il credito alle imprese e alle famiglie, con conseguenti riduzioni del fatturato e della spesa, dai mutui immobiliari ai consumi. Più o meno succederà a metà 2019, intorno alle elezioni europee. Subito dopo, ovvero verso la fine dell’anno prossimo, arriverà il terzo stadio, quello delle riduzioni dell’occupazione, un esito difficilmente evitabile se lo spread resterà ai livelli attuali, e praticamente certo se lo spread dovesse salire ancora, trascinando nel baratro le banche.

Ecco perché, nonostante tutto, il governo è ancora popolare. Chi desidera vederlo vacillare, farà bene ad attendere che la manovra dispieghi i suoi effetti, e che nasca una vera opposizione. Due eventi di cui solo il secondo è auspicabile, almeno per chi non è iscritto al “partito del popcorn”, che cinicamente attende che sia il naufragio dell’Italia a trascinare con sé il timoniere.

Articolo pubblicato da Il Messaggero il 17 novembre 2018



Di quanto è diminuita la nostra ricchezza dopo il voto di marzo? Aggiornamento all’ultima settimana

NOTA DI AGGIORNAMENTO: settimana 2 – 9 novembre 2018

  1. Le perdite dell’Italia

Nella settimana che va dal 2 al 9 novembre 2018 il bilancio degli operatori finanziari italiani torna ad essere negativo. Dopo tre settimane di relativa calma, i rendimenti dei titoli di Stato sono tornati a salire facendo perdere valore ai titoli pubblici (-6.3 miliardi). La capitalizzazione borsistica perde 2.5 miliardi, mentre (in base alle nostre stime) il valore delle obbligazioni scende di 3 miliardi.

Nel complesso le perdite virtuali dei tre principali mercati italiani ammontano a 11.9 miliardi di euro.

Tabella 1. Perdite e guadagni virtuali complessivi sui tre mercati principali (miliardi di euro)

Ricordiamo che dal calcolo sono escluse sia le perdite di valore dei titoli di Stato detenuti dalla Banca d’Italia e dagli investitori esteri, sia i maggiori oneri per il servizio del debito pubblico. Va poi ricordato che il dato della Borsa si riferisce alle sole società quotate.

Dalle elezioni ad oggi (9 novembre) le perdite virtuali di Borsa, obbligazioni e titoli di Stato (esclusi quelli detenuti da Banca d’Italia e investitori esteri) ammontano a 175.5 miliardi di euro.

Banca d’Italia e investitori esteri detentori di titoli di Stato italiani hanno perso invece (sempre dalle elezioni ad oggi) 93.7 miliardi euro.

Grafico 1. Guadagni virtuali sui tre mercati principali nella settimana dal 26 ottobre al 2 novembre

Grafico 2. Perdite e guadagni virtuali sui tre mercati principali dal 28 febbraio al 9 novembre

Grafico 3. Perdite virtuali sui tre mercati principali dal 28 febbraio al 9 novembre
  1. Le perdite di famiglie e imprese

Secondo le nostre stime, famiglie e imprese hanno perso nell’ultima settimana 8.8 miliardi di euro. Dalle elezioni ad oggi (9 novembre) le perdite virtuali ammontano quindi a 136 miliardi euro.

Tabella 2. Perdite e guadagni virtuali delle famiglie e delle imprese (miliardi di euro)

Ricordiamo che il calcolo è effettuato considerando esclusivamente quella parte della ricchezza finanziaria di famiglie e imprese che è più sensibile alle fluttuazioni di mercato, in particolare titoli del debito pubblico, obbligazioni, quote di fondi comuni, azioni e altre partecipazioni (incluse le società non quotate). Sono invece esclusi i depositi (bancari e postali), i titoli emessi da soggetti esteri, e varie altre forme di ricchezza più resistenti alle fluttuazioni di mercato[1].

 

[1] Diversamente da quanto fatto nelle precedenti pubblicazioni, i tassi di deprezzamento della ricchezza finanziaria in mano a famiglie e imprese sono stati stimati ponendoli uguali al tasso di deprezzamento medio sui tre principali mercati italiani (escluse le banche).
Nei report precedenti le variazioni della ricchezza finanziaria erano state stimate mediante una “forchetta” (±1% rispetto al deprezzamento medio).

 


Di quanto è diminuita la nostra ricchezza?

Premessa

È strano, ma a nostra conoscenza nessuno ha ancora provato a calcolare quanto, complessivamente, ci è finora costata l’incertezza politico-finanziaria che si è instaurata in Italia dopo le elezioni del 4 marzo 2018.

