Il cambio di paradigma epocale dell’OMS nella trasmissione degli agenti patogeni respiratori.

Tutte le verità passano attraverso tre stadi. Primo, vengono ridicolizzate. Secondo, vengono violentemente contestate. Terzo, vengono accettate dandole come evidenti. (Arthur Schopenhauer)

All’inizio del turbolento 2020, l’umanità si è trovata a fronteggiare un nemico nuovo, un virus sconosciuto che ha scatenato il panico globale. Nelle prime fasi della pandemia da SARS-CoV-2, ci si è concentrati sui metodi tradizionali di igiene personale e disinfezione delle superfici, nell’illusione che queste pratiche potessero arrestare la diffusione del virus. Eppure, il vero veicolo di contagio si nascondeva nell’aria che respiravamo. La comunità scientifica, guidata da un gruppo di 36 scienziati, ha impiegato mesi per avere dall’OMS una timida apertura sull’importanza cruciale della trasmissione per via aerea nell’epidemiologia del COVID-19. Ma da noi in Italia, le nostre autorità sanitarie hanno continuato inutilmente per oltre due anni (nonostante qualche avvertimento dell’OMS) a sanificare superfici, ad imporre con ritardo l’uso delle mascherine (senza distinzione tra filtri facciali e mascherine chirurgiche), ad applicare unicamente il distanziamento ed il famoso Green Pass come misura preventiva negli ambienti chiusi. La risultante di tutti questi interventi era (ed è) di gran lunga inferiore agli interventi ingegneristici da attuare se avessero accettato la via aerea di trasmissione del COVID-19. Il nostro Comitato Tecnico Scientifico irresponsabilmente non ha applicato il principio di precauzione (che impone misure protettive anche nella semplice ipotesi – non prova – di rischi per la popolazione o l’ambiente) causando decine di migliaia di casi, ricoveri e morti in più, con un sovraccosto economico enorme nella gestione della pandemia. La recente pubblicazione dell’OMS dal titolo “Global technical consultation report on a proposed descriptive framework for the approach to pathogens that transmit through the air” sancisce un cambio di paradigma epocale all’interno della comunità medica: sotto la guida di una ventina di esperti mondiali con competenze multidisciplinari (quelle negate nei tre anni del CTS che ha visto la partecipazione di membri appartenenti alla sola comunità medica e addirittura sbeffeggiate dai nostri virologi) è stata sancita la trasmissione aerea (il famoso vecchio aerosol) come via primaria di trasmissione per tutti gli agenti patogeni respiratori, dal SARS-CoV-2 all’influenza, dal morbillo alla varicella. Questa revisione ha portato alla accettazione da parte dell’OMS del concetto di particelle infettive respiratorie (IRPs), eliminando la vecchia distinzione tra “aerosol” e “droplets” e mettendo in luce l’importanza della ventilazione degli ambienti chiusi nella prevenzione delle malattie respiratorie. Per aiutare questa nuova comprensione della trasmissione virale, l’OMS ha inoltre pubblicato ARIA (Indoor Airborne Risk Assessment), una web app basata su un tool pubblicato dall’Università di Cassino nel 2020 (AIRC, Airborne Infection Risk Calculator), che consente di valutare il rischio di contagio da COVID-19 in base a diversi fattori ambientali e comportamentali. Grazie alla collaborazione interdisciplinare tra esperti di diversa provenienza, è stato possibile integrare i fattori fisiologici, virali ed ambientali ed ogni responsabile di spazi pubblici potrà quantificare il rischio di infezione e identificare le misure ingegneristiche preventive più efficaci per garantire una effettiva protezione dal contagio.  Il riconoscimento dell’OMS della trasmissione aerea come modalità principale di contagio rappresenta un importante progresso nella lotta contro le malattie respiratorie, anche se è fondamentale comprendere che non tutti gli agenti patogeni si trasmettono allo stesso modo e che le misure preventive devono essere adattate di conseguenza. Purtroppo, nonostante ci fosse consapevolezza nella comunità scientifica, poco è stato fatto per migliorare la qualità dell’aria negli ambienti chiusi. La maggior parte delle persone continua a trascorrere gran parte del tempo in ambienti con ventilazione insufficiente, esponendosi così a rischi per la salute non solo legati al COVID-19, ma anche ad altre patologie respiratorie e al degrado delle capacità cognitive. Per affrontare questa sfida, è necessario un impegno politico e finanziario, oltre a normative internazionali e nazionali per garantire standard minimi di qualità dell’aria negli ambienti chiusi. Così come abbiamo ottenuto progressi significativi nella sicurezza dell’acqua e nella riduzione dell’inquinamento atmosferico all’aperto, dobbiamo ora concentrarci sul miglioramento della qualità dell’aria negli ambienti chiusi, riconoscendo che questa è una delle sfide più urgenti per la salute pubblica del nostro tempo. La scienza è stata soffocata fin troppo da un dogma delle nostre autorità sanitarie cristallizzato dalla fine dell’800 (i famosi droplets). E nel nome di questo dogma non abbiamo affrontato i rischi degli ambienti chiusi, il vero tallone d’Achille delle nostre società, là dove trascorriamo il 90% del nostro tempo ed avviene la quasi totalità delle infezioni. Ma con l’ostinazione e le motivazioni di chi si sente supportato dal sapere scientifico e dall’esempio di chi ci ha preceduto, la nostra comunità scientifica non ha mai interrotto il tentativo di diffondere e condividere il sapere riuscendo in un risultato fondamentale per affrontare le future pandemie.

