“Alcuni spunti sul libro di Ricolfi sul follemente corretto” – Lettera per Luca Ricolfi

Buongiorno, riguardo al libro di Ricolfi volevo chiedere una cosa : visto che nel libro sul follemente corretto ha citato il libro sulla generazione ansiosa in cui si ipotizza un legame tra uso dello smartphone e aumento di ansia e depressione nelle minorenni in preadolescenti e adolescenti – e visto che il libro si occupa anche di fenomeni di transizione – volevo chiedere se e’ ipotizzabile un legame tra uso dello smartphone aumento della sofferenza per femmine minorenni preadolescenti e adolescenti e aumento dei percorsi di transizione ftom – perche’ se vi fosse questo legame una chiave di lettura potrebbe essere che in mancanza di un femminismo capace di proporre soluzioni collettive e politiche ai disagi della condizione femminile vi e’ un aumento di risposte di tipo individuale a tale disagio : in questo caso una risposta di fuga dalla condizione femminile. Siccome ho sentito vagheggiare una ipotesi di questo tipo anche in un libro di Luigi Zoja sulla recessione sessuale mi piacerebbe avere qualche informazione in proposito.

Un caro saluto, Francesco Gelmini




Intervista di Tommaso Rodano (Il Fatto Quotidiano) a Luca Ricolfi – Il follemente corretto e la sinistra

1. Luca Ricolfi, dopo dieci anni di indagine sul tema ha messo a punto un termine: “follemente corretto”. Cosa intende?
In prima approssimazione si potrebbe direi che il follemente corretto è la “malattia senile” dei politicamente corretto, la sua estrema degenerazione. Ma in realtà una definizione rigorosa è impossibile, perché il vero tratto distintivo del follemente corretto è il suo meccanismo di propagazione, che si fonda sul potere intimidatorio: nell’era dei social tutti possono diventare censori indignati, ma tutti sono, al tempo stesso, potenziali vittime, esposti al rischio di venire lapidati da censori ancora più fanatici.

2. Il suo elenco degli orrori del pensiero “woke” è notevole. Personalmente, sono rimasto impressionato dalla tabella dei nuovi pronomi di genere: “ve”, “xe”, “ze”, ma quali sono gli episodi che l’hanno colpita di più mentre lavorava al libro? 
Difficile fare una graduatoria, anche perché le follie sono molto eterogenee. Ci sono follie che impattano drammaticamente, come l’ammissione dei trans biologicamente maschi nei reparti femminili delle carceri, e follie che fanno semplicemente ridere, come Lufthansa che proibisce ai piloti di dire “gentili signore e signori benvenuti a bordo” perché qualcuno potrebbe non sentirsi né signora né signore.                                                                                                                                                                                       Comunque, come persona che per mestiere scrive e insegna, forse l’episodio che più mi dà da pensare è la pretesa di ripulire l’opera di Roald Dahl, un caso in cui coesistono sia la gravità della cosa (attacco alla libertà di espressione), sia la ridicolaggine (gli interventi effettuati sul testo sono bigotti e demenziali).

3. La sua tesi è che il politicamente corretto sia uno strumento di lotta di classe al contrario: invece di combattere le disuguaglianze, crea nuove élite. Quali?
Ne menzionerei tre: le vestali della Neolingua, ossia l’esercito di comunicatori che, nelle burocrazie, nelle università, nei media, nelle aziende, si occupa di ripulire il linguaggio; le lobby del Bene, ovvero le potentissime organizzazioni, soprattutto LGBT+, che
interferiscono quotidianamente con le attività di aziende e istituzioni; infine quelle che io chiamo le “guardie rosse della diversity” ossia gli staff che, nelle università e nelle aziende, si occupano di “sensibilizzare” dipendenti e opinione pubblica, e di garantire che le politiche siano inclusive, attente alla diversità, eccetera.