Noi ci abbiamo provato, con i dati disponibili, sommando 3 addendi fondamentali:

a) la variazione della capitalizzazione del mercato azionario italiano (limitatamente alle società quotate);

b) la variazione del valore dei titoli di Stato detenuti da individui e operatori residenti in Italia, al netto di quelli detenuti dalla Banca d’Italia;

c) il deprezzamento dei titoli di debito del mercato obbligazionario italiano.

A parte sono state calcolate le perdite di valore dei titoli di Stato detenuti dalla Banca d’Italia e dagli investitori esteri.

Nel caso delle perdite del solo comparto Italia (senza Banca d’Italia e investitori esteri) abbiamo anche provato ad isolare le perdite sofferte dai settori delle famiglie e delle imprese, questa volta includendo anche le azioni e partecipazioni di società non quotate.

Tutte le stime sono prudenziali: è ragionevole pensare che le perdite effettive siano state maggiori di quelle da noi stimate.

Le perdite calcolate sono ovviamente virtuali, e potrebbero essere riassorbite, o tramutarsi in guadagni, ove la situazione economica e le valutazioni dei mercati nei prossimi mesi o anni dovessero evolvere positivamente.

I vari tipi di perdite sono state calcolate fra 3 momenti temporali:

–  28 febbraio 2018 (pre-elezioni)

–  31 maggio 2018 (insediamento governo)

– 19 ottobre 2018 (terza settimana di ottobre).

Le nostre stime non sono né definitive, né perfette, specie per il mercato obbligazionario, dove le informazioni disponibili sono più disperse che sugli altri due mercati (azioni e titoli di Stato). Le offriamo come una prima valutazione, sperando che altri si cimentino nel medesimo esercizio, producendo stime più accurate e analitiche delle nostre.

I dettagli e le fonti statistiche delle stime sono reperibili sul sito della Fondazione David Hume: www.fondazionehume.it.

1. Le perdite dell’Italia

Le perdite virtuali sui tre mercati esaminati ammontano a 198 miliardi (oltre il 10% del Pil) dal momento del voto, di cui 107 dall’insediamento del Governo.

   Tabella 1. Perdite virtuali sui tre mercati principali (miliardi di euro)

Dal calcolo sono escluse le perdite di valore dei titoli di Stato detenuti dalla Banca d’Italia e dagli investitori esteri, nonché i maggiori oneri per il servizio del debito pubblico. Va inoltre ricordato che il dato della Borsa si riferisce alle sole società quotate.

Grafico 1. Perdite virtuali sui tre mercati principali dalle elezioni ad oggi (miliardi di euro)
Grafico 2. Perdite virtuali sui tre mercati principali dalla nascita del governo ad oggi (miliardi di euro)

2. Le perdite di famiglie e imprese

Le perdite precedenti colpiscono tutti i settori istituzionali. Qui ci concentriamo sulle perdite virtuali subite da famiglie e imprese.

Un calcolo accurato delle perdite è impossibile per mancanza di dati sufficientemente analitici. Usando i dati disponibili sulle consistenze della ricchezza finanziaria (fonte Banca d’Italia) e le nostre stime dei tassi di deprezzamento di azioni, obbligazioni e titoli di Stato, possiamo però farci un’idea dell’ordine di grandezza minimo delle perdite: almeno 122 miliardi dalla data del voto, di cui 68 dal momento dell’insediamento del Governo.

Il calcolo è effettuato considerando esclusivamente quella parte della ricchezza finanziaria di famiglie e imprese che è più sensibile alle fluttuazioni di mercato, in particolare titoli del debito pubblico, obbligazioni, quote di fondi comuni, azioni e altre partecipazioni (incluse le società non quotate). Sono invece esclusi i depositi (bancari e postali), i titoli emessi da soggetti esteri, e varie altre forme di ricchezza più resistenti alle fluttuazioni di mercato.

Nell’ipotesi 1 (la più cauta, ovvero ottimistica), il deprezzamento % è pari a quello medio sui tre mercati principali, attenuato di 1 punto percentuale.

Tabella 2a. Perdite virtuali delle famiglie e delle imprese (miliardi di euro) – Ipotesi 1

Nell’ipotesi 2 (la meno ottimistica), il deprezzamento % è pari a quello medio sui tre mercati principali, aumentato di 1 punto percentuale.

Tabella 2b. Perdite virtuali delle famiglie e delle imprese (miliardi di euro) – Ipotesi 2

È il caso di sottolineare che il valore indicato sopra come stima delle perdite virtuali minime di famiglie e imprese (122.4 miliardi dalle elezioni) si basa sull’ipotesi 1 (la più ottimistica), anche se riteniamo più verosimile l’ipotesi 2.