[Prof. Giorgio Buonanno Università di Cassino e del Lazio Meridionale Queensland University of Technology, Brisbane, Australia]




Sui meccanismi di trasmissione di SARS-COV-2 (osservazioni critiche sull’articolo del prof. Saccani)

Con riferimento all’articolo dal titolo ”Analisi della trasmissione di SARS-CoV-2: influenza delle condizioni termoigrometriche rispetto al rischio di diffusione del contagio” di C. Saccani et al., avrei piacere di condividere alcune osservazioni che limiterò, per motivi di tempo, alla parte iniziale.

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Lo studio prende le mosse dalla constatazione che, allo stato dell’arte, manca una terminologia rigorosa e univocamente accettata nella letteratura tecnico-scientifica con riferimento alle modalità con cui può avvenire la trasmissione del contagio di SARS-CoV-2 e, in particolare, alle modalità di trasporto cosiddette “droplet” e “airborne”.

La trasmissione di agenti patogeni respiratori è una tematica dibattuta dai tempi degli antichi filosofi (https://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=3904176) ma da quasi 100 anni (si vedano il lavori di Wells del 1934) è nota per esperti di aerosol e ingegneri ambientali la dinamica delle goccioline emesse da un soggetto durante una attività metabolica e respiratoria. Non è accettabile (perché non è vero) affermare che non esiste una terminologia rigorosa a riguardo.

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Partendo dalla definizione di una terminologia rigorosa ed univoca, attraverso l’applicazione un nuovo modello per lo studio della propagazione del contagio, lo studio, sulla base di valutazioni fisico-matematiche, dà ragione di come il contagio avvenga solo mediante goccioline, sole a poter veicolare efficacemente il virus.

E’ curioso che gli autori prima parlino di assenza di terminologia rigorosa e poi affermano che il contagio avvenga solo mediante goccioline. Cosa intendono per goccioline? Per gli studiosi di aerosol le goccioline altro non sono che particelle liquide, indipendentemente dalla loro dimensione. Per l’OMS, in una definizione sbagliata ormai corretta sulla base delle interazioni con la comunità scientifica degli studiosi dell’aerosol e degli ingegneri, le goccioline erano particelle con traiettoria balistica, soggette alla gravità, con dinamiche non dipendenti dall’ambienti circostante e con diametro > 5 µm.

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Infatti, la gittata di una goccia emessa da un soggetto infetto, ovvero la distanza di sicurezza da mantenere per minimizzare il rischio di contagio, dipende da numerosi parametri fra i quali, di notevole importanza, il grado igrometrico dell’ambiente in cui questa, la goccia, si trova: da esso, infatti, dipende la velocità di evaporazione e, quindi, la sussistenza della goccia.

Pertanto, lo studio dimostra che il controllo del trasporto del contagio non può essere affrontato in assenza di controllo del grado igrometrico dell’ambiente in cui la goccia si muove: infatti, la definizione stessa di distanza di sicurezza perderebbe di significato in quanto la gocciolina potrebbe “sopravvivere” nell’ambiente con elevata umidità, anche per tempi lunghi e realizzando percorsi casuali, qualora le goccioline fossero al di sotto di certe dimensioni.

Come proposto da W. Wells quasi 100 anni fa, nel continuum di diametri delle particelle emesse è possibile ipotizzare due comportamenti differenti (in realtà il problema è molto più complesso perché viene emessa una nuvola di gas turbolento multifase e non singole particelle). Le goccioline più piccole (diametri inferiori a 100 µm), anche a seguito della rapidissima evaporazione tenderanno a galleggiare e a “riempire” l’ambiente chiuso circostante seguendo i moti convettivi dell’ambiente e percorrendo distanze non prevedibili solo sulla base della velocità di emissione. Le goccioline più grandi invece saranno soggette alla gravità (con scarsa influenza della evaporazione) e cadranno al suolo in prossimità del soggetto emettitore. Detto questo, trovo il testo completamente errato.

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A conclusione dello studio, è riportato un caso di studio che dimostra non solo la correlazione fra grado igrometrico e distanza di sicurezza ma anche che la trasmissione del contagio di tipo airborne, ovvero tramite virioni rilasciati a seguito di evaporazione della goccia, in virtù della loro bassissima concentrazione e del moto di tipo browniano che li caratterizza, abbia una probabilità del tutto trascurabile rispetto alla trasmissione dell’infezione da SARS-CoV-2.

