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Follemente corretto (10) – La guerra dei pronomi

12 Gennaio 2023 - di fondazioneHume

In primo pianoSocietà

Fino qualche anno fa, la politica dei pronomi, promossa dalle vestali del politicamente corretto, colpiva quasi esclusivamente le istituzioni accademiche. All’atto pratico, si trattava – essenzialmente – di evitare il maschile quando il riferimento poteva essere anche a una donna. Se scrivevi una lettera o trasmettevi una comunicazione, non potevi iniziare con il solito “cari colleghi”, ma dovevi scrivere “care colleghe e cari colleghi”, o “car*collegh*, o usare qualche diavoleria neutra (ad esempio la cosiddetta schwa: ə) per non discriminare le donne. Se mandavi un articolo alla solita rivista in lingua inglese dovevi stare attento a non usare, per riferirti a una persona che poteva essere maschio o femmina, il pronome ‘he’ (lui), ma il pronome doppio ‘he or she’, o ancor meglio ‘she or he’.

Oggi non più, specie negli Stati Uniti. Oggi ci sono quattro novità sostanziali. La prima è che la politica dei pronomi pretende di includere non solo le donne, ma qualsiasi persona “non binaria”: maschi che hanno cambiato sesso, maschi che si sentono femmine, donne che hanno cambiato sesso, femmine che si sentono maschi, persone intersessuali, maschi bisessuali, femmine bisessuali, persone che non vogliono avere un’identità sessuale o di genere, persone più o meno perennemente “fluide”, eccetera (non per nulla la vecchia sigla LGBT è evoluta in LGBTQIA+, che significa: Lesbian, Gay, Bisexual, Transgendder, Queer, Intersexual, e chi più ne ha ne metta).

La seconda novità è che la proliferazione delle minoranze non binarie (e quindi protette, in quanto diverse) non ha condotto alla ricerca di un unico pronome ‘inclusivo’ (cosa già alquanto bizzarra, in quanto artificiosa), bensì a una esplosione di pronomi, ciascuno completo della sua più o meno cervellotica declinazione. Eccone un campione:

Note: the top line is meant to indicate two separate – but similarly spelled sets of pronouns. They are ae/aer/aers and fae/faer/faers.

La terza novità è che, secondo le numerose organizzazioni che pretendono di insegnarci come parlare, la scelta del pronome è completamente arbitraria e soggettiva: è l’individuo che deve decidere con quale pronome gli altri devono chiamarlo. Un transessuale MtF (maschio che diventa femmina) può pretendere di essere chiamato con il pronome ‘xe’, un altro transessuale Mtf può esigere il pronome ‘per’, che a sua volta può essere scelto anche da una lesbica, o magari da un bisessuale.

La quarta novità è che le organizzazioni che, senza alcun mandato collettivo, promuovono la babele dei pronomi pretendono pure che, in qualsiasi conversazione, ci si presenti dichiarando i propri pronomi, si chieda all’interlocutore quali sono i suoi, e pure che – quando qualcuno sbaglia i pronomi di qualcun altro – lo si redarguisca “gentilmente”.

In un mondo in cui la maggior parte della popolazione ha problemi ben più seri, concreti, e drammatici, l’esito della guerra dei pronomi rischia di essere la creazione di nuove discriminazioni e stigmatizzazioni. Questa volta ai danni di quanti non vogliono o non possono adeguarsi ai molestatori della lingua.

Ricolfi e la sinistra che va in pezzi

21 Dicembre 2022 - di fondazioneHume

In primo pianoSocietà

  1. Come le idee di sinistra sono migrate a destra. Considerando quanto sta accadendo a Bruxelles, il titolo del suo ultimo libro è più che attuale…

Sì, la sinistra ha subito una mutazione non solo ideologica e programmatica, ma anche di natura etica. Prima le si poteva rimproverare il complesso dei migliori (il mio libro Perché siamo antipatici? è di quasi vent’anni fa), ora ad alcuni può venire il sospetto (sbagliato anche quello) di una inferiorità morale, visto che gli scandali di cooperative e Ong coinvolgono sistematicamente esponenti di quella parte politica. La realtà è più semplice: la degenerazione etica della sinistra è dovuta semplicemente al fatto che proprio la sua autorevolezza, il suo insediamento nei gangli del potere, il suo controllo totale dell’industria della bontà, la rendono il bersaglio ideale dei tentativi di corruzione. Non sono più cattivi, sono solo più corruttibili.