3. Dettagli

Riportiamo qui il quadro analitico completo delle perdite virtuali sui tre principali mercati, compresi i soggetti che abbiamo escluso nella tabella 1.

Tabella 3. Perdite virtuali complessive sui tre mercati principali (miliardi di euro)

La tabella distingue tre tipi di detentori dei titoli di Stato (Banche, Istituzioni finanziarie, Altri residenti) e riporta anche le perdite virtuali della Banca d’Italia e degli investitori esteri, omesse nella tabella 1.

La riga finale, relativa al Totale complessivo, permette di calcolare le perdite virtuali accusate sui tre principali mercati da tutti i detentori di titoli di Stato, obbligazioni, azioni di società quotate, compresi gli investitori esteri e la Banca d’Italia: si tratta di oltre 300 miliardi di euro, di cui circa la metà nel dopo-voto e l’altra metà nel dopo-governo.

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Nota tecnica

Fonti principali

Le stime sono state costruite a partire da dati MEF, Banca d’Italia, Milano Finanza, Investing e Borsa Italiana.

Metodi

La diminuzione del valore di mercato delle azioni è stata calcolata usando come base la capitalizzazione (al 28 febbraio 2018) di tutti i titoli quotati alla Borsa di Milano.

La variazione del valore di mercato dei titoli di Stato è stata calcolata usando come base il valore nominale (al 28 febbraio 2018) dello stock calcolato dalla Banca d’Italia e come saggi di variazione quelli desumibili dall’evoluzione dei rendimenti (suddivisi per duration). In mancanza di dati analitici, abbiamo assunto la medesima composizione del portafoglio per Banche, Istituzioni finanziarie e Altri residenti.

La variazione del valore di mercato delle obbligazioni emesse da Banche, Società non finanziarie, Imprese di assicurazione, Altri intermediari finanziari è stata stimata usando come base il valore delle obbligazioni rilevato dalla Banca d’Italia alla fine di febbraio 2018, e applicando a tale base un tasso di deprezzamento pari alla metà di quello dei titoli di Stato.

Per tutte le voci, la perdita patrimoniale è stata stimata per 3 periodi:

(a) periodo post-elettorale ma pre-formazione governo (dal 28 febbraio al 31 maggio);

(b) periodo post-governo (dal 31 maggio al 19 ottobre)

(c) periodo dalle elezioni a oggi (dal 28 febbraio al 19 ottobre)

Tassi di deprezzamento

I tassi di deprezzamento dei titoli scambiati sui tre principali mercati sono basati sulla capitalizzazione di Borsa e sull’evoluzione di rendimenti e duration dei titoli di Stato. I tassi di deprezzamento relativi alle obbligazioni sono stati posti eguali alla metà di quelli dei titoli di Stato.

Tabella 4. Tassi di deprezzamento stimati

È verosimile che la nostra ipotesi sul mercato obbligazionario sia troppo ottimistica, e che il deprezzamento effettivo sia stato maggiore.

Avvertenza

Tutte le nostre valutazioni della perdita di ricchezza degli italiani sono estremamente prudenti, e quasi certamente rappresentano una sottostima della perdita totale effettiva. Infatti:

a)  nel calcolo delle perdite sui tre principali mercati sono escluse le azioni delle società non quotate e i titoli del debito pubblico diversi dai titoli di Stato;

b)  presumibilmente una parte dei titoli di Stato che la Banca d’Italia classifica come “estero” sono indirettamente detenuti da italiani;

c)  nel calcolare il deprezzamento delle obbligazioni si è scelto di utilizzare le stime più ottimistiche, basate sull’ipotesi che i rendimenti del mercato obbligazionario siano cresciuti molto di meno (circa la metà) di quelli del mercato dei titoli di Stato;

d)    nel calcolo della ricchezza finanziaria delle famiglie e delle imprese abbiamo considerato solo gli attivi più sensibili alle fluttuazioni di mercato, pari a meno di 1/3 degli attivi totali.

Caveat

Il dato delle perdite complessive dell’Italia sui tre principali mercati e quello delle perdite complessive di famiglie e imprese non sono direttamente comparabili. Nel primo dato (Italia), infatti, mancano sia i titoli del debito pubblico diversi dai titoli di Stato, sia le “Azioni e altre partecipazioni” relative alle società non quotate. Nel secondo dato (famiglie e imprese) viene presa in considerazione solo la porzione più vulnerabile della ricchezza finanziaria delle famiglie, ma vengono incluse le “Azioni e altre partecipazioni”.

Entrambi i dati vanno interpretati come stime per difetto.

Ringraziamenti

La Fondazione David Hume ringrazia quanti, in quanto operatori sui mercati finanziari o in veste di studiosi, sono stati prodighi di consigli e di valutazioni. La responsabilità di eventuali errori è ovviamente nostra.