4. Sì è parlato tanto di schwa sui giornali, tra gli intellettuali e tra i politici, ma nei fatti non la usa quasi nessuno. E se va al mercato, sarà difficile trovare qualcuno che si ponga il problema del pronome o delle parole da usare con chi appartiene a una minoranza sessuale. Non pensa che la preoccupazione sul politicamente corretto stia diventando a sua volta una paranoia? 
In effetti di certi aspetti del follemente corretto la gente comune se ne infischia, e nessuno la redarguisce o la penalizza per questo. Il problema è che, non appena una persona comune prova a fare capolino in ambienti culturali/intellettuali/politici, la non padronanza del linguaggio corretto tende a diventare fonte di stigma ed emarginazione.
Riguardo a quel che succede nei mercati le do pienamente ragione: sono il posto più libero del pianeta, anche perché di norma i paladini del follemente corretto non ci mettono piede (tutt’al più ci mandano la servitù, eufemisticamente chiamata “personale di
servizio”).

5. Sono peggio le forzature ridicole del “follemente corretto” o quelle speculari, a destra, del politicamente scorretto a tutti i costi? Mi vengono in mente alcuni esempi di successo, da Vannacci alle flatulenze radiofoniche della Zanzara. 
Non so se sono speculari, perché il follemente corretto è per lo più raffinato, anzi fin troppo raffinato, mentre il politicamente scorretto estremo è semplicemente volgare: sono fenomeni diversi, più che opposti. Diciamo che, se devo scegliere, preferisco il follemente corretto, perché almeno fa ridere. Mentre la satira di destra, spesso, non è affatto divertente.

6. Il follemente corretto, scrive lei, è un problema della sinistra italiana. Crede che possa condizionare anche le elezioni americane?
Tantissimo. Sono in molti a ritenere che, nel 2016, Trump abbia vinto le elezioni anche perché una parte della società americana non ne poteva più del politicamente corretto. Adesso la storia rischia di ripetersi: non prendendo le distanze dalle istanze LGBT più estreme, Harris mette a repentaglio l’elezione. Diverse femministe hanno minacciato di votare Trump, o perlomeno di non votare Harris, se la candidata democratica non prenderà esplicitamente le distanze da obbrobri come l’utero in affitto e le terapie precoci di cambio di sesso/genere, basate su ormoni e talora su operazioni chirurgiche.

7. Che ne sarà del “follemente corretto”? É destinato a cambiare i connotati alla società italiana o a sgonfiarsi nel tempo?
Penso che si sgonfierà, ma non è detto. La sinistra potrebbe essere così stupida e autolesionista da continuare a difenderlo. Su alcuni temi, come quello dei pronomi o della schwa, si può anche pensare che, dopotutto, non cambiano la vita delle persone. Ma su altre cose, come l’utero in affitto, o la difesa degli spazi femminili, perseverare nella difesa delle istanze LGBT+ potrebbe rivelarsi un azzardo.




Doccia scozzese

Che in materia di diritti l’Europa sia un ginepraio si vede a occhio nudo. Che si parli di aborto, matrimonio gay, identità di genere, cambio di sesso, eutanasia, le differenze sono abissali. Ma come dobbiamo leggere questa diversità?

Una lettura molto comune è che i vari paesi si trovino in stadi diversi del cammino che li condurrà tutti, prima o poi, a riconoscere determinati diritti fondamentali, visti come mete di imprescindibili battaglie di civiltà. Un’altra lettura, vede il medesimo processo come una pericolosa deriva, che non afferma affatto la civiltà ma ne scandisce il declino. Quel che accomuna le due letture è l’idea che, comunque, la freccia del tempo punti in una direzione precisa, quella dell’espansione dei diritti. E che, essenzialmente, i vari paesi differiscano solo per la velocità con cui progrediscono (o regrediscono, a detta dei conservatori).

Ma siamo sicuri che la freccia del tempo punti in una direzione sola, quella dell’espansione dei diritti?

Fino a qualche anno fa lo si poteva ragionevolmente pensare, oggi molto più difficile. Segnali di rallentamento, o di vere e proprie inversioni di tendenza, si osservano in più di un paese, sia a livello legislativo, sia a livello di opinione pubblica. Il caso più clamoroso, probabilmente, è quello della Scozia, governata dal (progressista) Scottish National Party, prima con la carismatica leader Nicola Sturgeon (in carica per 10 anni), poi con il suo successore, l’ultra-progressista musulmano Humza Yousaf. Ebbene, nel giro di 15 mesi la situazione è completamente cambiata.

