Più tamponi, meno morti

Un confronto internazionale

Sul fatto che le autorità non dicano il vero, quando affermano che siamo il paese del mondo che fa più tamponi, non ci sono più dubbi. In due contributi precedenti abbiamo ampiamente dimostrato come stanno le cose: se si considera l’anzianità epidemica, l’Italia è uno dei paesi che fa meno tamponi al giorno per abitante.

Come si vede, solo 5 paesi (fra cui Francia e Regno Unito) fanno meno tamponi dell’Italia; gli altri 20 ne fanno di più, talora molti di più (è il caso, ad esempio, di Israele, Grecia, Norvegia).

Fin qui tutto chiaro, anche se spesso negato. Ma ora ci chiediamo: hanno ragione quanti affermano che la politica dei tamponi ha effetti rilevanti sul controllo dell’epidemia? In questo senso si sono pronunciati, fra gli altri, il prof. Massimo Galli (infettivologo dell’ospedale Sacco di Milano), e l’immunologo Jean François Delfraissy, consigliere di Macron per la gestione dell’epidemia.

Il primo, in un’intervista televisiva, ha ipotizzato che, proprio grazie alla sua elevata capacità di fare tamponi, la Germania fosse uno dei pochi paesi europei importanti con buone chances di uscire relativamente bene dall’epidemia. Il secondo è arrivato a dire che, ove la Francia avesse avuto una capacità di fare tamponi di 100 mila al giorno (anziché soltanto 3 mila), forse non avrebbe consigliato il lockdown al Presidente francese.

A giudicare dai dati disponibili, l’ipotesi di un elevato impatto dei tamponi sul tasso di mortalità di un dato paese è tutt’altro che campata per aria. In questo campo non esistono prove irrefutabili, ma l’analisi dei dati fornisce una forte evidenza a favore dell’ipotesi di un nesso inverso fra propensione a ricorrere ai tamponi e tasso di mortalità: più tamponi si fanno, meno drammatica è la conta finale dei morti.

Dividendo i paesi in classi di propensione a fare tamponi (1° classe tanti, 5° classe pochi) la situazione risultante è la seguente.

Passando dalla prima classe (che include Israele, Lituania e Islanda) all’ultima (che include Italia, Spagna, Regno Unito, Stati Uniti ma non la Germania), il tasso di mortalità passa – con impressionante regolarità – da 19 a 294 morti per milione di abitanti: un rapporto di oltre 1 a 15. Un’analisi della distribuzione completa suggerisce che le soglie critiche siano situate intorno a 600 e 1000 tamponi al giorno per abitante. Il tasso di mortalità è quasi sempre relativamente modesto sopra i 1000 tamponi al giorno, è quasi sempre molto alto sotto i 600: la Germania è sopra la soglia dei 1000, l’Italia è sotto la soglia dei 600. Indicativamente si può suggerire che, per evitare l’esplosione della mortalità, l’Italia avrebbe dovuto fare il doppio dei tamponi che ha effettivamente fatto. E’ anche interessante osservare che, nel caso della Francia, la soglia di sicurezza fissata da Delfraissy (100 mila tamponi al giorno) corrisponde a circa 1500 tamponi al giorno per abitante, più o meno il valor medio della classe 2.

La relazione inversa fra tamponi e mortalità è ancora più chiara se confrontiamo le posizioni (o ranghi)  dei paesi nelle due graduatorie che si possono stabilire in base alle variabili “propensione a fare tamponi”, e “tasso di mortalità per milione di abitanti”.

Il diagramma mostra con estrema chiarezza che la mortalità tende a decrescere con il numero di tamponi: la correlazione è negativa, pari -0.802.

Il medesimo diagramma diventa ancora più nitido se restringiamo l’analisi ai paesi di tradizione occidentale, eliminando i paesi ex-comunisti. La correlazione inversa, già elevata, aumenta ancora in modulo (-0.832).

Credo vi sia materia per riflettere.

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Nota tecnica

I dati provengono dal database Worldometers rappresentano gli ultimi dati comunicati al 19 aprile 2020. Va tenuto presente che alcuni paesi non comunicano il dato dei tamponi quotidianamente, e altri comunicano il dato dei soggetti testati anziché quello dei test effettuati, due circostanze che comportano entrambe una sottostima della propensione ad effettuare tamponi. Ciò fa sì che la posizione effettiva di alcuni paesi (ma non dell’Italia) potrebbe essere migliore di quella da noi stimata, peggiorando così la posizione relativa dell’Italia.

I paesi inclusi nell’analisi sono costituiti dall’insieme delle società avanzate per le quali erano disponibili dati sulla mortalità e sui tamponi.