[testo a cura di Luca Ricolfi, Rossana Cima, Caterina Guidoni]



L’Italia sta entrando in recessione?

Dopo cinque mesi di governo, per la prima volta si ha la sensazione che qualcosa stia cambiando, sia nei rapporti interni al Governo, sia in quelli con l’elettorato.

Dentro il Governo decreto sicurezza, disegno di legge anticorruzione, condono fiscale, grandi opere, stanno suscitando i primi dissensi veri. Visto dall’esterno, il clima fra gli alleati non sembra armonioso come nei giorni degli sbarchi o in quelli della crociata anti-Bruxelles.

Ma è sul versante dell’elettorato che le cose mi sembrano più in movimento, forse anche perché sono torinese e tocco con mano i primi segni di delusione, che nella mia città sono strettamente legati a due clamorosi no della sindaca Appendino: no alle olimpiadi invernali, che se verranno assegnate all’Italia si terranno a Milano e Cortina; no alla Tav, che se fermata costringerà molte imprese a chiudere o a licenziare. Due no che, almeno qui, paiono indebolire il consenso ai Cinque Stelle sia a livello cittadino, sia a livello nazionale. Qualcuno comincia addirittura a immaginare una nuova “marcia dei 40 mila”, questa volta promossa da un fronte che potrebbe unire imprenditori, sindacati, forze politiche di destra e di sinistra.

Si sarebbe tentati di pensare che il cambio di umori sia legato innanzitutto all’azione dell’esecutivo, assai popolare quando attacca i migranti e l’Europa, assai meno convincente quando tenta di mettere in atto il “contratto di governo”. Credo ci sia del vero in questa impressione, specie per i ceti produttivi, preoccupati del blocco o rallentamento delle grandi opere, ma anche della modestia degli sgravi fiscali alle imprese. Poco per volta, ci si rende conto che, complessivamente, le tasse non diminuiranno affatto, perché gli sgravi sull’Ires e l’Iva sulle piccole imprese (circa 2 miliardi nel 2019) sono più che compensati da nuove tasse e dal venir meno di altre misure di sostegno alle imprese, come l’Ace (che viene soppressa) o l’Iri (che non entra in vigore).

E tuttavia io sospetto che un certo raffreddamento del rapporto con l’elettorato possa avere anche un’altra origine, ben più insidiosa. Forse quello di cui imprenditori, artigiani, commercianti, lavoratori dipendenti cominciano ad accorgersi è che è il ciclo economico stesso a volgere al peggio. Non c’è solo la crescente consapevolezza dei danni prodotti dallo spread a 300 punti base, non c’è solo la preoccupazione per il peggioramento dei rapporti con l’Europa, o addirittura il timore di un’uscita dall’euro. Da qualche giorno, a queste preoccupazioni se ne stanno aggiungendo di assai più concrete e dirette. I dati di settembre sull’export sono pessimi: l’avanzo della bilancia commerciale si è drasticamente ridotto, sia rispetto a luglio sia rispetto a settembre di un anno fa. L’occupazione è in calo, e lo è proprio nella componente che il decreto dignità ambiva a rafforzare, quella dei posti a tempo indeterminato. Ma soprattutto è fermo il Pil, ovvero l’indicatore che tutti gli altri riassume: non succedeva dal 2014, ossia dall’anno di uscita dalla crisi. Perché questa impasse? Perché questi segnali negativi dal versante dell’economia?

Mi piacerebbe avere le certezze di Brunetta, secondo cui la crescita della disoccupazione è “il primo effetto disastroso del decreto dignità”. O quelle di Di Maio, secondo cui, tutto al contrario, il calo dell’occupazione è “l’ultimo colpo di coda del Jobs Act”. E ancora più mi pacerebbe avere quelle del presidente di Confindustria Boccia, secondo cui “se l’economia non cresce è colpa esclusiva delle scelte economiche di questo governo”.

Ma la verità è che, con i dati disponibili, è tecnicamente impossibile stabilire in che misura questi andamenti negativi siano da imputare all’azione del precedente governo, a quella dell’esecutivo attuale, o al rallentamento dell’economia europea, chiaramente avvertibile dal terzo trimestre di quest’anno. Personalmente, ritengo più verosimile che quello cui stiamo assistendo sia il solito film: l’economia italiana si muove più o meno in sincronia con quella degli altri paesi europei, ma a passo più lento, per cui quando “loro” vanno forte noi andiamo piano, e quando (come oggi) loro vanno piano noi stiamo fermi.