Alla fine del 2022 la Scozia aveva approvato il Gender Recognition Act, una legge che consente il cambiamento di genere (self-id) già a 16 anni, e senza pareri medici o legali. All’inizio di aprile di quest’anno è stato approvato lo Hate Crime Act, una legge che – sulla carta – punisce chi non riconosce come donne i maschi transitati a femmine (Mtf trans). Inoltre, da tempo veniva ventilata la possibilità di varare una legge molto permissiva sul suicidio assistito.

Apparentemente, una marcia trionfale per le battaglie di civiltà dei progressisti. In realtà le tappe di una vera débâcle. La legge sul self-id ha provocato una vivacissima reazione delle donne, compresa Joanne Rowling (l’inventrice di Harry Potter), preoccupate per l’invasione degli spazi femminili (comprese le carceri) da maschi auto-identificati come femmine. Di qui le repentine dimissioni della Sturgeon, benevolmente interpretate dai nostri media come sagge decisioni di una donna sopraffatta dalle fatiche del potere (la medesima interpretazione data per le dimissioni della Ardern in Nuova Zelanda e di Sanna Marin in Finlandia). Passa un anno, il Gender Recognition Act viene bocciato dal governo centrale britannico, e il successore della Sturgeon, Humza Yousaf, è costretto a sua volta alle dimissioni, travolto dall’ondata di critiche, ancora una volta guidate da Joanne Rowling, contro il potenziale liberticida dello Hate Crime Act, una legge in base alla quale – secondo alcuni attivisti trans – avrebbero dovuto finire in carcere quanti la pensassero come la Rowling, e – secondo altri – pure il premier Yousaf, che in passato si era prodotto in discorsi d’odio contro i bianchi (anche qui, l’interpretazione benevola è che il governo sarebbe caduto per dissensi con il partito dei Verdi sulla politica ambientale). Nel medesimo periodo, anche la Scozia, sulla scia dell’Inghilterra – deve frenare sulla somministrazione di bloccanti e ormoni ai minorenni, mentre i sondaggi rivelano che l’opinione pubblica è sempre più scettica sulla proposta di legge per facilitare il suicidio assistito.

Di qui due domande. Primo, siamo sicuri che, sul terreno dei diritti civili, la freccia del tempo punti ancora al loro ampliamento? Secondo, siamo sicuri che i leader progressisti abbiano il polso delle loro opinioni pubbliche?

L’impressione è che, per molti politici di sinistra, gli attivisti e le lobby LGBT+ contino di più dei rispettivi elettorati, e che questa distorsione percettiva li renda ciechi e potenzialmente autolesionisti. È successo con Sturgeon e Yousaf in Scozia. Ma era già successo in Italia con Enrico Letta e la battaglia perduta sul ddl Zan. E potrebbe risuccedere con Joe Biden fra qualche mese, alle elezioni presidenziali americane.

 [articolo uscito su La Ragione il 7 maggio 2024]




Sinistra e 1° maggio – Intervista a Luca Ricolfi

“Quando ero giovane il Primo Maggio era innanzitutto una festa sindacale, quasi sempre vissuta gioiosamente dalla gente. Ci andavano persone iper-politicizzate e persone normali, spesso con l’intera famiglia. Nella mia Torino era una sorta di scampagnata urbana, in cui chi ne aveva voglia ascoltava i comizi dei capi sindacali, e tutti quanti ci facevamo una passeggiata in centro. Poi è caduto il muro di Berlino, e dall’anno dopo (non so se c’è un nesso fra le due cose) il Primo Maggio è diventata la data del “concertone”, la politica e i sindacati hanno fatto un passo indietro a favore di cantanti e artisti, con massiccia copertura televisiva, specie di Rai 3, negli ultimi 25 anni”.

Già, il concertone,  da anni ha come filo portante i temi etici e i diritti civili: è un cambio di natura che paga politicamente?