  1. Perché quel lessico, che una volta apparteneva ai compagni, oggi caratterizza chi è al governo del Paese?

Se si riferisce al lessico della difesa dei deboli, direi che ci sono due ragioni. La prima è che la lotta contro criminalità e immigrazione irregolare fa parte integrante della difesa dei deboli, ed ovviamente è più congeniale alla destra. La seconda ragione è che la destra oggi è egemonizzata dalla destra sociale di Giorgia Meloni, che in alcune battaglie a tutela dei deboli crede davvero. Tolta la fetta salviniana della manovra (fisco, condono, contante, flat tax), il resto è costituito da misure di tutela delle fasce deboli. E questa impostazione è destinata a rafforzarsi non appena Giorgia Meloni comincerà ad occuparsi di scuola e di promozione del merito, sulla scia dell’articolo 34 della Costituzione sui “capaci e meritevoli ma privi di mezzi”.

  1. La lezione di Berlinguer sulla questione morale è stata davvero compresa, considerando gli ultimi scandali Qatargate e Soumahoro?

Non credo, ma penso che Berlinguer avesse vita facile a moraleggiare, posto che il PCI non era mai stato al governo, e il pentapartito dava spettacolo.

  1. Occhetto dice alla Bolognina ho pianto per molto meno. A suo parere, cosa è cambiato rispetto a quel periodo?

E’ successo che la globalizzazione ha mostrato il suo lato oscuro, fatto di delocalizzazioni e perdite di posti di lavoro nei paesi avanzati. E la sinistra ha assaggiato i prelibati frutti del potere, diventando parte integrante dell’establishment. Anzi, diventando egemone all’interno dell’establishment politico-economico-culturale.

  1. Quale la differenza tra le mazzette di Qatargate e Tangentopoli?

Sono cose diversissime. Le mazzette di Tangentopoli finanziavano, abbastanza stabilmente e uniformemente, il sistema dei partiti (con le rilevanti eccezioni di PCI e MSI), le mazzette del Quatargate ingrassano una frazione (speriamo piccola) della casta che, più che governarla, amministra l’Europa.

  1. Cosa ne pensa di questi europarlamentari, che finito il loro mandato, per cui sono stati votati dai cittadini, si mettono a fare i lobbisti?

Sarà ora di cominciare a prenderne atto: la politica è una carriera come tutte le altre, dominata dall’interesse individuale. Solo che, per alcuni, tale interesse è fatto di soddisfazioni personali, potere, prestigio, più o meno piccole vanità, per altri è anche arricchimento personale. Forse favorito, paradossalmente, dai lauti emolumenti del Parlamento Europeo. Dopotutto l’appetito vien mangiando…

  1. Tra poco ci sarà il congresso dei dem, il Pd può ancora svoltare e riprendersi quei temi tanto cari? E’ sufficiente cambiare qualche nome?

Il Pd è completamente disinteressato a una discussione politica vera, che affronti temi di fondo come quelli toccati nel mio libro: difesa dei deboli, libertà di opinione, eguaglianza attraverso la cultura.

La sa una cosa? Gli esponenti del Pd sono l’unica categoria che ha completamente ignorato La mutazione. Come mai le idee di sinistra sono migrate a destra.  Il fatto è che la loro tecnica non è criticare, combattere o reprimere il dissenso, la loro tecnica è ignorare chi fa delle critiche vere, sostanziali.

La paura di discutere in campo aperto è tale che i due candidati alla segreteria – Bonaccini e Schlein – non hanno ancora avuto il coraggio di dire che cosa distingue l’uno dall’altro. Io non mi stupirei che, dopo mesi in cui vi viene detto che il Pd deve decidersi a scegliere fra riformismo e massimalismo, la soluzione sia una segreteria Bonaccini-Schlein (o Schlein-Bonaccini), che – ancora una volta – lascia in sospeso tutti i nodi ideali e programmatici fondamentali.

  1. Meloni, intanto, diventa sempre più moderata, una sorta di riconversione. Tale linea continuerà a favorire il presidente del Consiglio?