Quel che invece mi sento di dire è che è molto pericoloso, per chi governa, mandare all’opinione pubblica messaggi di onnipotenza, per cui l’Italia sarebbe in grado di ignorare le raccomandazioni dell’Europa, i segnali dei mercati, le previsioni dei centri studi indipendenti. Perché a forza di dire che possiamo fare di testa nostra, che tutto dipende da noi stessi, e che la manovra ci farà crescere il doppio del previsto, se poi le cose si mettono storte, e le certezze evaporano sotto i colpi della realtà, si rischia di pagare un prezzo molto alto in termini di consenso.

Vorrei ricordare che, tecnicamente, un paese è considerato in recessione se il suo Pil diminuisce per due trimestri consecutivi. E se al Pil piatto del terzo trimestre 2018 dovessero seguire due trimestri di Pil calante, l’Italia potrebbe venirsi a trovare ufficialmente in recessione già a fine aprile prossimo, giusto un mese prima delle elezioni europee. Se questo dovesse accadere, presumibilmente dipenderebbe poco dalle scelte di questo governo e molto dall’evoluzione della congiuntura europea. Ma difficilmente l’opinione pubblica sarebbe di questo avviso. E’ una questione di logica: se oggi ci vien detto che possiamo fare quel che vogliamo, contro tutto e contro tutti, quel che potrà accadere domani sarà considerato una conseguenza delle nostre azioni, non del “destino cinico e baro”.




Di quanto è diminuita la nostra ricchezza dopo il voto di marzo? Aggiornamento all’ultima settimana

Nell’ultima settimana male la borsa, bene i titoli di Stato.

Nella settimana che va dal 19 al 26 ottobre 2018 le perdite virtuali degli operatori finanziari italiani sono state pari a 700 milioni. Le perdite del mercato azionario, pari a 12,3 miliardi di euro, sono state parzialmente compensate dal recupero del valore di mercato dei titoli di Stato e, in base alle nostre stime, di quello del mercato obbligazionario italiano.

Ricordiamo che dal calcolo sono escluse sia le perdite di valore dei titoli di Stato detenuti dalla Banca d’Italia e dagli investitori esteri, sia i maggiori oneri per il servizio del debito pubblico. Va poi ricordato che il dato della Borsa si riferisce alle sole società quotate.

Dalle elezioni ad oggi (26 ottobre) le perdite virtuali di Borsa, obbligazioni e titoli di Stato (esclusi quelli detenuti da Banca d’Italia e investitori esteri) ammontano a 198,7 miliardi di euro.

Tabella 1. Perdite e guadagni virtuali complessivi sui tre mercati principali (miliardi di euro)

Banca d’Italia e investitori esteri detentori di titoli di Stato italiani hanno perso invece (sempre dalle elezioni ad oggi) 97,3 miliardi euro.

Grafico 1. Perdite e guadagni virtuali sui tre mercati principali nella settimana dal 19 al 26 ottobre

Di quanto è diminuita la nostra ricchezza?

Premessa

È strano, ma a nostra conoscenza nessuno ha ancora provato a calcolare quanto, complessivamente, ci è finora costata l’incertezza politico-finanziaria che si è instaurata in Italia dopo le elezioni del 4 marzo 2018.

Noi ci abbiamo provato, con i dati disponibili, sommando 3 addendi fondamentali:

a) la variazione della capitalizzazione del mercato azionario italiano (limitatamente alle società quotate);

b) la variazione del valore dei titoli di Stato detenuti da individui e operatori residenti in Italia, al netto di quelli detenuti dalla Banca d’Italia;

c) il deprezzamento dei titoli di debito del mercato obbligazionario italiano.

A parte sono state calcolate le perdite di valore dei titoli di Stato detenuti dalla Banca d’Italia e dagli investitori esteri.

Nel caso delle perdite del solo comparto Italia (senza Banca d’Italia e investitori esteri) abbiamo anche provato ad isolare le perdite sofferte dai settori delle famiglie e delle imprese, questa volta includendo anche le azioni e partecipazioni di società non quotate.

Tutte le stime sono prudenziali: è ragionevole pensare che le perdite effettive siano state maggiori di quelle da noi stimate.

Le perdite calcolate sono ovviamente virtuali, e potrebbero essere riassorbite, o tramutarsi in guadagni, ove la situazione economica e le valutazioni dei mercati nei prossimi mesi o anni dovessero evolvere positivamente.

I vari tipi di perdite sono state calcolate fra 3 momenti temporali:

–  28 febbraio 2018 (pre-elezioni)

–  31 maggio 2018 (insediamento governo)

– 19 ottobre 2018 (terza settimana di ottobre).

