Il termometro dell’epidemia (release 1.0)

Anche oggi (ultimo dato disponibile, ore 18.00 del 20 maggio), la diminuzione della temperatura è stata quasi impercettibile (appena 2 decimi di grado rispetto a quella del giorno precedente). Il termometro dell’epidemia è sceso a 18.5 dai 18.7.

Il lieve calo dei decessi e dei nuovi contagi è stato compensato dal cattivo andamento degli ingressi ospedalieri stimati che, come ieri, ha registrato un aumento.

Va ricordato, come sempre, che l’andamento della temperatura non riflette quello dei contagi attuali, ma quello dei contagi avvenuti 2-3 settimane fa, in pieno lockdown.

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Nota tecnica

Abbiamo abbandonato lo strumento precedente perché, in una fase di ospedalizzazioni decrescenti come quella in corso da qualche settimana, avrebbe richiesto informazioni che la Protezione Civile non fornisce.

Il nuovo strumento si fonda su 3 tipi di informazioni:

  1. l’andamento dei decessi ufficialmente registrati;
  2. una stima del numero quotidiano di ingressi di pazienti Covid negli ospedali;
  3. l’andamento dei nuovi contagi, corretto per tenere conto del ciclo settimanale e della politica dei tamponi.

Il livello della temperatura è proporzionale al flusso medio giornaliero di nuovi contagi 2-3 settimane fa, epoca cui necessariamente si riferiscono tutti gli indicatori disponibili su base quotidiana.

Una temperatura zero corrisponde a una situazione in cui tutti e tre gli indicatori segnalano un sostanziale arresto dei nuovi contagi: zero nuovi morti, zero nuovi ingressi in ospedale, zero nuovi casi.

Una temperatura pari a 100 corrisponde a un flusso quotidiano di nuovi contagiati intenso come quello registrato nella settimana di picco, collocata fra la fine di marzo e i primi di aprile.

Allo stato attuale dell’informazione, è impossibile stabilire con esattezza a quale temperatura corrisponde 1 grado pseudo-Kelvin. Una stima ottimistica, che assume che il tasso di letalità sia del 2% e il “numero oscuro” dei casi non rilevati sia un po’ minore di 2:1, suggerisce di interpretare ogni grado in più o in meno come una variazione pari a 1000 nuovi contagiati. Una stima meno ottimistica, che assume che il tasso di letalità sia dell’1%, suggerisce che 1 grado pseudo-Kelvin corrisponda a 2000 nuovi casi al giorno.




Il diario della talpa. Settimo episodio

7. APOLOGIA DELLA PASSEGGIATA (prima puntata)

Giorni fa decido di uscire. Naturalmente seguendo le regole. Mi avvio per una stradina di campagna, cercando di non superare i 200 metri da casa. Nessuna attrattiva paesaggistica, essendo la stradina affossata in una specie di fondovalle. Accanto scorre un piccolo rio, che vorrei chiamare torrentello, ma è un rigagnolo verde marcio, perlopiù secco. Infatti non scorre per niente, essendo quasi privo di acqua. Ma non importa. Io vado, cammino, perché oggi camminare mi sembra un sogno, il più grande dei privilegi. Muovere le zampe, articolare le articolazioni ormai anchilosate, tendere i tendini rattrappiti, poggiare ritmicamente i piedi su una strada. Camminare è un dono, un privilegio. Non certo soltanto un’attività fisica!

Passeggiare vuol dire incontrare. Mettersi nella condizione di fare incontri, favorire una disposizione a tutto ciò che la vita vorrà mettere, in quel momento, davanti a noi. È, in un certo senso, andare all’avventura, stare a vedere un po’ che cosa ti viene incontro.

A Robert Walser per esempio, nella sua Passeggiata, vengono incontro: una libreria, una banca, la “squillante insegna dorata di una panetteria”, gli operai di una fonderia, una “graziosa scenetta canina” in cui “un cagnone grande e grosso, ma buffo, inoffensivo e giocherellone, se ne stava zitto a guardare un bimbetto che si abbandonava a un prolungato piagnisteo infantile”, una donna seduta su una panchina davanti a una graziosa e linda casetta, una selva di abeti, e persino un gigante…

Ma non solo. Passeggiare aiuta a sviluppare pensieri.