Meloni, linguaggio a parte, era già moderata. Lo è almeno dal 2014, qnche se solo pochi osservatori paiono essersene accorti. Così si scambia per evoluzione di Meloni, quello che è il lento risveglio dei suoi critici.

  1. Cosa ne pensa dei primi passi del governo?

Male fisco, condoni, contante, pensioni. Abbastanza bene quasi tutto il resto, se non altro perché il grosso delle risorse sono convogliate sui ceti deboli. Opportuno il freno ai rave party, sacrosanta la limitazione del bonus cultura ai ragazzi delle famiglie meno abbienti.

  1. Non ritiene che qualche provvedimento di questo esecutivo sembri molto di sinistra?

No, la sinistra non è in grado di accorgersene. Anziché dire, toh ci hanno copiato, bene così, preferisce dire che anche i provvedimenti più di sinistra sono “di destra”, quindi cattivi a priori. E’ il sempiterno cane di Pavlov che possiede i progressisti.

  1. Il reddito di cittadinanza può essere superato?

Deve esserlo, ma in due sensi. Stroncare gli abusi, ma anche raggiungere tanti “veri poveri” che con le regole attuali non riescono ad accedervi.

Aiuta il progetto ARTICOLO 34 – MERITO E PARI OPPORTUNITA’

6 Dicembre 2022 - di fondazioneHume

Speciale

L’articolo 34 della Costituzione recita:

La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso.

Purtroppo, il sistema di sussidi che enti pubblici e privati erogano agli studenti è ancora ben lungi dal garantire il rispetto dell’articolo 34.

Le borse destinate ai “capaci e meritevoli” ma “privi di mezzi” sono ancora troppo poche (specie nella scuola secondaria superiore), di importo insufficiente, e non sempre in grado di individuare i più capaci e meritevoli.

La Fondazione David Hume sta elaborando un progetto per far sì che, nel giro di alcuni anni, il dettato costituzionale venga pienamente rispettato attraverso un sistema di borse di studio ampio, generoso, e in grado di assicurare anche ai meno abbienti il proseguimento degli studi fino ai gradi più alti.

La promozione del merito, a partire dalla scuola, è uno degli strumenti fondamentali per contrastare le diseguaglianze e favorire le pari opportunità. Ma è anche una via per alzare il livello medio di preparazione degli studenti, con benefici in tutti i campi, dalla cultura alla sanità, dall’economia alla qualità della vita democratica.

Il nostro progetto prevede innanzitutto l’istituzione di un FONDO NAZIONALE DEL MERITO, che permetta ad ogni singola scuola di:

  • Premiare, con un riconoscimento simbolico e una piccola somma in denaro (per esempio 100 euro), le allieve e gli allievi che hanno ottenuto i risultati migliori, indipendentemente dalla condizione economico-sociale della famiglia: le ragazze e i ragazzi che ottengono buoni risultati vanno tutti riconosciuti e valorizzati, perché – con il loro impegno e il loro talento – contribuiscono al benessere e al buon funzionamento dell’intera comunità;
  • Dotare di una significativa borsa di studio (per esempio 12 mila euro l’anno) le premiate e i premiati che provengono da famiglie svantaggiate, e rischiano quindi di interrompere prematuramente gli studi, o intraprendere percorsi inferiori alle loro possibilità, dover lavorare per mantenersi agli studi, con grave perdita per loro stessi e per la collettività.

Il FONDO NAZIONALE DEL MERITO, provvisto di una dotazione iniziale dello Stato centrale, dovrebbe essere aperto ai contributi degli altri enti pubblici e dei privati, in particolare famiglie, imprese, fondazioni bancarie, istituzioni e organizzazioni del terzo settore.

L’ipotesi da cui muoviamo è di iniziare dai ragazzi di 3a media e, ogni anno, estendere il sistema ad una o più leve successive, anche in funzione dell’apporto dei soggetti che vorranno contribuire al “Fondo nazionale del merito”. Più generosi saranno i contributi al Fondo, più rapidamente sarà raggiunto l’obiettivo di assicurare un adeguato sostegno a tutti i “capaci e meritevoli”, come avevano previsto i Padri Costituenti.