Le nostre stime non sono né definitive, né perfette, specie per il mercato obbligazionario, dove le informazioni disponibili sono più disperse che sugli altri due mercati (azioni e titoli di Stato). Le offriamo come una prima valutazione, sperando che altri si cimentino nel medesimo esercizio, producendo stime più accurate e analitiche delle nostre.

I dettagli e le fonti statistiche delle stime sono reperibili sul sito della Fondazione David Hume: www.fondazionehume.it.

1. Le perdite dell’Italia

Le perdite virtuali sui tre mercati esaminati ammontano a 198 miliardi (oltre il 10% del Pil) dal momento del voto, di cui 107 dall’insediamento del Governo.

   Tabella 1. Perdite virtuali sui tre mercati principali (miliardi di euro)

Dal calcolo sono escluse le perdite di valore dei titoli di Stato detenuti dalla Banca d’Italia e dagli investitori esteri, nonché i maggiori oneri per il servizio del debito pubblico. Va inoltre ricordato che il dato della Borsa si riferisce alle sole società quotate.

Grafico 1. Perdite virtuali sui tre mercati principali dalle elezioni ad oggi (miliardi di euro)
Grafico 2. Perdite virtuali sui tre mercati principali dalla nascita del governo ad oggi (miliardi di euro)

2. Le perdite di famiglie e imprese

Le perdite precedenti colpiscono tutti i settori istituzionali. Qui ci concentriamo sulle perdite virtuali subite da famiglie e imprese.

Un calcolo accurato delle perdite è impossibile per mancanza di dati sufficientemente analitici. Usando i dati disponibili sulle consistenze della ricchezza finanziaria (fonte Banca d’Italia) e le nostre stime dei tassi di deprezzamento di azioni, obbligazioni e titoli di Stato, possiamo però farci un’idea dell’ordine di grandezza minimo delle perdite: almeno 122 miliardi dalla data del voto, di cui 68 dal momento dell’insediamento del Governo.

Il calcolo è effettuato considerando esclusivamente quella parte della ricchezza finanziaria di famiglie e imprese che è più sensibile alle fluttuazioni di mercato, in particolare titoli del debito pubblico, obbligazioni, quote di fondi comuni, azioni e altre partecipazioni (incluse le società non quotate). Sono invece esclusi i depositi (bancari e postali), i titoli emessi da soggetti esteri, e varie altre forme di ricchezza più resistenti alle fluttuazioni di mercato.

Nell’ipotesi 1 (la più cauta, ovvero ottimistica), il deprezzamento % è pari a quello medio sui tre mercati principali, attenuato di 1 punto percentuale.

Tabella 2a. Perdite virtuali delle famiglie e delle imprese (miliardi di euro) – Ipotesi 1

Nell’ipotesi 2 (la meno ottimistica), il deprezzamento % è pari a quello medio sui tre mercati principali, aumentato di 1 punto percentuale.

Tabella 2b. Perdite virtuali delle famiglie e delle imprese (miliardi di euro) – Ipotesi 2

È il caso di sottolineare che il valore indicato sopra come stima delle perdite virtuali minime di famiglie e imprese (122.4 miliardi dalle elezioni) si basa sull’ipotesi 1 (la più ottimistica), anche se riteniamo più verosimile l’ipotesi 2.

3. Dettagli

Riportiamo qui il quadro analitico completo delle perdite virtuali sui tre principali mercati, compresi i soggetti che abbiamo escluso nella tabella 1.

Tabella 3. Perdite virtuali complessive sui tre mercati principali (miliardi di euro)

La tabella distingue tre tipi di detentori dei titoli di Stato (Banche, Istituzioni finanziarie, Altri residenti) e riporta anche le perdite virtuali della Banca d’Italia e degli investitori esteri, omesse nella tabella 1.

La riga finale, relativa al Totale complessivo, permette di calcolare le perdite virtuali accusate sui tre principali mercati da tutti i detentori di titoli di Stato, obbligazioni, azioni di società quotate, compresi gli investitori esteri e la Banca d’Italia: si tratta di oltre 300 miliardi di euro, di cui circa la metà nel dopo-voto e l’altra metà nel dopo-governo.

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Nota tecnica

Fonti principali

Le stime sono state costruite a partire da dati MEF, Banca d’Italia, Milano Finanza, Investing e Borsa Italiana.

Metodi

La diminuzione del valore di mercato delle azioni è stata calcolata usando come base la capitalizzazione (al 28 febbraio 2018) di tutti i titoli quotati alla Borsa di Milano.

La variazione del valore di mercato dei titoli di Stato è stata calcolata usando come base il valore nominale (al 28 febbraio 2018) dello stock calcolato dalla Banca d’Italia e come saggi di variazione quelli desumibili dall’evoluzione dei rendimenti (suddivisi per duration). In mancanza di dati analitici, abbiamo assunto la medesima composizione del portafoglio per Banche, Istituzioni finanziarie e Altri residenti.