“Non so se paga, certo accelera la metamorfosi del Pd in “partito radicale di massa”, come aveva profetizzato Augusto Del Noce”.

Perché e quando la sinistra ha perso il contatto con i ceti produttivi?

“Su questo la vedo come Fausto Bertinotti: la prima origine del distacco è la sconfitta politica del 1980, con la “marcia dei quarantamila”. Poi ci sono stati gli errori, ovvero la lenta deriva che ha portato la sinistra a privilegiare i diritti civili sui diritti sociali, e quindi – logica conseguenza – a guardare ai ceti medi tecnico-impiegatizi, urbanizzati e istruiti, anziché ai due grandi segmenti popolari, poco istruiti e periferici, del lavoro autonomo e del lavoro dipendente esecutivo”.

Dalla “Società signorile di massa” non si guarisce più, anche perché nel frattempo c’è stata “La mutazione, le idee di sinistra sono migrate a destra”. Nella “Repubblica delle tasse (perché l’Italia non cresce più)”, si è spesso esercitata “L’arte del non governo, da Prodi a Berlusconi e ritorno”, con “Il sacco del Nord (saggio sulla giustizia territoriale)” e “La sinistra e il complesso dei migliori (perché siamo antipatici)”: nei libri del sociologo e politologo torinese Luca Ricolfi c’è la storia recente dell’Italia. E’ al grande studioso del nostro Paese che Libero si rivolge per chiedere lumi su dove stiamo andando. Alla vigilia del voto per le Europee e all’indomani dello “scrivete Giorgia sulla scheda elettorale” con cui il premier ha voluto azzerare le distanze con i cittadini, nel giorno della Festa dei Lavoratori, che quest’anno sembra fatto apposta per fotografare lo scollamento della sinistra dai ceti popolari, torna a farsi sentire la prima voce critica che si levò dal fronte progressista, quando il sol dell’avvenire non era ancora calato e sembrava che il Pd e i suoi antenati avessero le chiavi in mano per guidare la nazione.

Professore, quanto pesano i lunghi anni di governo del centrosinistra sulla delusione del suo vecchio elettorato di riferimento?

“Tantissimo. La gente sa che dopo il 2011 la sinistra è quasi sempre stata al governo, e intuisce che, se il paese è allo sbando, la sinistra stessa non può chiamarsene fuori”.

Come può la sinistra recuperare gli elettori persi?

“La vedo dura. Elly Schlein è perfetta per confermare la base attuale, ma poco adatta a riconquistare i ceti popolari, che le preferiscono di gran lunga i Cinque Stelle. A sinistra non vedo nessuno più carismatico di lei ma dubito sia la persona giusta per riportare al Pd il voto dei ceti bassi”.

Che fare, dunque?

“Io ho un’idea forse ingenua, perché pre-politica, ma provo a buttarla lì. Fossi il segretario del Pd, prima ancora di enunciare un programma, mi darei da fare per ricostituire la precondizione per contendere alla destra l’elettorato popolare: il rispetto per chi vota a destra. Finché Schlein non lo fa, e preferisce continuare a trattare gli elettori di centro-destra come gente abbindolata che non si rende conto del pericolo fascista incombente, è psicologicamente arduo transitare da destra a sinistra. Se passi anni a darmi del cretino, perché dovrei voler venire da te?”.

I poveri sono (e si sentono) rappresentati meglio dal Pd, da Conte o dal centrodestra?

“Da Conte, secondo i sondaggi. Poi dal centro-destra. Molto meno dal Pd e dai suoi alleati”.

Però la politica grillina dei bonus – regalini in cambio di aumenti di stipendio, carità al posto di rispetto dei diritti – ha fatto male all’Italia, specialmente ai poveri…

“Culturalmente, è stata diseducativa. Ma soprattutto ha sottratto risorse ad impieghi più sani, come gli investimenti pubblici e il welfare di cui più c’è bisogno (penso agli asili nido e alla sanità)”.

La sinistra e i sindacati parlano di lotta al precariato ma 1) i dati ci dicono che aumentano i lavori a tempo indeterminato e gli occupati 2) la precarizzazione del lavoro in Italia risale al governo Renzi e, prima ancora, ai governi di D’Alema e Amato. Dove sta la verità?