Francesco Ghidetti di “Quotidiano Nazionale” intervista Luca Ricolfi

17 Novembre 2022 - di fondazioneHume

In primo pianoPolitica

Professore, arrivati a questo punto, è vero quello che dicono in tanti che il Pd è un partito mai nato?

Non esattamente, il Pd delle origini, quello del congresso di Torino, guidato da Veltroni, una sua fisionomia ce l’aveva. È lungo la strada che, poco per volta, ha perso la sua ragion d’essere.

La famosa “fusione a freddo” tra Ds e Margherita: sta lì l’origine del male?

In parte sì, ma più che altro è la pretesa di incorporare tutte le maggiori culture politiche del paese: socialista, cattolica, liberale, ambientalista. Un’aspirazione alla totalità che ha conferito al partito tratti culturalmente totalitari. Anziché cercare di rappresentare una visione particolare del paese, in competizione con quella della destra, hanno preteso di ergersi a custodi del Bene, depositari della civiltà.

In vista del congresso, il Pd è davvero al capolinea come scrisse l’ex storico dirigente del Pci Emanuele Macaluso?

Ogni giorno che passa senza un’iniziativa politica, segmenti via via crescenti dell’elettorato Pd si spostano verso i Cinque Stelle e, in misura minore, verso il Terzo polo. Se vanno avanti così, a marzo potrebbero trovarsi poco sopra il 10% con I Cinque Stelle vicini al 20% e il Terzo Polo a sfiorare il 10%.

Si parla di due nomi per il dopo Letta: Stefano Bonaccini ed Elly Schlein. Unica cosa che li accomuna la provenienza dall’Emilia-Romagna. Vede rischi reali di scissione?

Sì, ne vedo. Se vince Elly Schlein il Pd diventa esplicitamente quel che già è, ossia un “partito radicale di massa”, concentrato su diritti civili, migranti, con una spruzzatina di ambientalismo. Se vince Bonaccini il Pd diventa un partito riformista, difficilmente distinguibile dal Terzo Polo. Una specie di partito di Renzi senza Renzi. Ma c’è anche una terza possibilità…

Quale?

Che il partito se lo prenda la sinistra di Bettini, Orlando e Provenzano. In questo caso il partito potrebbe diventare un normalissimo partito socialdemocratico, attento alla questione sociale e meno ossessionato dalla diade immigrati-diritti civili.

Schlein non è iscritta al partito. È credibile che possa prendersi il Pd? Quali prospettive vede per i dem?

Penso che la ragazza sia piuttosto ambiziosa, creda profondamente in sé stessa, e che non avrà alcun problema a prendere la tessera del Pd, ove questa diventasse la condizione per sfidare Bonaccini e gli altri aspiranti leader.

La sinistra si fa sempre folgorare da ‘papi stranieri’  e spesso da idee non sue. È la trasfigurazione delle idee da sinistra a destra di cui parla il suo libro (La mutazione. Come le idee di sinistra sono migrate a destra)?

I “papi stranieri” sono quasi sempre semplicemente dei non-comunisti, chiamati a rassicurare un elettorato che non ha ancora digerito del tutto la cultura comunista. Ciampi, Prodi, Rutelli, Monti, Letta, Draghi, lo stesso Conte, sono i frontman (o le foglie di fico) che hanno permesso all’establishment ex PCI di occupare buona parte del potere e delle istituzioni senza esporsi direttamente.

Quello di cui parlo io nel mio libro è un altro processo storico, iniziato diversi decenni fa.

Quale?

Il processo che ha portato la sinistra a farsi scippare dalla destra due valori fondamentali della sinistra stessa: la difesa dei deboli e la libertà di espressione. Il primo scippo è avvenuto con il rifiuto di prendere sul serio la domanda di protezione che, da almeno 30 anni, sale dai ceti popolari, spaventati dalla globalizzazione e dalla presenza degli immigrati nelle periferie. Il secondo scippo è avvenuto con la adesione acritica al politicamente corretto, che ha trasformato in censori gli antichi difensori della libertà di pensiero. Ma c’è anche un terzo scippo, in atto da pochi mesi: la difesa del merito e della cultura alta come strumento di elevazione ed emancipazione dei ceti popolari. Incredibilmente, nelle ultime settimane, buona parte degli esponenti della sinistra si sono schierati contro il merito, finendo per mettersi sotto i piedi l’articolo 34 della Costituzione: “I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto a raggiungere i gradi più alti degli studi”.