 Ci sono una serie di errori condensati in queste poche righe. Il caso di studio non può dimostrare nulla perché parte da ipotesi sbagliate (al massimo è coerente con le ipotesi), non può esistere concettualmente una correlazione tra umidità (che vale per goccioline piccole, aerosol) e distanza di sicurezza per goccioline grandi (quelle definite dall’OMS come droplets), non esiste una dinamica dei virioni “nudi” con particelle di dimensioni ultrafini ma il risultato finale dell’evaporazione porta ai cosiddetti droplet nuclei con diametri attorno a 1-4 µm, non si capisce da dove viene la bassissima concentrazione e i moti browniani e soprattutto la presunzione che il contagio non dipenda dall’aerosol.

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Modalità di trasporto cosiddetta airborne: definita come quella modalità di trasporto in cui la particella solida che ospita il virione risulti aerotrasportata, ovvero, il cui movimento sia conseguente al moto della corrente fluida che la trasporta.

La massa virale è parte del nucleo di una particella liquida (gocciolina) che conserva anche a seguito della evaporazione dimensioni micrometriche. Non si capisce quale sarebbe la particella solida che trasporta il virione.

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Trasmissione del contagio attraverso aerosol, in accordo alla definizione fornita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS): “Aerosol transmission refers to the possibility that fine aerosol particles,…., which are generally considered to be particles <5μm in diameter, remain airborne for prolonged periods and be transmitted to others over distances greater than 1 m” (OMS, 2020).

Dalle due definizioni non è chiaro se ci si riferisca a particelle così fini da rimanere in sospensione in aria calma come conseguenza di moti Browniani, ovvero senza componente di moto del fluido di trasporto, oppure se le definizioni includano anche particelle di dimensioni più grandi ed in movimento in sospensione fluida come conseguenza della velocità di trascinamento della corrente che le trasporta.

La definizione dell’OMS era sicuramente errata (si veda quanto riportato in https://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=3904176) ma l’errore storico è stato quello di associare la condizione di trasmissione aerea a quella di maggiore efficacia di deposizione nella zona tracheo-bronchiale (5 µm). I moti Browniani non sono parte di questo discorso.

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Chi scrive ritiene che la terminologia migliore, in quanto rigorosa, univoca e più adatta allo studio dei modelli che si riferiscono alla propagazione ambientale delle particelle, sia la seguente:

Airborne: si definisce come tale il trasporto di particelle solide in sospensione fluida nell’ambiente considerato, comunque esse siano trasportate, ossia indipendentemente dalla velocità di trasporto della corrente fluida che le contiene, comprendendo quindi anche il trasporto di particelle ultrafini soggette a moti browniani;

Droplet: si definisce come tale il trasporto di goccioline nell’ambiente esaminato, indipendentemente dalla dimensione e comunque esse siano

Per aerosol si intende una sospensione metastabile di particelle solide o liquide disperse in un fluido. Droplet è una particella liquida. Queste sono definizione rigorose ed accettate ed autori non del settore non possono pensare di proporre definizioni (queste si) senza senso.

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Si fa presente che molta della letteratura scientifica attuale, in particolare per la trasmissione del virus SARS-CoV-2, fa riferimento alla modalità cosiddetta “airborne” anche per indicare emissione da parte dei soggetti infetti di goccioline di secrezioni ultrafini (dimensioni <5 micron) (come ad esempio nella lettera firmata da 239 ricercatori indirizzata alla WHO) (Morawska et al. 2020) [239 ricercatori]. Ciò provocherebbe confusione quando ci si addentrasse nell’analisi termo fluidodinamica che segue in quanto la gocciolina rappresenta una massa potenzialmente variabile, in funzione delle caratteristiche ambientali, mentre non è così per la particella solida.

Devo dire che ho fatto fatica a capire quanto riportato, nonostante sia stato uno dei 36 studiosi che ha scritto la lettera poi firmata da 239 studiosi. Facciamo riferimento alla trasmissione aerea perché questa è la modalità di trasmissione. Riguarda particelle in emissione fino a diametri di circa 100 µm (e non 5 µm come per l’OMS). E la nostra lettera ha provocato talmente confusione (!?!) che l’OMS ha cambiato approccio in modo epocale e ha riconosciuto la trasmissione aerea.

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La classificazione che individua la trasmissione droplet indipendentemente dalla dimensione delle goccioline, esclude in maniera chiara e univoca il particolato solido come vettore di potenziale contagio (Bontempi, 2020; Domingo et al., 2020).

Qui ho capito le mie difficoltà di comprensione e concludo i miei commenti. Gli autori fanno riferimento al fantomatico trasporto del virus con il particolato, ovvero quella dinamica cavalcata in modo speculativo dalla SIMA (Società Italiana Medici dell’Ambiente) e da altri autori che ipotizzava, senza alcuna competenza della materia, il contagio all’aperto su grandi distanze (https://www.scienzainrete.it/articolo/inquinamento-e-covid-due-vaghi-indizi-non-fanno-prova/stefano-caserini-cinzia-perrino). Una sorta di ritorno alla teoria dei miasmi…

In conclusione ritengo che l’articolo pubblicato sul sito della Fondazione Hume non abbia basi scientifiche e presenti numerosi errori logici e scientifici.