“La precarizzazione è il nome che la sinistra dà a un fenomeno in gran parte fisiologico, per non vedere quello patologico: il ristagno trentennale della produttività, che è la vera causa dei bassi salari”.

Di cosa hanno bisogno oggi i lavoratori?

“Contratti aziendali con salari più alti, ovunque la buona salute dell’impresa consenta gli aumenti. Smantellamento della infrastruttura para-schiavistica che coinvolge circa 3.5 milioni di lavoratori (i calcoli stanno nel mio libro La società signorile di massa) e di cui nessuno vuole occuparsi. Ci sono migliaia di situazioni di iper-sfruttamento note e visibili a occhio nudo, nelle campagne come nelle città e nei piccoli centri, ma né i governanti né i sindacati paiono interessati a occuparsene”.

Il sindacato ha smarrito il proprio ruolo?

“I sindacati, ormai, si muovono in una logica al tempo stesso politica e burocratica. Politica, perché il loro atteggiamento dipende dal colore politico dei governi. Burocratica, perché una quota eccessiva delle loro energie è dedicata a tutelare i pensionati ed erogare servizi (ad esempio con i Caf), con insufficiente attenzione alla contrattazione, come risulta evidente dai tantissimi (più del 50%) contratti collettivi nazionali scaduti e non ancora rinnovati”.

Elly Schlein accusa Giorgia Meloni di essere fuori dalla realtà: quanto è dentro la realtà italiana la sinistra?

“Le denunce della sinistra non sono sempre fuori della realtà, quello che è fuori della realtà è la diagnosi. Le faccio un esempio: ha ragionissima Schlein quando contesta le cifre di Giorgia Meloni sulla sanità, perché se metti qualche miliardo in più ma l’inflazione se ne mangia il doppio, il rapporto spesa sanitaria-pil diminuisce, ed è quel rapporto che conta, non la spesa nominale. Però, se vuoi essere completa, e dire tutta la verità, dovresti aggiungere: il motivo per cui Giorgia Meloni non può aumentare abbastanza la spesa sanitaria sono le spese pazze passate dei Cinque Stelle (reddito di cittadinanza e super-bonus) che hanno messo una pesantissima ipoteca sulla spesa sociale futura”.

Perché il sindacato non riesce a condannare il superbonus, definito una patrimoniale al contrario – i ricchi che ristrutturano casa con i soldi dei poveri e del ceto medio – : è una definizione corretta?

“Sì, sostanzialmente corretta. Sul perché i sindacati non abbiano condannato a suo tempo il superbonus mi viene una sola spiegazione: non avevano idea di quanto sarebbe costato, e non hanno ancora capito – nemmeno oggi – che ogni euro di spesa pubblica messo su qualcosa è tolto da qualcos’altro. Detto in altre parole: per negoziare con il governo la politica economico-sociale occorre avere chiare le priorità, e soprattutto essere uniti: due condizioni da tempo assenti”.

Il tema superbonus introduce quello dei tagli alla sanità, altro grande tema della campagna elettorale: chi ha la colpa dei tagli alla sanità e come si può rimediare?   

“Il grosso dei tagli è stato fatto in passato, ed è dovuto alla necessità di frenare la crescita del debito pubblico. In assenza di crescita, l’unico modo per salvare la sanità sarebbe di incidere sulla vera stortura del nostro welfare, ossia il peso eccessivo della spesa pensionistica, un male ben noto e perfettamente messo a fuoco quasi 30 anni fa dal “rapporto Onofri”. Ma chi avrebbe mai il coraggio di farlo?”.

Ci possiamo ancora permettere un modello di sanità pubblica che, almeno sulla carta e come aspirazione, non ha eguali al mondo?

“No. Temo che – sempre nell’ipotesi che Pil e produttività continuino a ristagnare – l’unica cosa che potremmo fare è aumentare il ticket per i ceti medi e alti, con conseguente istantanea indignazione generale”.

Il governo si giocherà la fiducia sul tema economico e fiscale, e quali sono i pericoli dietro l’angolo per Meloni e soci?

