True News … Good News
Le questioni istituzionali e di policy giudiziaria sono certamente uno dei terreni sui quali più frequentemente il dibattito viene sepolto sotto la coltre tossica e grigia delle fake news, pseudo news e non-news. Una folla di protagonisti, più o meno qualificati, vaga in quest’universo della surrealtà, con la serietà e la determinazione di chi sta lottando per la sopravvivenza, mentre i dati oggettivi urlano muti il loro desiderio di essere vendicati in nome di una verità semplice, non della Verità ideologica o, peggio, di convenienza, cui si tenta di piegare continuamente la realtà.
Alcuni esempi di questa surrealtà fanno veramente effetto. Mi è capitato qualche giorno fa, ad esempio, di partecipare ad un dibattito pubblico sulla nuova legge elettorale e sentir dire un autorevole esponente politico di un importante gruppo parlamentare che non possa dubitarsi del fatto che una legge elettorale che stabilisce una soglia dell’8 per cento sia certamente più “rappresentativa” (sic) di una che colloca quella soglia al 3 per cento.
La manipolazione della comunicazione pubblica con l’arma impropria della falsificazione è ancora più evidente allorché si applichi quella che io chiamo la “disinformazione di qualità”, la disinformazione cioè messa in atto non da “informatori generici o professionali” (come ad esempio i giornalisti), ma da coloro che professionalmente sarebbero i depositari del sapere tecnico o scientifico: “gli esperti”.
E, tanto per cambiare, i “disinformatori di qualità” pullulano nel mondo del diritto. Un elementare istinto di sopravvivenza mi impedisce di esemplificare questa affermazione con citazioni di episodi realmente accaduti, anche in forma anonima e con omissis sui protagonisti. Si sa, all’occhio vigile della legge non sfugge nulla e lo stesso vale per quello dei giuristi. Meglio non rischiare.
Raramente però si mette in luce un ulteriore effetto nefasto del frullatore della disinformazione. Che cioè la fake news rischiano di nascondere non solo le notizie scomode per taluni interessati, ma anche quelle notizie che potrebbero costituire un motivo di soddisfazione generale, al di là delle opinioni di ciascuno sul loro merito.
Un esempio recente è dato, a mio parere, dal confronto tra la vicenda catalana e quella dei referendum di Lombardia e Veneto. Nell’un caso come nell’altro la materia è certamente molto politicizzata e anche molto divaricante: un ottimo terreno per la mistificazione informativa allo scopo di accrescere i dividendi partigiani.
Eppure, proprio le polarizzazioni spregiudicate, impediscono di mettere in luce alcuni dati che, almeno dal nostro punto di vista, dovrebbero essere considerati un plus per tutti.
Mi riferisco alla circostanza che, a differenza di quanto accaduto al di là del mediterraneo, la vicenda dei referendum italiani meriterebbe un compiacimento complessivo per come il nostro stato costituzionale ha funzionato, attivando quei meccanismi selettivi che hanno consentito di arginare le spinte anticostituzionali, senza però mortificare l’aspirazione democratica a suggellare con un referendum l’avvio di processi per la realizzazione di forme e condizioni particolari di autonomia ai sensi dell’art. 116 della Costituzione.
La vicenda referendaria italiana va, infatti, letta, non solo attraverso la lente del processo politico, ma anche attraverso quella delle garanzie costituzionali che si sono manifestate con la sentenza n. 118/2015 della Corte costituzionale, la quale ha sostanzialmente dato il via libera al referendum sulla disciplina dell’art. 116 della Costituzione, frenando invece le pulsioni extra ordinem verso forme di indipendentismo incompatibili con l’Unità della Repubblica italiana.
Insomma in Italia lo stato costituzionale questa volta a funzionato bene.
Che qualcuno valorizzi questi fatti, irriducibili alla partigianeria della polemica abituale (e dunque politicamente apolidi), ma fondamentali per quel Nation building, ancora tutto da fare in questo paese, sarebbe veramente una buona True News.
Un ulteriore mission per questo sito.