L’anzianità epidemica di un paese è definita come il numero di giorni trascorsi dal primo giorno in cui il numero di morti ha superato il livello di 10 per milione di abitanti.

Le classi di propensione sono così definite:

classe 1: oltre 2500 tamponi al giorno per milione di abitanti;
classe 2: fra 1300 e 2500
classe 3: fra 1000 e 1300
classe 4: fra 600 e 1000
classe 5: meno di 600




L’Italia e gli altri. Bollettino Hume sul Covid-19 (2°)

Bollettino bisettimanale sull’andamento dell’epidemia

Continua oggi, venerdì 1° maggio, la pubblicazione dei bollettini della Fondazione David Hume sull’andamento dell’epidemia.
In questo secondo bollettino, che esce a pochissimi giorni dall’avvio della fase 2, ci concentriamo su tre domande:
1) a che punto siamo nel percorso che dovrebbe condurci alla meta di “contagi zero”?
2) qual è la posizione dell’Italia rispetto agli altri paesi?
3) quanto tempo potrebbe essere ancora necessario perché l’obiettivo di contagi-zero venga centrato dal nostro paese?
La risposta alla prima domanda sta tutta in questo istogramma:La valutazione della velocità del contagio è basata sulla mortalità per abitante, l’unico dato relativamente comparabile fra paesi.
Come si vede, siamo ancora al 40%: vuol dire che, fatto 100 il numero di nuovi contagiati del giorno di picco, dobbiamo ancora discendere 40 scalini per arrivare a contagi-zero. Meglio di noi stanno, fra i grandi paesi, Spagna e Francia, peggio di noi stanno la Germania, il Regno Unito, gli Stati Uniti.
Insomma, a prima vista la posizione dell’Italia non sembra troppo cattiva.
I guai cominciano, però, non appena si considerano due elementi. Il primo è l’anzianità epidemica, ossia il numero di giorni da cui è iniziata l’epidemia, che per l’Italia è maggiore che per qualsiasi altro paese (eccetto Cina e Corea del Sud, ovviamente).
Il secondo elemento di preoccupazione è la velocità alla quale scendiamo verso la meta di contagi-zero. La velocità dell’Italia è del 2.9% al giorno, una delle più basse fra i paesi considerati.Peggio di noi fanno Stati Uniti e Regno Unito, meglio di noi Spagna, Francia, ma soprattutto Germania.
Fra i 26 paesi considerati gli unici che paiono relativamente vicini alla meta sono Finlandia, Estonia e Lussemburgo. Essi hanno infatti percorso buona parte della strada che li separa da contagi-zero, e paiono caratterizzati da una velocità di discesa piuttosto elevata.
Quanto tempo è ancora necessario per arrivare a contagi-zero?
Impossibile dirlo, perché non sappiamo la velocità alla quale l’Italia percorrerà l’ultimo tratto di strada. Un elemento di rassicurazione, però, esiste: sia i dati sul numero dei morti sia quelli sul numero di nuovi contagiati si riferiscono ad eventi che sono avvenuti, rispettivamente, circa 3 e 2 settimane prima. Come la luce delle stelle lontane, i morti di oggi ci informano su contagi avvenuti 20-25 giorni fa.
Possiamo solo sperare che, nel frattempo, la corsa verso contagi-zero sia proseguita. Anche se la prudenza suggerirebbe di attendere che sia i decessi giornalieri, sia i nuovi casi diagnosticati, si portino molto vicini a zero.

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Nota tecnica 
I paesi considerati sono tutti quelli in cui:
a) l’epidemia ha varcato la soglia dei 10 morti per milione di abitanti;
b) il picco è già stato superato da almeno 4 giorni.
Il picco è stato calcolato come variazione trigiornaliera della mortalità per abitante.

