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Molestie di Capodanno – Dire la verità senza incitare all’odio

13 Gennaio 2025 - di Luca Ricolfi

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Fino a pochi giorni fa quasi nessuno, in Italia ma anche in Europa, aveva mai sentito espressioni come Taharrush Gamea (o Taharrush Jama’i) e Taharrush Jinsi, che si possono tradurre – rispettivamente – come molestie di gruppo e molestie sessuali. Da
qualche giorno se ne parla perché, secondo diversi osservatori, gli episodi che nella notte di Capodanno a Milano hanno investito quattro turiste del Belgio (e forse anche un’italiana e un’inglese) andrebbero ricondotti a pratiche collettive di origine egiziana, che in quel paese vengono indicate con quei termini. Tali pratiche, messe in atto in occasione di raduni di piazza con grandi folle, consistono nel circondare gruppi di donne mediante anelli concentrici di maschi, in modo che non possano fuggire, per poi aggredirle sessualmente con molestie, palpeggiamenti, e talora veri e propri stupri. Episodi simili, sempre a Milano, erano già avvenuti nel Capodanno 2021-2022, ed erano stati portati anche all’attenzione delle autorità europee per iniziativa della parlamentare europea Silvia Sardone. Ma i primi casi risalgono al 2005 in Egitto (per opera delle forze dell’ordine) e al 2011-2013, sempre in Egitto durante le cosiddette primavere arabe.

Vedremo nei giorni prossimi che cosa esattamente sia successo a Milano, e se i colpevoli, o almeno alcuni di essi, saranno identificati, rintracciati, denunciati (e magari puniti). Quello su cui qui vorrei soffermarmi, però, non è il caso italiano, ma il più vasto problema europeo delle violenze sessuali organizzate. Se l’opinione pubblica italiana non ha quasi mai sentito parlare di Taharrush Gamea (d’ora in poi TJ, per brevità) e di altre pratiche organizzate di sottomissione delle donne, lo stesso non si può dire di altre opinioni pubbliche, in particolare di quella tedesca e di quella inglese. Grazie al lavoro di un manipolo di giornalisti e studiosi (in Italia il sociologo Alberto Baldissera) le opinioni pubbliche europee sono sempre più informate (e preoccupate) per gli episodi di violenza collettiva, quasi sempre organizzata, subiti da donne per opera di gruppi di stranieri.

Ma è bene non confondere. Quel che è accaduto in alcuni paesi europei e nel Regno Unito è molto peggio (e in parte diverso) rispetto a quel che – finora – pare essere capitato in Italia. Due sono i fenomeni più macroscopici a livello europeo. Il primo possiamo definirlo “modello Colonia”, ed è comparso nel Capodanno 2015-2016 non solo nella città tedesca di Colonia, ma in numerose altre città europee come Amburgo, Salisburgo, Zurigo, Helsinky, Stoccolma. In sostanza si è trattato di una TJ rafforzata, per la quantità di donne coinvolte (molte migliaia) e per la gravità degli episodi denunciati.

Il secondo fenomeno, nettamente distinto, è quello delle “grooming gangs” (bande di adescatori, d’ora in poi GG), che da diversi decenni operano in tutto il Regno Unito adescando, insidiando, trasformando in schiave sessuali o costringendo alla prostituzione ragazze minorenni, per lo più bianche, spesso fragili o di umile condizione. Possiamo chiamarlo “modello Rotherham” dal nome della città dello Yorkshire dove lo scandalo è venuto alla luce per la prima volta nel 2011, salvo poi rivelare il suo radicamento in decine di città inglesi, comprese Oxford, Bristol, Newcastle, Halifax, Brighton.

Ciò che i modelli, tra loro piuttosto diversi, di Colonia (TJ) e Rotherham (GG), hanno in comune è quella che potremmo chiamare la “doppia tipicità” delle vittime e degli autori dei crimini sessuali. Le prime sono, tipicamente, donne europee bianche, non di rado minorenni. I secondi, altrettanto tipicamente, sono maschi non europei, spesso giovani, quasi sempre appartenenti a gruppi etnici o religiosi specifici (pakistani, islamici, nord-africani). Di qui l’esplosività della questione per l’opinione pubblica, e l’imbarazzo delle autorità politiche. Perché – non possiamo nascondercelo – il tratto comune di questa lunga storia è stato, in tutti questi anni, il disperato e spesso maldestro tentativo delle autorità (soprattutto tedesche e inglesi) di occultare il contenuto etnico delle migliaia di episodi venuti alla luce. In tanti casi, per evitare l’accusa di razzismo, funzionari pubblici e autorità di polizia hanno preferito nascondere, minimizzare, travisare il corso effettivo delle cose.

Si può ben comprendere la ragione ultima di tanti silenzi, tante reticenze, tanti depistaggi: impedire che l’ira dell’opinione pubblica si indirizzasse su interi gruppi etnici anziché sui singoli autori di reati. E, sul piano politico, evitare che risentimento e odio verso gli stranieri portassero consensi ai partiti di estrema destra, per lo più vissuti come reincarnazioni del fascismo e del nazismo.

E tuttavia, come non vedere l’ingenuità e la supponenza di questa linea di condotta?

Ingenuità, perché non ci si è resi conto che se l’estrema destra avanza un po’ dappertutto in Europa è anche perché, per troppi anni, su vicende di questo genere si è sorvolato, i colpevoli non sono stati individuati, né condannati, né messi in condizione di non nuocere. Supponenza perché addomesticare i fatti, o oscurare la nazionalità e la religione degli autori di crimini sessuali, non è solo un’offesa nei confronti delle donne assalite o sfruttate, ma è un segnale di sfiducia – di profonda sfiducia – nelle capacità di giudizio dei cittadini, trattati come persone incapaci di ragionare, distinguere, capire i nessi fra le cose.

Ai quali cittadini, certo, è sempre bene ricordare che la responsabilità è individuale, e che ogni generalizzazione a partire da casi particolari è arbitraria. Purché, al contempo, non si rinunci al primo dovere di ogni onesto politico, funzionario, studioso o cronista: cercare la verità, non nascondere i fatti.

[articolo uscito sul Messaggero il 12 gennaio 2025]

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Luca Ricolfi
Luca Ricolfi
Torino, 04 maggio 1950 Sociologo, insegna Analisi dei dati presso l'Università di Torino.
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