Petrarca solo e pensoso (pensoso!) andava mesurando a passi tardi e lenti i più deserti campi. Rousseau, il grande passeggiatore solitario, racconta le sue fantasticherie. Robert Walser a un certo punto lo dice chiaramente: “Me ne andavo bel bello per la mia via, come un perfetto bighellone, distintissimo vagabondo, giramondo, fannullone e perdigiorno… e in quel mentre ero fortemente assorto in ogni sorta di pensieri, perché sempre, quando si passeggia, idee, lampi di luce e luci di lampi si presentano e si affollano da sé per essere poi elaborati con cura”.

Ecco. Quando si passeggia, si diventa assorti. E in quel nostro essere assorti, ci arrivano lampi di luce e luci di lampi: idee, pensieri! Chissà come, per quale strano e miracoloso meccanismo, i nostri passi favoriscono la produzione di pensieri. “Di pensier in pensier, di monte in monte”, dice ancora Petrarca. Significa che uno cammina per monti, valli, prati, ma anche per pensieri. E poi specifica ancor meglio: “A ciascun passo nasce un penser novo de la mia donna”. Lasciamo perdere che tutti i suoi pensieri erano dedicati alla sua donna amata: Laura era la sua ossessione, lo sappiamo bene. Ma restiamo all’inizio: a ciascun passo nasce un penser novo. A ciascun passo! Vuol dire che tu fai un passo e ti nasce un pensiero, ne fai un altro e ti nasce un altro pensiero. Pazzesco! Pensa, alla fine di una passeggiata, quanti pensieri ti sono venuti!

È così. Tutti ne abbiamo prova. Quando la nostra mente s’inceppa su un punto, su un problema; quando non usciamo più dalle pastoie del nostro ragionare, andiamo a passeggiare e come d’incanto il nodo si scioglie, la corrente torna a fluire e ci vengono le idee. Ma dobbiamo prima abbandonarci al passeggio, lasciare che le cose ci vengano incontro e attraversino il nostro sguardo. Dobbiamo predisporci agli incontri, perché il mondo possa entrare in noi e produrre pensieri.

Può bastare anche un microcosmo, non servono ampi spazi, distanze, continenti lontani. Duecento metri forse no, ma cinquecento o mille sì, ci possono bastare.

Passeggiare, però, non è camminare. Non è andare a fare la spesa, raggiungere un parco o una farmacia. Passeggiare è un camminare a vuoto, senza meta. È bighellonare, perdere tempo, andare a zonzo.

Da quasi due mesi ci è vietato passeggiare.

Abbiamo potuto solo uscire, muniti di autocertificazione, e camminare per andare in un certo posto ben definito: dal medico, al lavoro, al supermercato… Non passeggiare e basta. Vietato.

Abbiamo molto patito, noi talpe bighellone.

Certo, avrei potuto autocertificare che dovevo andare in farmacia, per ritagliarmi lo spazio esiguo di una passeggiatina. Ma siamo gente di coscienza, siamo stati educati a non fare peccato e, semmai uno li facesse, a confessarli. Come potevamo serenamente fingere di andare in farmacia? Avremmo potuto farlo non serenamente, ma avremmo perso il beneficio mentale della nostra passeggiata, oppressi ad ogni passo dalla nostra vile menzogna. Oppure non fingere, e andare davvero in farmacia… perché no? Potevamo comprare del paracetamolo, un dentifricio antiplacca, un ennesimo sciroppo per la tosse.

Ma avremmo perso un valore capitale che è intrinseco alla passeggiata, ed è fortemente benefico: la sua perfetta inutilità.

Bene. Fine della parentesi sulla passeggiata. Domani riprendo il racconto, perché era un racconto che volevo fare.

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