Prof. Giorgio Buonanno

Università di Cassino e del Lazio Meridionale

Queensland University of Technology, Brisbane, Australia




La gestione della trasmissione del SARS-CoV-2 e del conseguente rischio contagio: il punto di vista di un ingegnere

Potrebbe sembrare strano che un ingegnere possa discutere della trasmissione del SARS-CoV-2 ed intervenire direttamente nel dibattito pubblico sulle azioni intraprese dalle Autorità Sanitarie a tutela della salute pubblica con riferimento alla pandemia del COVID19.

Purtroppo, però, nonostante i continui tentativi personali e di tutta la mia comunità scientifica (sono uno studioso dell’aerosol e della qualità dell’aria) con i quali abbiamo cercato di condividere le nostre conoscenze, la comunità medica e le Autorità Sanitarie hanno negato e negano tuttora il contributo della trasmissione aerea dei virus, il cosiddetto aerosol. La visione ottocentesca dell’OMS e delle Autorità Sanitarie Nazionali, basata sulle conclusioni errate degli esperimenti di Flugge (1897) e Chapin (1914) ha comportato un approccio alla pandemia estremamente confuso, ascientifico e non adeguato al livello attuale delle nostre conoscenze. Basti ricordare solo alcuni episodi:

  • Marzo 2020. L’OMS, anche tramite la dr. Maria Van Kerkhove, COVID19 technical lead, correla la trasmissione del SARS-CoV-2 unicamente ai cosiddetti droplets e attraverso le superfici. Quali sono state le conseguenti azioni intraprese e applicate anche in Italia? Distanziamento e lavaggio delle mani. La frenesia iniziale della sanificazione legata alla trasmissione per superfici è oggi (giustamente) scomparsa dal momento che questo tipo di trasmissione (come noto nelle comunità scientifiche) ha un ruolo assolutamente marginale.
  • Il 28 marzo 2020, due mesi dopo che l’OMS aveva dichiarato il COVID-19 un’emergenza sanitaria globale, l’agenzia ha trasmesso un messaggio di salute pubblica su Twitter e Facebook. “FACT: # COVID19 IS NOT AIRBORNE”, etichettando le affermazioni contrarie come disinformazione. Ma le prove hanno rapidamente stabilito che il virus viene trasmesso per via aerea e i ricercatori hanno criticato aspramente l’agenzia.
  • Aprile 2020. La Protezione Civile tramite il dr. Borrelli dichiara l’inutilità delle mascherine chirurgiche per contenere l’epidemia. Questo approccio viene direttamente dall’OMS che ha avuto un atteggiamento molto tiepido inizialmente nell’uso di dispositivi di protezione individuale, anche rispetto al personale sanitario che è stato esposto senza la protezione adeguata dei filtri facciali, unici dispositivi di protezione individuale realmente efficaci rispetto alla trasmissione aerea.
  • Maggio 2020. Nelle “Indicazioni ad interim per la prevenzione e gestione degli ambienti indoor in relazione alla trasmissione dell’infezione da virus SARS-CoV-2. Versione del 25 maggio 2020, Gruppo di Lavoro ISS Ambiente e Qualità dell’Aria Indoor 2020, ii, 13 p. Rapporto ISS COVID-19 n. 5/2020 Rev. 2” dell’ISS, la trasmissione aerea del COVID19 non viene considerata. Tutti i protocolli, sui quali si sono basati gli investimenti delle attività commerciali per garantire la sicurezza negli esercizi commerciali, si sono conseguentemente rivelati inadeguati a contenere i contagi.
  • Giugno 2020. L’OMS, tramite la dr. Maria Van Kerkhove, dichiara che “la diffusione del COVID19 degli asintomatici è molto rara”.
  • Luglio 2020. A seguito di una lettera sottoscritta da 239 scienziati, l’OMS è costretta a dichiarare “possibile” la trasmissione aerea del COVID19. Al di là del documento però, nessuna azione concreta è intrapresa per mitigare questa via di contagio.
  • Agosto-Settembre 2020. La seconda ondata viene associata in Italia a dei presunti comportamenti non virtuosi: in realtà erano leciti per il CTS e a fine agosto l’incidenza in Italia era di gran lunga inferiore ad altri paesi europei come Francia, U.K., Spagna, … Il dr. Fauci, noto virologo di fama mondiale ammette l’errore della sua comunità scientifica nel trascurare la trasmissione aerea.
  • Settembre 2020. Si impone l’utilizzo delle mascherine all’aperto. Dal punto di vista scientifico questa misura risulta non necessaria dal momento che il distanziamento è sufficiente per avere rischi trascurabili negli ambienti aperti.
  • Novembre 2020. Il 9 novembre il Ministero dell’Istruzione sulla base della riunione del CTS del giorno precedente impone l’uso obbligatorio delle mascherine chirurgiche per gli studenti seduti al banco. Fino ad allora, quindi, soggetti esposti in un ambiente chiuso potevano erroneamente considerarsi in sicurezza se distanziati ed indipendentemente dalle condizioni di ventilazione.
  • Febbraio 2021. La dr. Maria Van Kerkhove per la prima volta parla di respiratory droplets (aerosol) e della ventilazione. Non c’è però nessun aggiornamento nelle posizioni ufficiali dell’OMS.
  • Marzo 2021. Si impone una distanza di sicurezza maggiore (fino a 2 m) perché le varianti del COVID19 sono più infettive. Questa misura non ha alcuna valenza scientifica.