“Di pericoli ne vedo moltissimi. Per le riforme promesse non ci sono risorse sufficienti. Premierato e autonomia differenziata coaguleranno un fronte di paladini della Costituzione violata. I media ostili continueranno a stravolgere qualsiasi cosa venga detta da esponenti di centro-destra. Mosse incaute, come l’apertura dei consultori alle associazioni pro-vita, susciteranno vespai infiniti. L’eccesso di zelo in Rai e fuori continuerà a provocare macelli politici e mediatici. L’unico spiraglio che vedo, per il centro-destra, è l’allarme antifascista, specie ora che ad agitarlo sono i martiri Scurati e Saviano: una polizza di assicurazione formidabile, che potrebbe – ancora una volta – esonerare il centro-destra dalla fatica di giocare in campo aperto, spiegando per bene i suoi progetti e rendendo conto dei propri fallimenti. Ma sarebbe un peccato: non mi sono mai piaciute le partite decise a tavolino”.

[intervista uscita su Libero il 1° maggio 2024]




Intervista di Mirella Serri a Luca Ricolfi

Nel suo libro “La mutazione. Come le idee di sinistra sono migrate a destra” (Rizzoli) lei ha elaborato un insolito modello interpretativo per decodificare gli ultimi inaspettati cambiamenti politici: ovvero come mai destra e sinistra si sono scambiate da qualche tempo la base sociale e, mentre i più poveri e gli operai votano a destra, i più abbienti si volgono a sinistra. Adesso ripropone questo excursus tra vecchie e nuove povertà con una nuova introduzione (Un’altra sinistra è possibile?) in cui si rivolge direttamente alla sinistra riformista italiana.

La sinistra italiana è impegnata soprattutto nelle cosiddette “battaglie di civiltà”: unioni civili, eutanasia, liberalizzazione delle droghe, diritti lgbtq+. La parola d’ordine è “inclusione”. Basta per convincere gli strati popolari a votarla?

Ne dubito, se non altro perché fra le categorie di cui – in nome dell’accoglienza – si auspica l’inclusione vi sono anche gli immigrati irregolari, che ai ceti popolari creano almeno tre problemi: pressione al ribasso sui salari (il cosiddetto dumping), insicurezza nei quartieri popolari e nelle periferie, competizione nell’accesso al welfare, specie sanitario. È il caso di ricordare che il tasso di criminalità degli irregolari è dell’ordine di 20-30 volte quello degli italiani, e che l’immigrazione irregolare – a differenza di quella regolare – è essenzialmente un costo, perché non paga né le tasse né i contributi. La sinistra ha tutto il diritto, anzi il dovere, di proporre soluzioni diverse da quelle della destra, ma non può continuare a ignorare o minimizzare il problema, almeno se vuole recuperare una parte del voto popolare.

Lei ha sempre considerato un suo punto di riferimento “L’età dei diritti” di Norberto Bobbio. Lo è ancora oggi?

Sì, perché Bobbio istituisce una distinzione cruciale – oggi perlopiù ignorata – fra legittime aspirazioni e diritti in senso proprio. Oggi si tende a chiamare diritti, e a trattare come diritti naturali e universali, aspirazioni (ma talora Bobbio le chiama pretese) che non hanno ancora un riconoscimento giuridico che ne garantisce il godimento effettivo. È il caso, per fare due esempi di attualità, del matrimonio egualitario e dell’eutanasia.  

È un punto molto importante, perché spiega due cose. Primo, come mai nel nostro sistema sociale sono così diffusi vittimismo, frustrazione, aggressività, rabbia. Secondo, come mai da decenni non si osservano più grandi movimenti sociali e grandi lotte, come quelle del ciclo 1967-1980.

Perché mai la rivendicazione di diritti dovrebbe ostacolare le lotte?

È semplice: perché se pensi che hai diritto a qualcosa il tuo atteggiamento è di esigerla dallo Stato, questa cosa cui hai diritto; se invece pensi che la tua sia solo un’aspirazione, magari anche un po’ controversa, ti poni il problema di portare dalla tua parte chi non è d’accordo, e di lottare per ottenere ciò cui aspiri, come mezzo secolo fa è successo per divorzio e aborto. Le aspirazioni producono impegno, i diritti presunti risentimento.