Maurizio Caverzan intervista Luca Ricolfi per Panorama

Professore, leggendo il suo libro si ha l’impressione che il vizio della sinistra ufficiale stia nell’ambizione originale del partito democratico di «rappresentare la parte migliore dell’Italia». È corretto?

Sì, anche se non è l’unico vizio. C’è anche, fin dai tempi del partito comunista, la incapacità di analizzare la realtà in modo scientifico, e quindi spregiudicato. Di qui la tendenza a chiedersi, di qualsiasi proposizione empirica, non se è vera o falsa, ma se è utile o dannosa alla causa. La conseguenza è stata una sorta di cecità progressiva, nel doppio senso della parola: crescente e progressista. Con un esito finale: la totale incapacità di guardare la realtà con lenti non ideologiche.

Questo complesso di superiorità ha reso più difficile per la sinistra rappresentare i ceti popolari. Cosa nasconde la convinzione che la destra parli alla pancia del Paese?

Nasconde uno strano modo di pensare: se abbiamo ragione, e il popolo non ci capisce, allora vuol dire che il popolo non usa la ragione.

Spesso i politici progressisti denunciano con disprezzo la crescita del populismo. Come va interpretato l’uso di questo termine?

Le rispondo con la definizione della parola ‘populista’ proposta da Jean Michel Naulot: “POPULISTA: aggettivo usato dalla sinistra per designare il popolo quando questo comincia a sfuggirle”. Una definizione interessante anche perché risale al 1996, quando pochi vedevano il problema del divorzio fra la sinistra ufficiale e i ceti popolari.

La sinistra ufficiale si accorgeva dello scambio delle basi sociali in atto fra i due schieramenti? Ha scelto consapevolmente l’establishment?

Alcuni studiosi avevano segnalato il problema fin dai primi anni ’90, quando in fabbrica fece la sua prima comparsa la doppia tessera: operai iscritti alla Cgil & militanti della Lega. Poi ci sono stati diversi studi che hanno mostrato che la base del Pci-Pds-Ds stava diventando sempre più borghese. Infine, le analisi dei flussi elettorali hanno evidenziato il paradosso della Ztl che vota a sinistra e delle periferie che votano a destra.

Ma la sinistra ufficiale ha preferito non vedere. Sapevano, ma non volevano prendere atto. Sempre per quel motivo che dicevo poco fa: l’incapacità di guardare la realtà con un atteggiamento scientifico, ossia il primato dell’utile sul vero.

Il fatto che Giorgia Meloni nel primo discorso in Parlamento si sia presentata come underdog che rappresenta gli sfavoriti è la certificazione di questo scambio?

In un certo senso sì, anche se il termine underdog, di solito, designa gli sfavoriti in una competizione elettorale, cosa che il partito di Giorgia Meloni e il suo partito sono stati in passato, ma certo non nell’ultimo anno. Io piuttosto noterei una cosa: la novità di Giorgia Meloni non è solo che è la prima donna premier, ma che è il primo premier di umili origini. Tutti i premier della seconda Repubblica, oltre ad essere maschi, erano di origine sociale elevata, talora elevatissima o nobiliare. Per trovare un premier di origini sociali modeste dobbiamo risalire al 1988, quando venne eletto Ciriaco De Mita, nato in un piccolo comune montano dell’avellinese (Nusco), con un padre sarto e portalettere, e una madre casalinga.

Credo che il carisma di Giorgia Meloni – oltre che alla sua bravura, alla sua integrità e alla sua passione – sia dovuto all’ampiezza dei segmenti sociali per i quali può risultare naturale specchiarsi in lei

Quali segmenti ha in mente?

Le donne, ovviamente, ma anche gli strati popolari, ossia le persone che non possono contare su una famiglia di origine ricca, benestante, protettiva.

Persa la rappresentanza dei ceti deboli, la sinistra si è concentrata sui diritti civili e le minoranze Lgbt che coinvolgono i ceti medio alti. Perché, contemporaneamente, è così intransigente nella difesa degli immigrati?