La variazione del valore di mercato delle obbligazioni emesse da Banche, Società non finanziarie, Imprese di assicurazione, Altri intermediari finanziari è stata stimata usando come base il valore delle obbligazioni rilevato dalla Banca d’Italia alla fine di febbraio 2018, e applicando a tale base un tasso di deprezzamento pari alla metà di quello dei titoli di Stato.

Per tutte le voci, la perdita patrimoniale è stata stimata per 3 periodi:

(a) periodo post-elettorale ma pre-formazione governo (dal 28 febbraio al 31 maggio);

(b) periodo post-governo (dal 31 maggio al 19 ottobre)

(c) periodo dalle elezioni a oggi (dal 28 febbraio al 19 ottobre)

Tassi di deprezzamento

I tassi di deprezzamento dei titoli scambiati sui tre principali mercati sono basati sulla capitalizzazione di Borsa e sull’evoluzione di rendimenti e duration dei titoli di Stato. I tassi di deprezzamento relativi alle obbligazioni sono stati posti eguali alla metà di quelli dei titoli di Stato.

Tabella 4. Tassi di deprezzamento stimati

È verosimile che la nostra ipotesi sul mercato obbligazionario sia troppo ottimistica, e che il deprezzamento effettivo sia stato maggiore.

Avvertenza

Tutte le nostre valutazioni della perdita di ricchezza degli italiani sono estremamente prudenti, e quasi certamente rappresentano una sottostima della perdita totale effettiva. Infatti:

a)  nel calcolo delle perdite sui tre principali mercati sono escluse le azioni delle società non quotate e i titoli del debito pubblico diversi dai titoli di Stato;

b)  presumibilmente una parte dei titoli di Stato che la Banca d’Italia classifica come “estero” sono indirettamente detenuti da italiani;

c)  nel calcolare il deprezzamento delle obbligazioni si è scelto di utilizzare le stime più ottimistiche, basate sull’ipotesi che i rendimenti del mercato obbligazionario siano cresciuti molto di meno (circa la metà) di quelli del mercato dei titoli di Stato;

d)    nel calcolo della ricchezza finanziaria delle famiglie e delle imprese abbiamo considerato solo gli attivi più sensibili alle fluttuazioni di mercato, pari a meno di 1/3 degli attivi totali.

Caveat

Il dato delle perdite complessive dell’Italia sui tre principali mercati e quello delle perdite complessive di famiglie e imprese non sono direttamente comparabili. Nel primo dato (Italia), infatti, mancano sia i titoli del debito pubblico diversi dai titoli di Stato, sia le “Azioni e altre partecipazioni” relative alle società non quotate. Nel secondo dato (famiglie e imprese) viene presa in considerazione solo la porzione più vulnerabile della ricchezza finanziaria delle famiglie, ma vengono incluse le “Azioni e altre partecipazioni”.

Entrambi i dati vanno interpretati come stime per difetto.

Ringraziamenti

La Fondazione David Hume ringrazia quanti, in quanto operatori sui mercati finanziari o in veste di studiosi, sono stati prodighi di consigli e di valutazioni. La responsabilità di eventuali errori è ovviamente nostra.

 

[testo a cura di Luca Ricolfi, Rossana Cima, Caterina Guidoni]



Ritorno alla lira?

C’è una narrazione che i potenti di oggi cercano di imporre al Paese, e che per ora ha avuto un discreto successo. Più o meno suona così: noi ci siamo presentati davanti all’elettorato promettendo determinate cose, l’elettorato ci ha dato la maggioranza, quindi abbiamo non solo il diritto ma il dovere di fare quel che abbiamo promesso. Non solo: chiunque ci critici, così facendo nega al popolo il sacrosanto diritto di esercitare la sua volontà, liberamente espressa attraverso il voto.

Molto si potrebbe dire sull’idea di democrazia (e di opinione pubblica) implicita in questo ragionamento. Ad esempio che chi ragiona così disprezza la Costituzione, che come ha ricordato il presidente della Repubblica prevede esplicitamente meccanismi di delimitazione e distribuzione del potere, volti ad evitare l’instaurarsi di una “dittatura della maggioranza”.

Ma non è su questo che vorrei attirare l’attenzione. Quel che mi pare interessante domandarci non è se gli attuali governanti si muovano con il dovuto senso dello Stato e il necessario rispetto delle istituzioni, perché chiunque non sia accecato dalle proprie credenze politiche sa perfettamente che la risposta è: NO. Quel che a me sembra degno di discussione è semmai se sia vera, oppure no, la pretesa dei nuovi padroni del potere statale di rappresentare le istanze del popolo che li ha eletti. E’ vero o non è vero quel che sentiamo ripetere fino alla noia, ovvero che la “manovra del popolo” realizza finalmente le promesse?