Anche se gli errori sembrano tanti e su diversi fronti, essi hanno in realtà un’unica radice: il non aver considerato la trasmissione aerea del COVID19, con conseguenti:

  1. incapacità nel controllo dei contagi e impossibilità del tracciamento;
  2. inadeguatezza delle misure di protezione sia per il personale sanitario che per i cittadini;
  3. interventi non correlati al rischio effettivo;
  4. protocolli non adeguati con costi sostenuti elevati;
  5. incapacità di “convivere” con il virus.

E’ evidente che una pandemia richiede oggi un approccio multidisciplinare, con competenze anche nei settori della scienza dell’aerosol, dell’ingegneria ambientale e dell’impiantistica con riferimento alla ventilazione. Purtroppo queste competenze sono rimaste sempre fuori dal CTS. Eppure il contributo sarebbe stato molto importante. Abbiamo infatti definito l’emissione del carico virale di un soggetto infetto anche asintomatico1, sviluppato tool per la stima del rischio in ambienti chiusi ([1],  [2]), proposto soluzioni ingegneristiche per convivere realmente con il virus, con la finalità di ridurre ma non di interrompere le attività della nostra società2.

Cosa avrebbero potuto fare quindi gli ingegneri?

Il contributo degli ingegneri pre-vaccino: la gestione del rischio in una classe scolastica

La scuola rappresenta ancora oggi uno dei settori su cui si concentra il dibattito pubblico. C’è il partito del pro-apertura (con in testa molti virologi/immunologi) e chi ritiene sia un ambiente a rischio e che le attività possano essere sostituite con la famosa DAD (didattica a distanza). Al più grande termodinamico della storia, Lord Kelvin, si attribuisce la seguente citazione “Quando puoi misurare ciò di cui stai parlando, ed esprimerlo in numeri, puoi affermare di saperne qualcosa; se però non puoi misurarlo, se non puoi esprimerlo con numeri, la tua conoscenza sarà povera cosa e insoddisfacente…”. Mai citazione è stata più calzante come nel caso in esame dove in realtà si discute di opinioni e non di certezze.

Per affrontare questo problema definiamo il seguente scenario:

  1. classe scolastica di 50 m2;
  2. 25 studenti + 1 insegnante presenti;
  3. tempo di esposizione degli studenti 5 ore, dell’insegnante 1 ora (di spiegazione);
  4. ventilazione naturale (come nella totalità delle scuole italiane);

Per la valutazione del rischio si farà riferimento all’AIRC tool sviluppato dall’Università di Cassino, dalla Queensland University of Technology (Australia) e dalla New York City University.

Il caso peggiore risulta quello di un insegnante infetto che spiega (a voce alta) per un’ora. Questa situazione rappresenta la condizione delle nostre classi scolastiche fino al 9 novembre scorso (scenario di riferimento), senza alcun intervento sulla ventilazione, attenuazione dell’emissione o dispositivi di protezione personale durante la permanenza in classe.

In tabella sono riportati i valori di Revento (numero di persone infettate nel caso di insegnante infetto) e gli effetti su questo parametro in funzione dei possibili interventi di mitigazione del rischio.

Rispetto alla condizione di riferimento, le misure intraprese dalle Autorità Sanitarie hanno riguardato essenzialmente l’adozione di mascherine chirurgiche con una riduzione del parametro Revento a 4.2, valore assolutamente inaccettabile. L’eventuale utilizzo di filtri facciali comporterebbe un Revento = 1.6. Questi due valori, corrispondenti a due definiti livelli di rischio, possono essere raggiunti (e migliorati) con scelte ingegneristiche: un utilizzo di un purificatore dell’aria comporterebbe livelli di rischio migliori (2.5) rispetto alle mascherine chirurgiche, mentre con un impianto di ventilazione meccanica controllata si migliorerebbe (1.4) la situazione relativa all’uso di filtri facciali. Le scelte ingegneristiche avrebbero anche un ulteriore vantaggio: il controllo delle condizioni ambientali rispetto all’aleatorietà delle condizioni di rischio con i dispositivi di protezione individuale delegata alla capacità di uso di persone non esperte. L’obiezione del mondo medico alle scelte ingegneristiche si è incentrata sulla difficoltà di investire somme ingenti per la sicurezza. Ed allora, quanto costerebbero queste soluzioni?

