7. APOLOGIA DELLA PASSEGGIATA (prima puntata)
Giorni fa decido di uscire. Naturalmente seguendo le regole. Mi avvio per una stradina di campagna, cercando di non superare i 200 metri da casa. Nessuna attrattiva paesaggistica, essendo la stradina affossata in una specie di fondovalle. Accanto scorre un piccolo rio, che vorrei chiamare torrentello, ma è un rigagnolo verde marcio, perlopiù secco. Infatti non scorre per niente, essendo quasi privo di acqua. Ma non importa. Io vado, cammino, perché oggi camminare mi sembra un sogno, il più grande dei privilegi. Muovere le zampe, articolare le articolazioni ormai anchilosate, tendere i tendini rattrappiti, poggiare ritmicamente i piedi su una strada. Camminare è un dono, un privilegio. Non certo soltanto un’attività fisica!
Passeggiare vuol dire incontrare. Mettersi nella condizione di fare incontri, favorire una disposizione a tutto ciò che la vita vorrà mettere, in quel momento, davanti a noi. È, in un certo senso, andare all’avventura, stare a vedere un po’ che cosa ti viene incontro.
A Robert Walser per esempio, nella sua Passeggiata, vengono incontro: una libreria, una banca, la “squillante insegna dorata di una panetteria”, gli operai di una fonderia, una “graziosa scenetta canina” in cui “un cagnone grande e grosso, ma buffo, inoffensivo e giocherellone, se ne stava zitto a guardare un bimbetto che si abbandonava a un prolungato piagnisteo infantile”, una donna seduta su una panchina davanti a una graziosa e linda casetta, una selva di abeti, e persino un gigante…
Ma non solo. Passeggiare aiuta a sviluppare pensieri.
Petrarca solo e pensoso (pensoso!) andava mesurando a passi tardi e lenti i più deserti campi. Rousseau, il grande passeggiatore solitario, racconta le sue fantasticherie. Robert Walser a un certo punto lo dice chiaramente: “Me ne andavo bel bello per la mia via, come un perfetto bighellone, distintissimo vagabondo, giramondo, fannullone e perdigiorno… e in quel mentre ero fortemente assorto in ogni sorta di pensieri, perché sempre, quando si passeggia, idee, lampi di luce e luci di lampi si presentano e si affollano da sé per essere poi elaborati con cura”.
Ecco. Quando si passeggia, si diventa assorti. E in quel nostro essere assorti, ci arrivano lampi di luce e luci di lampi: idee, pensieri! Chissà come, per quale strano e miracoloso meccanismo, i nostri passi favoriscono la produzione di pensieri. “Di pensier in pensier, di monte in monte”, dice ancora Petrarca. Significa che uno cammina per monti, valli, prati, ma anche per pensieri. E poi specifica ancor meglio: “A ciascun passo nasce un penser novo de la mia donna”. Lasciamo perdere che tutti i suoi pensieri erano dedicati alla sua donna amata: Laura era la sua ossessione, lo sappiamo bene. Ma restiamo all’inizio: a ciascun passo nasce un penser novo. A ciascun passo! Vuol dire che tu fai un passo e ti nasce un pensiero, ne fai un altro e ti nasce un altro pensiero. Pazzesco! Pensa, alla fine di una passeggiata, quanti pensieri ti sono venuti!
È così. Tutti ne abbiamo prova. Quando la nostra mente s’inceppa su un punto, su un problema; quando non usciamo più dalle pastoie del nostro ragionare, andiamo a passeggiare e come d’incanto il nodo si scioglie, la corrente torna a fluire e ci vengono le idee. Ma dobbiamo prima abbandonarci al passeggio, lasciare che le cose ci vengano incontro e attraversino il nostro sguardo. Dobbiamo predisporci agli incontri, perché il mondo possa entrare in noi e produrre pensieri.
Può bastare anche un microcosmo, non servono ampi spazi, distanze, continenti lontani. Duecento metri forse no, ma cinquecento o mille sì, ci possono bastare.
Passeggiare, però, non è camminare. Non è andare a fare la spesa, raggiungere un parco o una farmacia. Passeggiare è un camminare a vuoto, senza meta. È bighellonare, perdere tempo, andare a zonzo.
Da quasi due mesi ci è vietato passeggiare.
Abbiamo potuto solo uscire, muniti di autocertificazione, e camminare per andare in un certo posto ben definito: dal medico, al lavoro, al supermercato… Non passeggiare e basta. Vietato.
Abbiamo molto patito, noi talpe bighellone.
Certo, avrei potuto autocertificare che dovevo andare in farmacia, per ritagliarmi lo spazio esiguo di una passeggiatina. Ma siamo gente di coscienza, siamo stati educati a non fare peccato e, semmai uno li facesse, a confessarli. Come potevamo serenamente fingere di andare in farmacia? Avremmo potuto farlo non serenamente, ma avremmo perso il beneficio mentale della nostra passeggiata, oppressi ad ogni passo dalla nostra vile menzogna. Oppure non fingere, e andare davvero in farmacia… perché no? Potevamo comprare del paracetamolo, un dentifricio antiplacca, un ennesimo sciroppo per la tosse.
Ma avremmo perso un valore capitale che è intrinseco alla passeggiata, ed è fortemente benefico: la sua perfetta inutilità.
Bene. Fine della parentesi sulla passeggiata. Domani riprendo il racconto, perché era un racconto che volevo fare.
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