Proprio perché ha abbandonato i ceti popolari. La difesa degli immigrati è una sorta di polizza di assicurazione contro la perdita della propria identità. Grazie agli immigrati, la sinistra può ancora pensare sé stessa come paladina degli ultimi. E grazie alla difesa delle rivendicazioni LGBT+ può pensarsi come campionessa di inclusione.

Perché la sinistra liberal appare come una forza tendenzialmente individualista, mentre la destra mantiene una tiepida dimensione comunitaria?

Perché la sinistra liberal, ovvero la sinistra ufficiale, crede che l’aumento senza limiti dei diritti individuali sia l’essenza del progresso, mentre la destra (e una parte del mondo femminile) vede il lato oscuro del progresso, a partire dalla distruzione dei legami comunitari e familiari.

Perché oggi la sinistra ufficiale parla più di inclusione che di eguaglianza? E questo che conseguenze ha nel dibattito pubblico?

Lo spiegò Alessandro Pizzorno una trentina di anni fa: parlare di inclusione rende più facile conferire un valore morale alla scelta di essere di sinistra, e assegnare un disvalore all’essere di destra: noi buoni vogliamo includere, voi cattivi volete escludere…

Il giudizio di Enrico Letta sul risultato elettorale del Pd è che «non è riuscito a connettersi con chi non ce la fa». A suo giudizio, quanto tempo gli servirà per tornare a farlo?

Non è un problema di connessione con chi non ce la fa, è un problema di comprensione della realtà.

Prima che completi il processo di revisione, può perdere ancora consensi? E a vantaggio del Terzo polo o del M5s?

I consensi li sta già perdendo. Secondo i dati che ho potuto analizzare, l’emorragia è bilaterale, ma un po’ più grave verso i Cinque Stelle che verso il Terzo polo.

Il catechismo politicamente corretto e la cancellazione della cultura rendono la nostra società più illiberale?

Sì, nella nostra società vengono predicate tolleranza e inclusione, ma il dissenso verso il politicamente corretto non è tollerato.

Fino agli anni Settanta gli intellettuali erano compatti contro la censura e per la libertà di espressione. Come mai oggi sono in gran parte schierati a difesa dell’establishment?

Perché ne fanno parte, specie nelle istituzioni culturali e nel mondo dei media. Difendendo l’establishment difendono sé stessi.

In Italia la battaglia sul politicamente corretto si è applicata sul ddl Zan: perché nonostante il parere contrario di eminenti giuristi, di movimenti femministi e di intellettuali di area progressista il Pd ne ha fatto un simbolo intoccabile?

Per il solito motivo, l’incapacità di accettare la realtà quando la realtà va contro l’utile di partito. In questo caso: l’incapacità di ammettere il fatto che il ddl Zan limita la libertà di espressione.

Perché il dibattito sulle desinenze è divenuto così importante? 

Perché l’agenda dei media è fatta da persone che non devono fare i conti con le asprezze della vita.

Perché l’introduzione del merito tra le competenze del nuovo ministero della Pubblica istruzione ha destato scandalo?

Un po’ per il mero fatto che ne ha parlato la destra, un po’ perché nella mentalità della sinistra c’è l’idea che premiare il merito di qualcuno significa umiliare il non-merito di qualcun altro. E’ questa mentalità che, negli ultimi 50 anni, ha distrutto la scuola e l’università.

Nel Novecento cultura e istruzione erano considerate a sinistra uno strumento di elevazione sociale, oggi non è più così?

No, la trasmissione del patrimonio culturale, cara a Gramsci e a Togliatti, non interessa più.

Sta passando a destra anche l’idea di emancipazione dei deboli attraverso la cultura?

Più che a destra, sta passando nel partito di Giorgia Meloni, secondo cui “eguaglianza e merito sono fratelli”.

In questo contesto, che cosa può significare la nascita del primo governo di destra in Italia?

La fine dell’egemonia culturale assoluta della sinistra.

Se dovesse dare un solo consiglio non richiesto alla premier cosa le suggerirebbe?

Dica che vuole, finalmente, che venga applicato l’articolo 34 della Costituzione, e vari un grande piano di borse di studio per “i capaci e meritevoli” privi di mezzi.

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