Meloni, consenso effimero?
In primo pianoPoliticaChe Giorgia Meloni abbia il vento in poppa sono in molti a pensarlo. I recenti risultati alle elezioni comunali sembrano dimostrarlo in modo inequivocabile. La maggior parte dei sondaggi lo confermano. Compresi quelli usati per sostenere il contrario, come quello recentissimo di Alessandra Ghisleri, pubblicato con grande evidenza su “La Stampa” giovedì scorso: il calo di consenso di Fratelli d’Italia e di Giorgia Meloni sono di entità trascurabile (entrambi contenuti entro l’errore statistico), mentre tutti gli altri principali leader, compresa Elly Schlein, perdono circa 2 punti.
Dunque tutto bene per il governo di Giorgia Meloni?
Apparentemente sì. Però ci sono anche ragioni per pensare che il consenso attuale sia drogato da alcuni fattori che lo tengono artificialmente elevato. Vorrei menzionarne almeno tre.
Primo. Il principale partito di opposizione, il Pd, non ha una linea politica riconoscibile, come hanno mostrato le ambiguità sul termovalorizzatore di Roma, sull’invio delle armi all’Ucraina, sul delicato tema dell’utero in affitto. Né si vede come una tale linea possa emergere, stante il fatto che la maggioranza degli iscritti al Pd ha scelto Stefano Bonaccini, non certo Elly Schlein (53% contro 35% dei consensi). Per realizzare il suo progetto, Schlein ha necessità di rottamare buona parte della vecchia classe dirigente, ma se provasse a farlo fino in fondo farebbe esplodere le tensioni e i conflitti interni al partito. La vicenda della sostituzione, come vice-capogruppo alla Camera, del riformista Piero de Luca con l’ultra-pacifista Paolo Ciani, è solo un assaggio di quel che potrebbe accadere man mano che la neo-segretaria procederà sulla via del ricambio.
Secondo. Non è detto che intellettuali, tv e grande stampa non si accorgano, prima o poi, che la demonizzazione di Giorgia Meloni è controproducente. Oggi il premier può contare sull’aiuto involontario che, con le loro chiamate alle armi ed esternazioni antifasciste, quotidianamente le forniscono personaggi come Roberto Saviano, Michela Murgia, Ginevra Bompiani, Tomaso Montanari. Ma domani? Se la smettessero, o i media non si prestassero più a diffondere i loro allarmi, se il dibattito si spostasse su temi più prosaici e concreti, e Giorgia Meloni venisse chiamata a rispondere, punto per punto, dell’efficacia del suo operato? Allora, la rendita di posizione dovuta al cieco furore dei suoi nemici giurati potrebbe sciogliersi come neve al sole.
Terzo. Il tempo esiste. Per l’opinione pubblica non è la stessa cosa giudicare un governo all’inizio, a metà o alla fine di una legislatura. La sinistra si illude se pensa che i cittadini possano ritirare il consenso a Giorgia Meloni solo perché, finora, non ha mantenuto nessuna delle promesse fondamentali del centro-destra: contenere gli sbarchi illegali, ridurre le tasse a tutti, portare a 1000 euro il livello delle pensioni minime. E ancor più si sbaglia se spensa che la delusione per queste promesse mancate possa portare voti a sinistra: la gente sa perfettamente che, certe promesse, può mantenerle solo la destra, e che un governo di sinistra si limiterebbe ad azzerare ogni speranza di vederle realizzate.
Ma nel medio periodo tutto cambia. Se Meloni non riuscirà a mantenere le promesse, speranza e paziente attesa, di cui l’elettorato sta dando ampia prova, sono destinate a lasciare spazio a disillusione, amarezza, risentimento. Perché l’opinione pubblica funziona così: alla luna di miele segue il redde rationem, l’ora della resa dei conti. Anzi, si potrebbe dire che il redde rationem è la norma, la luna di miele è l’eccezione, una sorta di privilegio degli inizi. Non per nulla, nella seconda Repubblica, nessun governo è mai stato confermato nel turno elettorale successivo.
Una volta scavallato l’appuntamento delle elezioni europee (primavera dell’anno prossimo), comincerà il conto alla rovescia per le elezioni politiche del 2027, punteggiato da una miriade di insidiosissimi appuntamenti elettorali locali (regionali e comunali). È a quel punto che sarà essenziale, per Giorgia Meloni, avere un bilancio di risultati concreti in attivo. Altrimenti, nemmeno le pulsioni autolesioniste del Pd potrebbero bastare a conservarle il consenso.