Prendendo a riferimento i costi definiti dal governo italiano per la mascherina chirurgica (0.50 €) e per i filtri facciali (1.50 €), il costo annuale sarebbe di 2500 €/anno e di 7500 €/anno per classe. Ed i costi delle scelte ingegneristiche? Un purificatore in grado di fornire 3 ricambi/h per una classe scolastica ha un costo di circa 1000 € comprensivo dei costi di esercizio, quello di un impianto di ventilazione meccanica controllata (riferito ad una classe, con costi che si riducono all’aumentare del numero di classi) attorno ai 5000 €. Queste cifre ci fanno capire due aspetti importanti:

  1. a parità di rischio le scelte ingegneristiche sono più convenienti economicamente;
  2. il costo della scelta ingegneristica è in realtà un investimento dal momento che il purificatore o l’impianto avrebbe costi (solo di esercizio) estremamente ridotti negli anni successivi.

La ventilazione da sola però non è sufficiente per “mettere” in sicurezza una classe scolastica. Bisogna infatti prima di tutto ridurre l’emissione della sorgente (in questo caso far parlare a bassa voce il docente) e poi agire sulla ventilazione2. I valori corrispondenti di rischio di queste azioni combinate che prevedono l’utilizzo di un microfono (100 €) sono ben al di sotto di 1.

E se non ci fosse la possibilità di investire nella ventilazione meccanica? Potremmo pensare di aprire le finestre (aerazione) ma in modo ingegneristico, controllato. Infatti, possiamo monitorare il livello di ventilazione con economici sensori di concentrazione di CO2 (costo attorno ai 100 €). La CO2 viene emessa nell’atto respiratorio insieme alla goccioline che trasportano il virus e quindi l’accumulo di CO2 indica un potenziale rischio di accumulo di carica virale: in funzione dei valori di CO2, con dei valori di alert, si possono aprire le finestre realizzando una ventilazione (aerazione) praticamente gratis4.

Il contributo degli ingegneri post-vaccino: la vera convivenza con il virus

Dal punto di vista ingegneristico, il vaccino rappresenta una delle misure da intraprendere per controllare l’epidemia. Sappiamo che l’immunità di gregge, per un virus con questa contagiosità, sarà impossibile da raggiungere. Ed allora potremmo tornare alla nostra vita pre-COVID19, possiamo tornare a vivere i nostri ambienti indoor con lo stesso stile di vita? Prendiamo a titolo di esempio un ristorante con 100 persone con un tempo di esposizione di circa 1.5 ore (condizioni pre-COVID19). Nella figura è riportato il valore di Revento, ovvero quante persone infetterebbe un soggetto infetto presente al variare della ventilazione e del tasso di vaccinazione. Un ristorante con ventilazione naturale (0.5 h-1) avrebbe oggi (100% suscettibili) un Revento pari a 6, ovvero la persona infetta comporterebbe la trasmissione dell’infezione a 6 persone suscettibili. Con una ventilazione estremamente elevata (6 h-1) Revento sarebbe ancora ben superiore ad 1. Con il 50% di presenti immunizzati, in ventilazione naturale, Revento sarebbe superiore a 3: in realtà nella condizione di ventilazione naturale solo percentuali di immunizzati superiori al 90% renderebbero sicuro l’ambiente ristorante ai fini della propagazione dell’infezione. Ma se la percentuale di immunizzati arrivasse al 70%? Ecco allora che con la ventilazione (attorno a 3 h-1) si può garantire Revento < 1 non abbandonando il nostro stile di vita.

Questi esempi dimostrano come gli studiosi dell’aerosol e gli ingegneri avrebbero potuto e potrebbero ancora contribuire a contenere i contagi rendendo anche più giuste e più economiche le misure di protezione da adottare.

Bibliografia

1 Mikszewski, A., Stabile, L., Buonanno, G., Morawska, L., The airborne contagiousness of respiratory viruses: a comparative analysis and implications for mitigation, Emerging Microbes and Infections, under review.

2 Morawska, L., Tang, J.W., Bahnfleth, W., Bluyssen, P.M., Boerstra, A., Buonanno, G., Cao, J., Dancer, S., Floto, A., Franchimon, F., Haworth, C., Hogeling, J., Isaxon, C., Jimenez, J.L., Kurnitski, J., Li, Y., Loomans, M., Marks, G., Marr, L.C., Mazzarella, L., Melikov, A.K., Miller, S., Milton, D.K., Nazaroff, W., Nielsen, P.V., Noakes, C., Peccia, J., Querol, X., Sekhar, C., Seppänen, O., Tanabe, S.-I., Tellier, R., Tham, K.W., Wargocki, P., Wierzbicka, A., Yao, M., 2020. How can airborne transmission of COVID-19 indoors be minimised? Environment International, 142, art. no. 105832, DOI: 10.1016/j.envint.2020.105832

3 Morawska, L., Buonanno, G. The physics of particle formation and deposition during breathing. Nat Rev Phys, 2021.

4 Stabile, L., Pacitto, A., Mikszewski, A., Morawska, L., Buonanno, G., 2021, Ventilation procedures to minimize the airborne transmission of viruses at schools, Building and Environment, under review.