Leggi il 1° Bollettino Hume sul Covid-19




A che punto siamo? Bollettino Hume sul Covid-19

Bollettino bisettimanale sull’andamento dell’epidemia

Iniziamo oggi, martedì 28 aprile, la pubblicazione di un bollettino sull’andamento dell’epidemia, che sarà disponibile sul sito della Fondazione Hume ogni martedì e ogni venerdì, di norma entro la mattina.
In questo primo bollettino, che esce a meno di una settimana dall’inizio della fase 2, ci concentriamo su due domande che riteniamo cruciali:
1) a che punto siamo nel percorso che dovrebbe condurci alla meta di “contagi zero”?
2) esiste almeno una regione italiana che è pronta alla ripartenza?
Per rispondere a queste domande in modo rigoroso, dovremmo avere informazioni che purtroppo non abbiamo. Alcune di esse semplicemente non esistono (è il caso del numero effettivo di contagiati in Italia), altre esistono ma sono tenute nascoste dalle autorità (è il caso dei dati sui flussi di ingresso e di uscita dagli ospedali). Dunque dobbiamo tentare una risposta con il poco che passa il convento della Protezione Civile.
Un modo per rispondere alle nostre due domande è di chiederci qual è il punto in cui l’Italia (o una sua regione) oggi si trovano, fatto 100 il numero di morti o di nuovi contagiati toccato nel giorno peggiore dall’inizio dell’epidemia (il cosiddetto giorno di picco): se il contagio è ancora galoppante il valore dell’indice dovrebbe essere prossimo a 100, se si è ridotto e si sta spegnendo il valore dovrebbe essere prossimo a zero.
Ebbene, la risposta per l’Italia nel suo insieme è che il ritmo quotidiano dei decessi ufficiali è il 36.2% del valore di picco, mentre quello dei nuovi contagi registrati è il 26.5%. E’ vero che il primo dato si riferisce a contagi avvenuti circa 3 settimane fa, e il secondo a contagi avvenuti circa 2 settimane fa, e dunque la situazione potrebbe nel frattempo essere migliorata. Ma in entrambi i casi non si tratta certo di dati rassicuranti: per dire che siamo vicini alla meta di “nuovi contagi zero” quei due dati dovrebbero essere molto più vicini a zero di quanto lo siano, specie se si considera quanto a lungo una persona può restare contagiosa dopo aver contratto il virus.
Una buona regola potrebbe essere: aspettiamo almeno fino al momento in cui entrambi questi indici, e soprattutto quello dei decessi (assai più affidabile di quello dei contagiati registrati), siano scesi vicino a zero. Un valore prossimo a zero, infatti, indicherebbe che 2-3 settimane fa il numero di nuovi contagiati era basso, e che presumibilmente la maggior parte dei nuovi contagiati di allora ha cessato di essere contagiosa.
E nelle singole regioni, com’è la situazione?
Estremamente differenziata, a quanto pare. Ci sono regioni (poche, purtroppo) in cui il contagio già 2-3 settimane fa era relativamente vicino a zero: Valle d’Aosta, Umbria, Basilicata, provincia di Bolzano.
E ci sono regioni (quasi tutte grandi) nelle quali la situazione (sempre 2-3 settimane fa) era ancora molto preoccupante sia sul versante dei decessi, sia su quello dei nuovi contagiati: Veneto, Piemonte, Liguria, Toscana.

Colpiscono, in particolare, la situazione del Veneto, in cui i decessi erano al 87.8%, ossia poco al di sotto del picco, e quella del Piemonte, in cui i nuovi contagi erano al 69.2% (valore massimo tra tutte le regioni).
Anche la Liguria desta molta preoccupazione, perché sia il numero di decessi, sia il numero di nuovi contagi, superava il 60%.
Fra le grandi regioni, infine, è il caso di segnalare la posizione della Toscana, che risulta tra le regioni con il numero di nuovi contagi più elevato (5° posto). Quanto alla Lombardia la sua posizione è tuttora preoccupante per il numero di nuovi contagi ma è relativamente rassicurante per quanto riguarda i deceduti.

Che cosa sia accaduto nel frattempo, e come sia la situazione oggi, sfortunatamente non è dato sapere. I dati ufficiali su cui siamo costretti a basarci si comportano come la luce delle stelle: non ci dicono quel che accade nel tempo presente, ma quel che accadeva in un passato più o meno remoto.




Coronavirus, come stanno andando le cose

(bollettino di giovedì 16 aprile, ore 20.00)

A partire da lunedì 30 marzo 2020 la Fondazione David Hume rende pubblico quotidianamente (alle ore 20.30) un nuovo indice sintetico utile per capire come sta procedendo l’epidemia di Coronavirus (per maggiori dettagli vedi oltre).

Risultati
Oggi (giovedì 16 aprile), la temperatura è tornata finalmente a scendere, e lo ha fatto anche in modo apprezzabile: 3 linee, da 37.6 a 37.3.

Questo netto miglioramento, tuttavia, non è dovuto all’andamento dei decessi, che resta molto alto (525, contro i 578 di ieri), bensì a quello delle ospedalizzazioni.
Sia i ricoveri ordinari, sia le terapie intensive, hanno registrato i più massicci decrementi dall’inizio dell’epidemia: -143 i ricoveri in terapia intensiva, addirittura -750 i ricoveri ordinari.
La riduzione settimanale della temperatura (da giovedì a giovedì) resta modesta (poco più di 4 linee), a causa della stagnazione dei giorni scorsi.

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APPENDICE. Il progetto “Temperatura Italia”

A partire da lunedì 30 marzo 2020 la Fondazione David Hume pubblica su questo sito, entro le ore 21, un nuovo indice sintetico che misura la velocità di espansione dell’epidemia. L’indice si basa sui dati comunicati poche ore prima dalla Protezione Civile, ma li rielabora per renderli più stabili e più agevolmente interpretabili.