Per quanto riguarda la promessa principale del Movimento Cinque Stelle, ossia il reddito minimo (impropriamente chiamato “di cittadinanza”), la risposta è: sì, forse fin troppo (10 miliardi). Se partirà senza aver riorganizzato i centri per l’impiego, e non terrà conto del livello dei prezzi, il cosiddetto reddito di cittadinanza di soldi ne distribuirà addirittura più di quelli che servono, almeno in certe aree (quelle in cui il costo della vita è molto sotto la media nazionale). Quindi Di Maio ha tutte le ragioni di essere soddisfatto. Ma per quanto riguarda la promessa principale di Salvini, ovvero la flat tax?

Qui è il disastro. La flat tax doveva costare 50 miliardi, se non di più: la “manovra del popolo”, invece, non introduce alcuna flat tax, e di miliardi non ne stanzia neppure uno (l’aliquota del 15% per le piccole partite Iva produrrà sgravi per 600 milioni, cioè per 0.6 miliardi). Non vorrei essere crudele, ma la realtà è questa: Di Maio porta a casa (al suo popolo, concentrato al Sud) più o meno il 70% del suo impegno più importante, Salvini porta a casa (al suo popolo, concentrato al Nord) circa l’1% del suo impegno più importante. Dopo aver ripetuto in tutte le salse, durante la campagna elettorale, che non ci sarebbero stati problemi di copertura, scopre improvvisamente che quei problemi sono enormi (perché la pace fiscale non manterrà le promesse) e quindi le tasse non si possono ridurre. E non è tutto: se ci prendiamo la briga di ricostruire tutte le voci di bilancio della manovra scopriamo che, rispetto al 2018, gli italiani dovrebbero pagare 19 miliardi di euro di tasse e contributi in più, di cui 8.1 previsti dalla manovra stessa, in quanto necessari per finanziare le nuove spese (reddito di cittadinanza e revisione della legge Fornero).

Quindi, tanto per cominciare, diciamo una cosa: non è vero che c’è un governo che ha ricevuto un mandato elettorale dal popolo, e che sta mantenendo le promesse. Semmai esistono due forze politiche popolari, una molto forte al Sud, l’altra al Nord, di cui la prima sta mantenendo la sua promessa economica principale (reddito di cittadinanza), mentre l’altra ha preferito mettere in stand by la sua (flat tax), forse pensando che – elettoralmente – potesse bastare intestarsi i respingimenti dei barconi e l’affondamento della Fornero.

C’è un altro motivo, ben più importante, per cui l’idea che questo sia il governo del popolo, che agisce in nome e nell’interesse del popolo stesso, mi lascia alquanto perplesso. Non mi riferisco qui al fatto che, secondo molti osservatori, saranno i ceti popolari e i giovani a pagare le conseguenze più nefaste della manovra del popolo. Questo è molto verosimile, ma lo dirà solo il tempo. Il punto che mi lascia perplesso è che questo governo non sta facendo nulla per ridurre il rischio di una crisi finanziaria, il cui esito potrebbe essere la nostra uscita dall’euro e il ritorno alla lira. E dicendo “non sta facendo nulla” uso un eufemismo, perché la realtà è che sta facendo di tutto per aumentare la tensione, quasi che cercasse l’incidente.

Ebbene, io penso che sia giunto il tempo di dire in modo netto e chiaro almeno tre cose. Primo, una larghissima e crescente maggioranza degli italiani (7 a 3, secondo un sondaggio Ipsos di pochi giorni fa), certamente molto più ampia di quella che ha votato Lega e Cinque Stelle, non ha alcuna intenzione di uscire dall’euro: da questo cruciale punto di vista l’attuale governo è profondamente anti-popolare. Secondo, l’eventualità di una crisi finanziaria drammatica, che sfoci in un ritorno alla lira non è remota come pare ai più: una stima recente, basata sul prezzo dei Cds, assegna 24 probabilità su 100 all’eventualità di una “Italexit”. Terzo, se all’incidente si arrivasse, tutto si potrebbe dire tranne una cosa: che il nostro governo abbia fatto tutto il possibile per evitarlo.

E’ questo che è poco accettabile: continuare a dire che si vuole restare nell’euro, ma comportarsi come se si desiderasse arrivare all’incidente che ci costringerebbe ad uscirne.

Sarebbe il colmo: infliggere alla maggioranza degli italiani quel che non vogliono (il ritorno alla lira) e arrivarci in nome del popolo sovrano.