La trasmissione aerea del COVID19: il grande errore commesso

Dopo oltre un anno dall’inizio della pandemia da coronavirus SARS-CoV-2, per l’Italia sembra ancora esserci un lungo percorso per tornare alla normalità. Si susseguono le chiusure di attività fondamentali come le scuole, quelle di numerose attività commerciali nonché la restrizione di libertà individuali. Stiamo assistendo infatti ad un nuovo incremento del numero di contagi con conseguente aumento degli ospedalizzati e ricoverati nelle terapie intensive. L’andamento della diffusione di questo virus sembra seguire al momento quello della “spagnola” del lontano 1918, oltre un secolo fa. Sorge allora spontanea una domanda: come è possibile che con tutte le nostre conoscenze scientifiche nel campo medico ed epidemiologico non siamo riusciti a controllare l’epidemia (subendo di fatto la diffusione del virus), se non a costo di drammatici interventi di chiusura con costi sociali ed economici elevatissimi?

Se infatti si può forse giustificare l’impatto della prima ondata nel marzo 2020 (l’Italia è stata il primo paese europeo a ritrovarsi il virus in casa), non trova giustificazioni l’assoluta mancanza di controllo sulla seconda ondata. Infatti, a seguito di un durissimo lockdown, ci si è ritrovati in Italia nell’estate 2020 con una incidenza del virus estremamente ridotta e con la possibilità di attuare azioni di tracciamento. Purtroppo, però, a partire da settembre 2020 abbiamo assistito ad un aumento inarrestabile dei contagi (nonostante la stesura di rigidi protocolli da parte delle Autorità Sanitarie), fermato solo con l’introduzione di “zone rosse” e con la conseguente impossibilità del tracciamento: oggi si affaccia la terza ondata.

Perché quindi siamo così deboli nei confronti della pandemia? E’ evidente che non siamo in grado di limitare i contagi, di convivere (come ci avevano detto) con il virus. Cosa non conoscono le nostre autorità sanitarie?

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha sempre dichiarato che il virus si può trasmettere secondo due vie: attraverso il contagio indiretto per superfici o quello diretto a breve distanza con goccioline pesanti (droplets). Le conseguenti misure di protezione “coprono” queste due modalità di trasmissione. Questa conoscenza però non spiega tra l’altro perché i contagi avvengano quasi esclusivamente negli ambienti chiusi e come un soggetto infetto possa infettare numerose persone contemporaneamente (eventi di superspreading).

Nel luglio del 2020, 239 scienziati internazionali hanno portato il problema della trasmissione aerea del COVID-19 sulla scena mondiale1. Dalla pubblicazione della loro lettera sono stati compiuti alcuni progressi ottenendo, tra l’altro, il riconoscimento dell’Organizzazione Mondiale della Sanità2. Ciò tuttavia non ha comportato alcun miglioramento significativo nella protezione nei luoghi pubblici e di lavoro per gli operatori sanitari ed altri lavoratori essenziali. Continua infatti a mancare la messaggistica pubblica per evidenziare il rischio di trasmissione aerea negli ambienti condivisi e si concentra ancora oggi l’informazione sulla igiene delle mani e sul distanziamento. Solo pochi giorni fa uno dei più eminenti medici italiani ha dichiarato che la maggiore infettività delle varianti del virus comporterebbe la necessità di imporre un distanziamento maggiore (fino a 2 metri) rispetto a quello attuale: è evidente l’assoluta non conoscenza della trasmissione aerea da parte della comunità medica.

La rapida diffusione globale del COVID-19 ha innescato una ricerca interdisciplinare senza precedenti. I contributi provenienti dai settori dell’ingegneria, delle scienze della vita, della scienza dell’aerosol, della medicina, dell’igiene professionale e dell’epidemiologia stanno guidando un cambiamento di paradigma nella nostra comprensione della trasmissione dei virus respiratori attraverso l’aerosol, incluso anche il COVID-19. L’evidenza è ora schiacciante: la trasmissione aerea del COVID-19 è evidenza scientifica ed è un’importante via di trasmissione.3-6 Ciò è stato elegantemente riassunto da Fang et al.: “forse la più grande sorpresa sul problema della diffusione aerea di SARSCoV2 è che è stato sorprendente per così tante persone“.4

Gli aerosol carichi di virus infettano frequentemente i soggetti suscettibili nelle immediate vicinanze dove sono più concentrati, con una dinamica simile al fumo. In ambienti con ventilazione non ottimale, gli aerosol infettivi possono accumularsi nell’aria dell’ambiente e raggiungere concentrazioni pericolose. Le strategie di controllo mirate a contrastare la trasmissione, come il distanziamento fisico e le mascherine, sono fondamentali per ridurre il rischio di trasmissione di aerosol a corto raggio. Per ridurre la trasmissione aerea negli ambienti chiusi però, la ventilazione e la filtrazione dell’aria sono misure aggiuntive fondamentali, poiché gli aerosol emessi si accumulano in luoghi scarsamente ventilati. Sappiamo che molti luoghi di lavoro, edifici e residenze nelle nostre comunità hanno una ventilazione inferiore agli standard.