In questo, pur riconoscendo l’importanza del contributo di Bobbio, mi sento più in sintonia con Simone Weil, che tendeva a ragionare in termini di doveri e di conquiste, più che di diritti.

Esiste una sindrome vittimistica che prevale a sinistra?

Eccome, ci sono studi di psicologia sociale che lo hanno documentato in modo molto preciso, usando la “scala di Rotter”, una geniale invenzione degli anni ’50. La tendenza a chiamare sempre in causa la società, il sistema, la situazione, i condizionamenti, sottovalutando tutto ciò che dipende dall’individuo, è tipico della mentalità progressista. È un problema, perché questo atteggiamento disincentiva l’assunzione di responsabilità, che è un ingrediente essenziale di qualsiasi sistema sociale.

Secondo lei l’accettazione acritica della modernizzazione è un problema?

Lo è perché i progressi tecnologici in campo bio-medico, militare, elettronico, informatico, hanno ricadute pesantissime sulla vita quotidiana e sulla salute. Di recente, statistici e psicologi hanno documentato i danni mentali (fino all’autolesionismo e al suicidio) che i social stanno provocando sui ragazzi, e ancor più sulle ragazze. Altre ricadute della tecnologia, invece, le vedremo solo fra un po’, quando l’intelligenza artificiale e l’automazione verranno sfruttate estensivamente da organizzazioni criminali e stati-canaglia (naturalmente, so benissimo che anche solo accennarne suscita l’accusa di luddismo).

In cosa sbaglia la sinistra in crisi? Trascura tematiche fondamentali come occupazione, miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro e protezione sociale? Sottostima le diseguaglianze?

Ho scritto La mutazione anche per dire lo sconcerto che in tanti, a sinistra, proviamo di fronte all’involuzione dell’establishment progressista. Di fatto, negli ultimi decenni la sinistra ha abbandonato tre bandiere fondamentali: la difesa dei ceti popolari “nativi”, in omaggio all’accoglienza; la difesa della libertà di pensiero, in nome del politicamente corretto e delle minoranze Lgbt; l’idea gramsciana dell’emancipazione attraverso la cultura, con la distruzione della scuola e il rifiuto del merito. Il guaio è che le prime due idee sono migrate a destra, e la terza lo sta facendo, con la decisione di Giorgia Meloni di attuare gradualmente l’articolo 34 della Costituzione, che prevede borse di studio per i “capaci e meritevoli” ma “privi di mezzi” (“l’articolo più importante”, secondo Piero Calamandrei). Tutto questo ha fortemente depauperato il patrimonio ideale della sinistra, e ha finito per arricchire quello della destra: il valore sottratto al campo progressista si è tramutato in valore aggiunto per il campo conservatore.

È una situazione irrimediabile?

Spero proprio di no, non dobbiamo rassegnarci. E a giudicare da quel che sta accadendo in Europa qualche speranza di cambiamento possiamo nutrirla. In Germania, Francia, Regno Unito, Danimarca, Svezia sono in corso diversi esperimenti politici per costruire una “sinistra blu” (da blue collar), meno sorda alle istanze popolari. Questo tipo di sinistra contende efficacemente il sostegno popolare alla destra perché incorpora sacrosante istanze securitarie, diffida del politicamente corretto, privilegia i diritti sociali rispetto a quelli civili, non ignora gli effetti anti-popolari della transizione green.

L’ascensore sociale si è bloccato? La cultura alta è ancora strumento di emancipazione dei ceti popolari attraverso l’istruzione?

L’ascensore è bloccato perché – con l’illusione di includere – si è drasticamente abbassato il livello degli studi nella scuola e nell’università, e nulla si è fatto per premiare i “capaci e meritevoli ma privi di mezzi”. È uno dei tanti paradossi italiani che tocchi a Giorgia Meloni attuare il sogno di Piero Calamandrei.

 

(intervista uscita su “La Stampa” il 26 febbraio 2024)