 Perché abbiamo pensato a un nuovo indice

 L’idea di costruire un indice quotidiano è nata dalla nostra profonda insoddisfazione sia per la natura dei dati della Protezione Civile, sia per il modo in cui essi vengono quotidianamente comunicati e commentati.

A nostro avviso i principali difetti dei dati sono due:

  1. la variazione giornaliera del numero di positivi al test è scarsamente informativa (e spesso fuorviante), perché pesantemente influenzata dal numero di tamponi;
  2. tutte le variazioni giornaliere (non solo quella del numero di positivi) risentono gravemente dei ritardi nella trasmissione e registrazione dei dati.

In sostanza: non è possibile capire se le variazioni osservate riflettono la realtà o le politiche e le procedure messe in atto (quanti tamponi fare, quando trasmettere i dati).

L’indice sintetico di “temperatura” della Fondazione Hume, che misura la temperatura del paziente Italia (ossia l’avanzata dell’epidemia), è costruito per minimizzare l’impatto di questi difetti.

A questo scopo l’indice di temperatura utilizza esclusivamente le tre serie più affidabili e informative (ricoverati con sintomi, ricoverati in terapia intensiva, deceduti) e calcola il tasso di crescita in modo poco sensibile alle fluttuazioni nel processo di trasmissione dei dati.

Come si legge l’indice

L’indice ha una interpretazione estremamente semplice e intuitiva, essendo costruito come un comune termometro che misura la febbre (del malato Italia, nel nostro caso), su una scala da 37 a 42 gradi. Una temperatura di 42° indica che l’epidemia sta galoppando a una velocità assai alta (15% al giorno), come di solito accade solo nelle fasi iniziali di un’epidemia. Una temperatura di 37° gradi indica che l’epidemia è sostanzialmente sopita, perché la velocità di crescita è prossima a zero.

La velocità tendenziale viene ricalcolata ogni giorno, tenendo conto dell’andamento delle ospedalizzazioni e dei decessi degli ultimi tre giorni.




Tamponi. L’Italia ne fa di più degli altri paesi?

La Fondazione Hume pubblica oggi (16 aprile) sul suo sito un confronto internazionale sulla capacità rispettiva di fare tamponi dei principali paesi avanzati.

Il risultato è il seguente:

Come si vede, su 23 paesi solo 4 (fra i quali Francia e Regno Unito) hanno fatto meno tamponi dell’Italia. La Spagna è di poco superiore a noi, negli Stati Uniti la capacità risulta quasi doppia che in Italia, in Germania è 3 volte e mezzo.
Va detto comunque, per completezza e dovere di verità, che i paesi diversi dall’Italia hanno quasi tutti beneficiato, causa il ritardo con cui l’epidemia si è manifestata, della clamorosa marcia indietro dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), che dopo aver a lungo predicato di fare pochi tamponi, il 16 marzo ha repentinamente cambiato idea, e cominciato a predicare di farne il più possibile.
Forse la vera colpa dell’Italia è stata di attenersi alle indicazioni dell’OMS, anziché alle voci di tanti suoi scienziati.

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Nota esplicativa

Secondo il governo l’Italia è il paese del G20 che fa più tamponi per abitante. E’ vero.
Anzi era vero quando, in risposta alle 7 domande del “Messaggero”, il governo rilevava (giustamente) il primato dell’Italia in materia di tamponi.
Ora non è più vero, perché oggi 16 aprile la Germania ha sorpassato l’Italia, con 20.6 tamponi per 1.000 abitanti, contro i nostri 19.5. E questo nonostante l’epidemia, in Germania, sia partita con più di 3 settimane di ritardo rispetto all’Italia.

La scelta dei paesi del G20 come termine di paragone solleva due problemi:
a) nella maggior parte dei paesi del G20 l’epidemia non ha ancora raggiunto neppure la soglia di 10 decessi per milione di abitanti (i    paesi del G20 significativamente interessati dall’epidemia sono solo 4, oltre all’Italia).
b) il confronto appropriato non è fra numero di tamponi per abitante adesso, ma in momenti comparabili dell’epidemia (ad esempio dopo 10 giorni, dopo 2 settimane, dopo un mese, ecc.).

Un modo di risolvere questi due problemi è il seguente:
a) considerare tutte le società avanzate (Oecd o Unione Europea) per cui esistono dati sui tamponi, e nelle quali si sia superata la soglia di allerta dei 10 morti per milione di abitanti;
b) confrontare il numero di tamponi di un paese con quello dell’Italia nel medesimo stadio dell’epidemia.
Il risultato è il grafico riportato sopra.