Il riconoscimento della trasmissione aerea mette in discussione anche le direttive per i dispositivi di protezione individuale per gli operatori sanitari e altri lavoratori essenziali. La maggior parte degli operatori sanitari e dei lavoratori essenziali continua a utilizzare le “precauzioni contro le goccioline e il contatto”, indossando mascherine chirurgiche mal adattate, anche in ambienti ad alto rischio.

Sulla base delle attuali prove scientifiche, le autorità sanitarie dovrebbero pertanto:

  • aggiornare le linee guida per affrontare il rischio di trasmissione aerea del COVID-19;
  • promuovere strategie per ridurre il rischio di trasmissione nelle abitazioni private, nei luoghi pubblici e nelle aziende attraverso messaggi chiari sulla salute pubblica e istruzione;
  • supportare gruppi di lavoro sulla valutazione della ventilazione e sull’ammodernamento di strutture pubbliche essenziali come scuole e case di cura a lungo termine;
  • assicurarsi che a nessun operatore sanitario ad alto rischio sia negato l’accesso a un dispositivo di protezione idoneo (FFP2, N95, elastomerico o equivalente). La valutazione del rischio da parte del personale sanitario dovrebbe andare oltre la presenza di “procedure che generano aerosol” e dovrebbe prendere in considerazione comportamenti che generano aerosol (es. urla, canti, tosse, starnuti, respiro pesante), vicinanza al paziente, tempo trascorso con il paziente, stima della qualità dell’aria…7
  • raccomandare e distribuire monitor di anidride carbonica (CO2) come misura sostitutiva di una ventilazione adeguata per ridurre il rischio di trasmissione a lungo raggio nell’aria negli ambienti condivisi (durante un’epidemia di tubercolosi, le concentrazioni di CO2 superiori a 1000 ppm hanno aumentato significativamente il rischio.8 Il miglioramento della ventilazione dell’edificio a una concentrazione di CO2 di 600 ppm ha fermato l’epidemia sul nascere);
  • includere unità portatili di filtrazione dell’aria (HEPA) o dispositivi similari (purificatori) per filtrare i bioaerosol all’interno quando la ventilazione non è ottimale;
  • coinvolgere ingegneri e altri specialisti della ventilazione per sviluppare standard di ventilazione per i luoghi chiusi e integrare questi standard nelle linee guida di riapertura per le attività con un rischio maggiore di trasmissione di aerosol (ad esempio ristoranti, bar e palestre).

I “riformatori sanitari” della sanità pubblica di fine Ottocento aprirono la strada al superamento di malattie trasmesse dall’acqua come il colera e la febbre tifoide attraverso investimenti nei sistemi fognari e negli impianti di trattamento delle acque.9 Sono certo che c’era chi pensava che il compito fosse insormontabile. E’ in grado la comunità scientifica degli studiosi dell’aerosol e degli ingegneri di fornire le soluzioni tecniche necessarie? Sicuramente si, dal momento che conosciamo tanto sia della deposizione di particelle durante l’inspirazione nel nostro apparato respiratorio che della generazione di goccioline durante l’espirazione10.

Quando verrà scritta la storia della risposta dell’Italia al COVID-19, spero che il nostro paese sia visto ancora una volta come un innovatore della salute pubblica e non come un paese che abbia rifiutato l’evidenza scientifica. Forse bisognerebbe cominciare a dire che i veri negazionisti risiedono all’OMS…

Bibliografia

  1. Morawska L, Milton D. It Is Time to Address Airborne Transmission of Coronavirus Disease 2019 (COVID-19) Clinical Infectious Diseases, Volume 71, Issue 9, 1 November 2020, Pages 2311–2313.
  2. World Health Organization, Transmission of SARS-CoV-2: implications for infection prevention precautions, Scientific Brief, 9th July 2020
  3. Fang, F., Benson, C., del Rio, C., et al. COVID-19 – Lessons Learned and Questions Remaining. Clinical Infectious Diseases. 26 October 2020.
  4. Nissen, K., Krambrich, J., Akaberi, D. et al. Long-distance airborne dispersal of SARS-CoV-2 in COVID-19wards. Sci Rep 10, 19589 (2020).
  5. Kutter J, de Meulder D, Bestebroer T, et al. SARS-CoV and SARS-CoV-2 are transmitted through the air between ferrets over more than one meter distance. BioRxiv. October 19 2020.
  6. Lednicky J et al. Viable SARS-CoV-2 in the air of a hospital room with COVID-19 patients. International Journal of Infectious Diseases. 11 September 2020.
  7. Buonanno, G., Morawska, L., Stabile, L., 2020. Quantitative assessment of the risk of airborne transmission of SARS-CoV-2 infection: Prospective and retrospective applications. Environmental International, 145, art. no. 106112, DOI: 10.1016/j.envint.2020.106112
  8. Du CR, Wang SC, Yu MC et al. Effect of Ventilation Improvement during a Tuberculosis Outbreak in Underventilated University Buildings. Indoor Air 30(10). December 2019.
  9. Canadian Public Health Association. Sewage and sanitary reformers vs. Night filth and disease.
  10. Morawska L, Buonanno G., 2021. The physics of particle formation and deposition during breathing. Nature Reviews Physics, in stampa.